L’app di monitoraggio dei contagi Health Code (Codice sanitario), lanciata dalla città cinese di Hangzhou potrebbe non esaurire la sua funzione con la fine della pandemia ma diventare un autentico “passaporto digitale” dei cittadini in pianta stabile. Anche in altre città. E quindi contribuire a un upgrade permanente della sorveglianza di massa che grava sui cittadini in Cina.
Una conferma, semmai ce ne fosse stato bisogno, che l’equazione tra gestione dell’emergenza ed eccezione ai principi dello stato di diritto si rivela da sempre insidiosa. Particolarmente pericolosa, poiché le “relazioni emergenziali” spesso manifestano, appunto, la brutta abitudine di integrarsi in modo stabile nel vissuto e nel modo di pensare comuni, favorendo lo sviluppo o il consolidamento di temibili percorsi autoritari.
Tanto più quando le persone sono meno riluttanti e più obbedienti e il regime è già un sistema di sorveglianza totalitaria e di supervisione tecnologica centralizzata.
E mentre le piattaforme proprietarie della app tentano di placare i timori dei cittadini, sono molte le città cinesi che si mettono in scia, tentate da progetti di monitoraggio invasivi basati sulle app nate per il contenimento del Covid-19.
Vediamo come funziona l’app Health Code e quali sono gli obiettivi – quelli ufficiali e quelli sottesi – e come sta reagendo la popolazione.
Come funziona Health Code
Hangzhou ha dato prova di essere un perfetto esempio di controllo e contenimento dell’epidemia di Covid-19 nel contesto specifico di una vasta area metropolitana.
Per molti, in modo particolare, grazie al sistema di empowerment digitale messo in atto.
Health Code, il “Codice sanitario” integrato con Alipay (il sistema di pagamenti di Alibaba) e WeChat (il whatsapp cinese) è stato lanciato a Hangzhou l’11 febbraio 2020.
Da lì a divenire una sorta di “skynet” digitale anti-contagio incidente su oltre 200 città cinesi con diversi milioni di codici generati, il passaggio è stato breve.
Allo stesso modo sono emerse le corrispondenti mire di Pechino sulle potenzialità sottese al sistema di tracciamento e localizzazione.
“Ogni persona ha una specie di sistema di semaforo”, afferma il membro della missione Gabriel Leung, decano della facoltà di medicina Li Ka Shing dell’Università di Hong Kong.
L’applicazione funziona grazie ad un software che, installato nello smartphone, opera una vera e propria classificazione degli individui discendente dall’analisi inferenziale dei dati trasmessi dal dispositivo dell’individuo.
Tra questi, il nome reale ed effettivo dell’utente, il genere, il numero di cellulare, l’identificativo ID, l’indirizzo dettagliato, la geolocalizzazione delle attività svolte, le informazioni sanitarie con tanto di autocontrollo dei dati di temperatura corporea che vengono registrati due volte al giorno, la cronologia dei contatti con soggetti risultati positivi al virus o potenzialmente tali e altre informazioni dichiarate in modo autonomo dall’utente.
Informazioni che vengono inferite con quelle derivanti dall’esame dei dati estratti dai molteplici database governativi; dall’aviazione civile, alle ferrovie e alle autostrade; dai dati di guida autonoma a quelli sul traffico degli autobus; dalle risultanze rese dagli operatori di telecomunicazioni, ai dati di pagamento degli istituti finanziari bancari. Dai resoconti della videosorveglianza, alle telecamere di riconoscimento facciale anche emozionale, fino all’esame delle transazioni commerciali eseguite tramite carta di credito.
Il risultato dell’esame incrociato è un codice – QR-code – generato dall’app e destinato ad essere esibito ad ogni controllo e necessario per poter fruire di determinati servizi tra cui quelli di mobilità e trasporto pubblico o tassativo per l’ingresso in Centri Commerciali e determinati quartieri.
Lo stesso riporta un colore diverso, rosso, giallo o verde, a seconda del coefficiente del grado di rischio assegnato dallo specifico algoritmo.
Il QR-Code rosso vincola all’isolamento fisico più assoluto con obbligo a restare al proprio domicilio per almeno 14 giorni; quello giallo consente mobilità limitata e possibile isolamento fino a 7 giorni; quello verde garantisce libertà di movimento compatibilmente con le misure precauzionali di distanziamento fisico.
I piani per il mantenimento permanente di Health Code
Durante la recente riunione annuale del parlamento cinese, l’Assemblea nazionale del popolo ha annunciato l’ambiziosa introduzione di un vasto pacchetto di leggi in materia di protezione e tutela i dati personali dei cittadini, con ciò tentando una sorta di compromesso nei confronti dei vivaci contestarori di Hong Kong e non solo, messi a tacere dalla travolgente crisi sanitaria.
Allo stesso tempo, Zhou Jiangyong, segretario del comitato municipale CPC di Hangzhou, una città del sud della Cina che ospita giganti della tecnologia come Alibaba, non ha fatto mistero delle sue intenzioni volte a “normalizzare” l’uso di Health Code, con l’intento di renderla una sorta di “firewall” dedicato alla salvaguardia della salute e dell’immunità delle persone. Di fatto un autentico passaporto digitale dedicato alla faccende della vita quotidiana.
“L’applicazione diventerà un custode della salute per i residenti. Il nostro sistema è così amato e apprezzato che non puoi sopportare di separartene” ha riferito Jiangyong in un discorso pubblico presso il Centro tecnologico della capitale della provincia di Zhejiang.
Dichiarazioni che vengono ribadite anche durante l’incontro ufficiale al quale hanno partecipato i responsabili dell’Ufficio municipale per le risorse di dati di Hangzhou, della Commissione municipale per la salute, dell’Ufficio comunale per lo sport e dell’Ufficio di vigilanza del mercato municipale, e dove Jiangyong ha reso note le sue intenzioni in merito al possibile proseguimento stabile del piano Health Code, presumibilmente integrato da un ulteriore Indicatore digitale di salute personale generale.
Un indice che, stando a quanto riferito da Sun Yongrong, direttore della commissione per la salute di Hangzhou, combinando dati rilevanti estrapolati dalle cartelle cliniche elettroniche, dagli esami sanitari effettuati e dalle performance di test fisici e livelli di attività sportiva, piuttosto che attinenti ad aspetti relativi allo specifico stile di vita , attribuirebbe agli utenti un punteggio da 0 a 100, a sua volta associato ad una scala di colori indicativi di quella che diverrebbe una “Classifica dinamica dell’indice di salute”.
Va da sé che ad ogni punteggio corrispondono determinati benefici e concessioni piuttosto che ferree restrizioni o inibizioni.
Dunque, una sorta di tracking sanitario altamente invasivo, non più emergenziale bensì permanente in continuità sia con il progetto City Brain di Hangzhou, lanciato nel 2016 per aiutare la città a elaborare piani di risposta in aree tra cui la pubblica sicurezza, i trasporti e l’assistenza sanitaria grazie all’uso di big data, cloud computing e intelligenza artificiale; sia con gli auspici del segretario generale Xi Jinping affiorati durante la sua ultima visita-ispezione a Zhejiang e Hangzhou oltre che con il disegno di “difesa della sovranità e di una nuova e prospera rinascita della società cinese” risaltati nella strategia discussa in seno alla 13esima Assemblea nazionale del popolo.
Non altrettanto, però, appare coerente con le istanze di tutela e protezione dei dati personali espresse dalla società ed il conseguente via libera all’adozione del nuovo codice civile cinese (che potrebbe entrare in vigore dal 1° gennaio 2021), paventato nel corso delle “lianghui”, traduzione di “due sessioni”: quella del Comitato nazionale della Conferenza politica consultiva del popolo cinese (Cppcc) e la plenaria del Parlamento.
I dubbi e le proteste
La “generosa” (per quanto imposta) concessione di dati da parte dei cittadini all’app Health Code non è stata ricambiata da altrettanta disponibilità e trasparenza circa le indicazioni riguardanti le complesse procedure sottese alla raccolta.
Archiviazione, elaborazione, conservazione, analisi e inferenze, fino alla possibile comunicazione delle informazioni personali tra le piattaforme tecnologiche e tra queste e le autorità di polizia e quelle istituzionali del Partito comunista: tutto è risultato piuttosto opaco, fumoso.
Stando all’analisi riportata dal New York Times, nel momento in cui l’utente concede l’accesso ai dati personali, una porzione di codice nominata “reportInfoAndLocationToPolice” invia il nome della città, la geolocalizzazione e un codice identificativo univoco a un server non meglio specificato.
La stessa agenzia di stampa statale Xinhua conferma il ruolo non marginale rivestito dalle forze dell’ordine nello sviluppo dell’applicazione e il relativo resoconto è estremamente interessante quanto dettagliato. Merita senza dubbio di essere letto.
Tanta opacità di informazioni ha contribuito a far sì che dubbi e perplessità, legati al timore dell’incremento indiscriminato della sorveglianza e del controllo sociale, favorito dall’intreccio tra i sistemi di profilazione e rintracciabilità digitale e la rete di sicurezza, non tardassero a manifestarsi.
Senza contare le titubanze derivanti dalla mancanza di effettiva interoperabilità tra le diverse applicazioni di contact tracing, al momento non centralizzate ma ormai in uso in tutta la Cina e, certo, causa di sovrapposizioni, malfunzionamenti ed elaborazioni fallaci tali da ripercuotersi nella validità dei pertinenti codici e, perciò stesso, foriere di restrizioni ingiustificate per gli individui a cui ineriscono.
Uno scetticismo che, già importante, ha potuto consolidarsi a maggior ragione dopo le dichiarazioni di Jiangyong relative all’ambizioso piano per il mantenimento permanente del “Codice sanitario di Hangzhou” con tanto di “Classifica dell’indice di salute”.
Dalle vivaci discussioni sul social network Weibo o sul forum Zhihu, che hanno coinvolto semplici cittadini, sostenitori dei diritti umani al di fuori della Cina, scrittori e ricercatori, fino alle dichiarazioni rese dall’amministratore delegato di Baidu, nonché membro del Comitato nazionale della Conferenza consultiva politica del popolo cinese, Robin Li – che ha proposto, nel corso della plenaria del Parlamento, l’introduzione di una specifica regolamentazione volta a disciplinare l’esercizio da parte dei cittadini del diritto di cancellazione delle informazioni raccolte durante l’epidemia e di stabilire linee guida precise in merito alle modalità e tempistiche di archiviazione e conservazione dei relativi dati – in tanti hanno potuto dire la propria e rendere evidente il proprio malcontento.
“Dopo l’implementazione del sistema di codici sanitari a gradiente a Hangzhou, i locali avranno un codice di appuntamento al buio, basta scansionarlo e imparerai le risposte a tutte le domande scomode che avevi paura di porre: stipendio, storia del matrimonio, proprietà della casa. Ci sarà anche un codice QR per ordinare il cibo, sarà come scegliere le canzoni del karaoke, i piatti che ti sono piaciuti prima saranno in primo piano. Per la morte, ci sarà anche un codice funerario, le persone che sono state in contatto con il malato entro un anno prima della sua morte riceveranno automaticamente un avviso di elogio. Stai chiedendo informazioni sulla privacy? Che cos’è la privacy? ” ha scritto l’utente di Weibo Kongshiyun in una risposta sarcastica alla notizia.
Qualcosa di pericolosamente simile al tipo di sorveglianza dello Xinjiang, dove milioni di musulmani uiguri sono ancora oggi monitorati e quindi discriminati dal governo cinese.
E certo non mancano, ai cittadini cinesi, precedenti, anche recenti, tali da suffragarne i timori, accentuandone la rilevanza: dalla battaglia di Lhasa del 1959, i cui effetti si ripercuotono ancora oggi, alle forme di sorveglianza legate alle olimpiadi di Pechino nel 2008 e all’Expo del 2010 a Shanghai, fino alle attuali proteste di Hong Kong.
Intanto altre città, tra cui Shanghai e Xining, non nascondono velleità analoghe a quelle presupposte nel percorso digitale promosso da Hangzhou.
Le numerose irresolutezze non vengono placate dai timidi segnali di rassicurazione forniti dalle piattaforme tecnologiche Ant Financial per Alipay e Tencent per WeChat.
“Ant Financial richiede che tutti gli sviluppatori di terze parti, compresi quelli che offrono servizi di codice sanitario utilizzando la nostra piattaforma tecnologica, aderiscano rigorosamente ai nostri requisiti di sicurezza e privacy dei dati, tra cui ottenere il consenso dell’utente prima di fornire servizi.”
Dichiarazioni velate che suonano più come un malcelato tentativo di “eludere accostamenti troppo affini ed amichevoli” dei giganti tecnologici con il regime comunista cinese, certamente non vantaggiosi per le note mire espansionistiche d’oltreoceano.
E non hanno convinto neppure le ulteriori asserzioni che le autorità pubbliche si sono affrettate a diffondere, per contrastare il pericoloso contraccolpo mediatico dell’annuncio di Zhou Jiangyong e Sun Yongrong, miranti ad evidenziare come il progetto per un uso stabile del “Codice Sanitario di Hangzhou” fosse solo un’idea accattivante quanto eticamente sostenibile volta alla promozione di uno stile di vita sano e non un piano ufficiale in fase di approvazione.
Se anche il dissenso sui social media cinesi è stato rapidamente rimosso dalle avanguardie del partito, i forum di discussione e protesta in lingua cinese ospitati dai siti internazionali rimangono e sono piuttosto espliciti.
Conclusioni
“La Cina ha lanciato forse lo sforzo di contenimento delle malattie più ambizioso, agile e aggressivo della storia”, osserva il rapporto OMS del febbraio scorso.
Avrebbe anche potuto aggiungere il termine invasivo: sarebbe stato senz’altro pertinente.
Quali saranno le conseguenze a lungo termine di una tale energica risposta alla crisi sanitaria?
Il caso del “Codice Sanitario di Hangzhou” e della corrispondente “Classifica dinamica dell’indice di salute”, sostenuti da Zhou Jiangyong e Sun Yongrong, in tal senso sono già esemplari.
In Cina, il complesso dibattito suscitato dalle preoccupazioni insite nella particolare gestione dell’emergenza Covid-19, vista come una grave minaccia alla sicurezza e agli interessi dell’intero Paese, non può ragionevolmente astrarsi dallo specifico contesto, e tantomeno porsi nei soli termini di legittimo ricorso al principio della necessità come fonte ultima del diritto, di liceità delle restrizioni adottate o di violazioni dei diritti costituzionalmente sanciti.
Piuttosto lo stesso va compreso e ponderato alla stregua del rischio, enorme, che l’adattamento dimostrato dalla società cinese alle misure emergenziali adottate, legato alle esigenze della situazione attraversata, possa effettivamente giustificarne il mantenimento oltre il termine di eccezionalità previsto.
E per ovvie ragioni.
Prima fra tutte per la particolare forma di Stato e di governo cinese e per l’incidenza che queste esercitano nella risposta alle esigenze e agli interessi di sicurezza nazionale e salute pubblica.
Un Paese tanto vasto (per superficie e per entità demografica) quanto etnicamente differenziato, eppure fortemente ancorato al principio generale dell’unità del potere statale.
La Repubblica Popolare Cinese è oggi il più importante esempio di Stato socialista ancora esistente, sebbene con alcune evidenti peculiarità che ne caratterizzato il discostamento rispetto alla concezione tradizionale: prima fra tutte la capacità della classe dirigente cinese di interpretare le dinamiche dell’attuale fase storica della globalizzazione e di volgerle a proprio favore consentendole di emergere sulla scena economica internazionale.
E certo, il fatto che la Cina, in tale contesto, si ponga anche come un sistema a “diritti affievoliti” non stupisce.
Tanto è connaturato alla sua stessa storia e tradizione.
È altresì sancito espressamente nella Carta costituzionale cinese dove, a fronte di un elenco di diritti e doveri fondamentali, è infatti previsto che “i cittadini nell’esercizio dei loro diritti e libertà, non possano violare gli interessi dello Stato, della società o della collettività” (art.li 51, 53 e 54).
Il fatto poi che tali interessi siano unilateralmente e imperativamente stabiliti dal Partito Unico non giova alle istanze di maggiore libertà e alla vocazione democratica ambita da alcuni esponenti della società.
La Costituzione cinese non fornisce infatti indicazioni sui limiti del potere di restrizione dei diritti costituzionali dei cittadini.
E tale imperio si conforma alle direttive del Partito, interprete unico dell’uniformità di intenti che deve contraddistinguere l’azione statale a tutti i livelli.
Le assemblee popolari, dal parlamento a quelle dei diversi enti locali, province regioni autonome, prefetture e contee, si rivelano sempre e comunque “organi e strumenti del potere statale”.
Le città cinesi sono, inoltre, le più monitorate al mondo. Da tempo i cittadini cinesi si sono adattati alla forzosa convivenza.
“Xue Liang”, ovvero “Occhio di falco” è il nome del programma di videosorveglianza a tappeto del presidente Xi Jinping e di Pechino.
Sniffer WiFi (software utili a localizzare rapidamente un segnale WiFi attivo) e tracker di targhe sono costantemente puntati su persone, auto e telefoni; il riconoscimento facciale si è spinto fino ai complessi abitativi e all’interno delle metropolitane.
Un panopticon che ben si adegua alla complessa gamma di tecnologie di sorveglianza emergenziale introdotte dal governo centrale, specie dopo la creazione del Central Leadership Group for Epidemic Response, presieduto dal Primo Ministro Li Keqiang (riunitosi per la prima volta il 26 gennaio) e del Joint Prevention and Control Mechanism, e altrettanto favorite dallo stesso Ministero della Pubblica Sicurezza Cinese.
Allo stesso modo, con la stessa attitudine, una siffatta sorveglianza si presta a ricoprire un ruolo cruciale nella vigorosa risposta digitale alla crisi sanitaria, condotta con misure straordinarie adottate senza che le stesse fossero precedute dalla benché minima procedura di serio confronto, ma affidate ad un mix di strumenti di hard law, peraltro presidiati da sanzioni penali, compresa la pena capitale, e di soft law con finalità propagandistica ed educativa, finalizzati al convincimento dei cittadini cinesi.
Una regia perfetta allestita da selezionati partner tecnologici in cui dati di localizzazione mobile, app di tracciamento collegate all’ID degli individui e sistemi di identificazione e riconoscimento interagiscono alla perfezione, sotto l’attenta direzione delle autorità.
Più che uno stato di polizia, una vera e propria forma di ingegneria sociale.
Il “Codice della salute” è, dunque, soltanto uno dei tanti potenziali aspetti “discriminatori e distopici” che si accompagnano ai piani di ingegnerizzazione sociale della Cina, dove la forte connotazione tecnologica assunta dalle smart city delle province cinesi, Hanhzhou in primis, asservite alle analisi predittive di Pechino, contribuisce non poco.
L’ultimo esempio di sorveglianza e controllo, in ordine di tempo, a risaltare sotto l’egida dell’ambito ritorno al xiaokang shehui, cioè a quella che viene definita una società sostenibilmente prospera, convintamente promesso dal presidente Xi Jinping e dal suo ministro Li.
Non a caso proprio il presidente Xi, durante il recente convegno con esperti e studiosi tenutosi il 2 giugno scorso, non ha omesso di ribadire quanto la costruzione di un forte sistema sanitario pubblico rappresenti una priorità per la sicurezza del Paese e come la stessa vada perseguita “perfezionando un meccanismo di allerta precoce e di risposta, migliorando diffusamente le capacità di prevenzione, controllo e trattamento, creando fitte reti di protezione e costruendo solide mura che delimitino i compiti, sarà possibile fornire una forte garanzia per la salute dei cittadini.”
Fiat iustitia ne pereat mundus: sia fatta giustizia affinché non perisca il mondo, in tal modo Hegel corresse la frase “Fiat iustitia et pereat mundus: sia fatta giustizia e perisca pure il mondo” impiegata da Immanuel Kant nel suo Progetto per la pace perpetua.
Trovo che ancora oggi, nello scenario attuale, in Cina come altrove, un tale motto, pur nella sua duplice versione, suoni piuttosto sibillino quanto illuminante.