Buone notizie: l’app IO è diventata di colpo più trasparente sul trattamento dati. Il team privacy di PagoPA ha accolto la richiesta di Privacy Networks l’11 dicembre 2020, comunicando di aver aggiornato l’informativa privacy presente sull’app ed esplicitando la natura dei trasferimenti al di fuori dell’Unione Europea, con indicazione dei singoli fornitori, dell’attività svolta, dei dati trattati e degli strumenti giuridici per il trasferimento di dati.
Ricordiamo che l’app IO ora è al centro delle attenzioni di tutti per via del cashback e Privacy Network aveva scoperto nell’informativa privacy alcuni problemi di trasparenza sul trasferimento di dati verso gli Stati Uniti. La questione è particolarmente rilevante, considerando che dal 16 luglio 2020 i trasferimenti di dati verso gli Stati Uniti sono sotto lo scrutinio europeo a causa dell’invalidazione del trattato internazionale Privacy Shield da parte della Corte di Giustizia Europea.
Trasferire dati verso gli Stati Uniti è oggi considerata un’operazione pericolosa, e sono necessarie particolari cautele e garanzie di trasparenza verso i soggetti interessati (gli utenti dell’app).
È per questo motivo che Privacy Network, organizzazione impegnata nella difesa della privacy e diritti fondamentali, ha inviato l’8 dicembre 2020 una richiesta formale a PagoPA per ricevere evidenza delle misure adottate per garantire la tutela dei diritti dei cittdini, e maggiori informazioni sul trasferimento dei dati fuori dall’Unione Europea. In particolare, veniva chiesto di esplicitare la natura dei trasferimenti e la tipologia di dati oggetto di trasferimento.
Nuova informativa app IO, una piccola vittoria per la trasparenza
Ecco perché l’accoglimento da parte di PagoPA di queste richieste è un importante risultato in un contesto nel quale molto spesso la Pubblica Amministrazione mostra scarso interesse verso la protezione dei dati, nonostante la dichiarata volontà di voler perseguire una seria trasformazione digitale.
Non bisogna però lasciarsi prendere dall’entusiasmo, perché la strada è ancora in salita. PagoPA ha mostrato di saper cogliere le richieste da parte di stakeholders rilevanti (come le associazioni e professionisti del settore), ma il lavoro non è certo finito qui.
Ricordiamo per altro che il Garante Privacy attende, entro 45 giorni dal 26 novembre, che PagoPA
Tra l’altro, ricordiamo per altro che il Garante Privacy attende, entro 45 giorni dal 26 novembre, che PagoPA dia le rassicurazioni richieste nella comunicazione di autorizzazione al cashback alla luce della valutazione d’impatto.
L’elenco dei fornitori pubblicato da PagoPA descrive diversi soggetti situati negli Stati Uniti, che offrono servizi variegati: dall’assistenza clienti, ai servizi cloud. Questi servizi dovranno essere oggetto nei prossimi mesi di attenta valutazione, proprio a causa della sentenza della Corte di Giustizia Europea che ha invalidato il Privacy Shield e indicato gli Stati Uniti come paese inadeguato per tutelare i diritti dei cittadini europei. La trasparenza è fondamentale , ma non basta.
Ma non basta
Come più volte affermato sia dalla Corte di Giustizia Europea, che dal Comitato Europeo per la protezione dei dati (ripreso anche dal Garante Privacy), non è sufficiente prevedere clausole contrattuali per il trasferimento dei dati verso gli Stati Uniti, ma è anche necessaria un’attenta valutazione dei rischi.
All’esito di questa valutazione dei rischi il titolare del trattamento (PagoPA) ha due scelte: implementare misure tecniche / organizzative supplementari per garantire la tutela dei diritti delle persone, o cambiare fornitore.
Nell’elenco dei fornitori si legge ad esempio che IO utilizza Cloud Microsoft per conservare tutti i dati degli utenti inclusi nel database dell’App IO. Nonostante PagoPA ci tenga a precisare di aver selezionato l’opzione di residenza dei dati all’interno dell’Unione Europea, è sufficiente leggere i Data Protection Terms dei servizi Cloud Microsoft per verificare che la situazione è in verità più complessa di quanto appare.
Le condizioni contrattuali prevedono espressamente che il cliente: “[…] appoints Microsoft to transfer Customer Data and Personal Data to the United States or any other country in which Microsoft or its Subprocessors operate and to store and process Customer Data and Personal Data to provide the Online Services, except as described elsewhere in the DPA Terms. All transfers of Customer Data and Personal Data out of the European Union, European Economic Area, United Kingdom, and Switzerland to provide the Online Services shall be governed by the Standard Contractual Clauses in Attachment 2”.
D’altronde, per la natura stessa del Cloud, non potrebbe essere altrimenti.
Come se non bastasse, è necessario anche tenere in considerazione che alcune leggi degli Stati Uniti, come il CLOUD Act, prevedono che le autorità statunitensi possano accedere a dati conservati in data center situati al di fuori degli Stati Uniti. Questa è una precisazione importante, perché il Comitato Europeo per la protezione dei dati personali ha giustamente affermato che anche l’accesso remoto costituisce un’ipotesi di trasferimento di dati.
Anche i servizi Cloud con opzione di residenza dei dati in UE, forniti da società statunitensi, rientrano quindi in un modo o nell’altro in ipotesi di trasferimento di dati al di fuori dell’Unione Europea.
Il tema è particolarmente rilevante, perché rendere tutto il database utenti (per ora, 9 milioni di cittadini italiani) accessibile alle autorità e intelligence USA va ben oltre la protezione dei dati personali degli utenti, per sfociare anche in questioni di sicurezza nazionale.
In conclusione
Siamo tutti consapevoli che l’invalidazione del Privacy Shield sia stato un vero e proprio tsunami globale a cui è difficile reagire in tempi brevi, ma siamo anche consapevoli della necessità di pianificare azioni concrete per tutelare i diritti dei cittadini italiani. In un momento di piena trasformazione digitale europea, in cui non si fa altro che parlare di sovranità digitale, è fondamentale avere lungimiranza e coraggio di scegliere soluzioni alternative.
La sovranità digitale passa anche dalla scelta di limitare l’uso di provider non europei, o comunque situati in paesi non ritenuti adeguati dalla Commissione Europea. In questo, fa ben sperare il progetto di Cloud federato europeo Gaia-X.
In questo ci aspettiamo tutti un serio lavoro di adeguamento e trasparenza da parte di PagoPA, che nei prossimi mesi sarà chiamata a valutare tutti questi rischi, e giungere ad una decisione concreta.
Nelle FAQ del sito dell’App IO si legge che IO è un progetto collettivo, un “bene comune”, progettato insieme ai cittadini partendo dalle loro esigenze. Oggi c’è un’esigenza pressante: valutare il rischio di trasferire dati verso gli Stati Uniti, e tutelare i diritti fondamentali dei cittadini italiani. Se questi dati fossero stati trasferiti verso la Cina, probabilmente sarebbe esploso un caso politico. Ebbene, dopo il 16 luglio 2020 gli Stati Uniti sono formalmente equiparati alla Cina per quanto riguarda la protezione dei dati personali dei cittadini europei.
Ci auguriamo che PagoPA e tutti gli stakeholders coinvolti nello sviluppo e gestione di IO siano consapevoli dell’importanza di questa nuova esigenza, e possano continuare a prendere in considerazione i feedback di cittadini, professionisti e di associazioni come Privacy Network, al fine di creare un servizio pubblico che metta davvero al centro il cittadino ed i suoi diritti.