Privacy contro business del dato: stiamo assistendo ad una battaglia che ha l’obiettivo di mantenere l‘equilibrio fra il diritto alla privacy e il suo sfruttamento economico. Da un lato l’attenzione sempre più alta dei regolatori sulla tutela dei dati personali, Europa in primis con il GDPR. Dall’altra l’esigenza di Facebook, Google, Apple, Microsoft, Amazon ed altre, di continuare a trasformare i dati in potere e denaro.
La questione è arrivata al punto di uno scontro politico, come dimostra la battaglia tra Facebook e le autorità Usa, UK e australiane ora in corso: la prima ha annunciato l’intenzione di applicare la crittografia end to end, per la privacy, anche a Messenger; le secondo la stanno scongiurando di non farlo per non ostacolare le indagini.
I fattori del cambiamento
Quante cose sono cambiate in così poco tempo. A un anno dall’entrata in vigore del GDPR e dallo scandalo “Cambridge Analytica” stiamo assistendo a un cambio epocale e radicale delle big tech nel modo di presentarsi, di gestire le informazioni e soprattutto nel modo in cui cui sviluppano e rafforzano i loro business model basati sulla nostra ingenua persistenza alla produzione di informazioni. Ora sanno di dover includere nella loro strategia la riscoperta della “nuova privacy” dell’utente, come requisito fondamentale per continuare a sopravvivere e meritarsi la fiducia di tutti gli stakeholder: governi, investitori e gli stessi utenti del web.
Per comprendere l’evoluzione alla quale stiamo assistendo è necessario ricostruire l’escalation che ha portato le big company a rinnegare pubblicamente alcuni principi che per anni hanno permesso loro di diventare super-Stati con i fatturati più grandi del mondo.
Parlare solo però di GDPR come causa di tanti cambiamenti sarebbe un’affermazione conseguente ad un’analisi limitata e non completamente corretta. Infatti assistiamo a mutamenti che vedono:
- i governi pretendere dalle aziende che trattano dati nuovi diritti, doveri e controlli ben precisi.
- i colossi del web costretti a dover modificare in modo radicale i modelli di business, non potendo più fare affidamento su uno sregolato utilizzo del dato che veniva acquisito e venduto senza il consenso esplicito ed a svantaggio del soggetto interessato.
- la trasformazione di internet da un sistema ricco di servizi gratuiti in cambio di dati, per arrivare ad un meccanismo di raccolta e gestione di questi ultimi che sta innescando nuove esperienze di monetizzazione attraverso servizi a pagamento.
Ma soprattutto un aumento della consapevolezza dell’utente medio, in relazione a come viene sfruttata ed eventualmente violata la sua privacy.
Il business dei dati: ecco come cominciò
Facciamo un passo indietro per capire meglio. Alla fine degli anni ’90, facendosi avanti l’entusiasmo della nuova economia basata sulle aziende del web, sono nate alcune speciali realtà che hanno applicato il principio di marketing “se non paghi per il prodotto che stai utilizzando, vuol dire che il prodotto sei tu”.
Ovviamente parliamo dei big del web le quali hanno costruito il loro modello di business sullo sfruttamento dei dati degli utilizzatori finali in cambio di servizi gratuiti.
- Google: che possiede tutte le ricerche, i desideri, geolocalizzazioni e bisogni giornalieri di tutti i cittadini del mondo occidentale che ogni giorno, gratuitamente, consultano il web.
- Facebook: che ha rivoluzionato le relazioni umane mappando tutte le nostre connessioni sociali, interessi, gusti, abitudini, segreti e momenti della vita.
- Linkedin (Microsoft): che ha raccolto le migliori informazioni strategiche da un punto di vista professionale sui candidati che cercano lavoro e le aziende che fanno recruiting.
- Amazon: collezionando e prevedendo i comportamenti di consumo degli utenti.
Dunque una nuova economia basata sui dati degli utenti (“il nuovo petrolio”) in cui le aziende della Silicon Valley e non, ingegneri di un mondo sempre più digitale, si trovano all’apice della ricchezza come dimostra la rimonta delle tech company sulle aziende tradizionali degli ultimi 19 anni nell’infografica animata qui sotto.
https://www.youtube.com/watch?v=5movC_M0LHQ
Privacy: Cambridge Analytica e democrazia
Dal punto di vista dell’utente utilizzatore del web, i servizi gratuiti online sono una grande comodità; la creazione di una posta elettronica come Gmail oppure di un account social network come Facebook, sono azioni di routine che ci semplificano la vita al punto tale da non poterne più fare a meno.
Così, le nostre abitudini nelle 24 ore sono scandite da soluzioni pronte e semplici che aziende come Google, Facebook, Amazon, Apple e Microsoft hanno preparato e personalizzato sulla base dei nostri dati e desideri.
Tuttavia, come ben spiegato nel documentario Netflix del 2019 su “Cambridge Analytica”, questa comodità ci ha distratto dal chiederci: in che modo questo tipo di aziende traggono benefici economici? Perché confezionarci soluzioni perfette per noi a titolo gratuito? Che tipo di influenza hanno sui nostri comportamenti? Siamo distratti a tal punto che nessuno legge i termini e condizioni quando crea un account digitale ed al contrario clicca su “Accetta” ed “Acconsento” pur di iniziare a far parte del “gioco”.
Se per comprare una casa il buon senso ci suggerisce di leggere il contratto per intero e comprendere se possano esserci delle minacce da prevenire, quando siamo sul web il rischio percepito è molto più basso e la nostra attenzione è molto più debole.
Con lo scandalo “Cambridge Analytica” sta emergendo in quale vicolo oscuro ci può condurre l’assenza di controllo, proprietà, consapevolezza dei nostri dati personali e l’utilizzo indiscriminato di quest’ultimi. Infatti la società “Cambridge Analytica” si è confessata come specializzata nell’acquisizione dei dati per creare e prevedere modelli comportamentali al fine di influenzare scientificamente i cittadini verso la scelta elettorale finanziata dal migliore offerente.
I casi più eclatanti si sono verificati nel 2016 durante la campagna elettorale di Trump, che ha avuto il sostegno di “Cambridge Analytica” per vincere le elezioni presidenziali in America ed infine per la vicenda della Brexit per il “Leave” (Rif. The Great Hack: Privacy violata); efficaci a tal punto da dover classificare questi nuovi metodi di persuasione, come illegali e paragonabili ad armi di propaganda di massa.
Per questo motivo i governi di tutto il mondo libero e democratico, hanno interpellato i fondatori delle maggiori tech company. Da qui sono nate riflessioni, ammissioni e necessità di individuare procedure legate alla privacy per regolamentare il rapporto fra cittadino e servizi internet. Tutto ciò sta causando un’evoluzione nelle grandi aziende del digitale.
Impatto privacy sui colossi del web: Facebook
Facebook. Dalla convocazione avvenuta ad aprile 2018 del CEO Mark Zuckerberg (Congresso degli Stati Uniti d’America) sul caso di “Cambridge Analytica” e fuga dei dati personali dalla piattaforma di Facebook, è stato comunicato dall’azienda un messaggio molto chiaro: un’ammissione di colpa dell’accaduto ed una promessa di impegno per sistemare le cose, con l’obiettivo di evitare future situazioni di vulnerabilità e negligenza. Dunque migliorare i punti deboli del social network più popolato. Il piano coinvolge le seguenti aree di miglioramento.
Le applicazioni esterne:
- potranno usare molti meno dati degli iscritti a Facebook e l’accesso alle loro informazioni sarà sospeso se le app non sono utilizzate da tre mesi.
- ogni applicazione potrà accedere di default solamente a nome, foto profilo e indirizzo email: ovvero la quantità di dati più bassa messa a disposizione rispetto ai competitor, a detta degli stessi esponenti di Facebook.
- i produttori delle app dovranno sottoscrivere un contratto più severo che li obblighi a non diffondere i dati raccolti tramite Facebook.
- gli utenti avranno maggiori sistemi di controllo semplici per decidere quali app utilizzare ed a quali negare l’accesso.
Per evitare interferenze politiche sono previste:
- l’utilizzo di “nuove tecnologie per prevenire abusi”, sfruttando l’intelligenza artificiale per identificare e rimuovere tempestivamente gli account falsi e le pagine adibite a propaganda di fake news (come nel caso della rimozione di 23 pagine non ufficiali di M5s e Lega)
- la costituzione della “War Room” sala operativa ubicata a Dublino (elezioni Europee), Stati Uniti e Singapore (elezioni Indiane) che ha l’unico obiettivo di tutelare il dibattito pre-elettorale dalle fake news.
- entro fine anno l’assunzione di 20mila impiegati dedicati alla gestione della sicurezza del social network: una decisione che «comporterà un impatto sui nostri utili nel futuro» a detta di Facebook.
- regole più severe per chi vuole portare avanti una campagna elettorale tramite le pubblicità su Facebook. Ogni inserzionista dovrà avere un profilo verificato e ogni pubblicità dovrà mostrare chiaramente da chi è stata finanziata e quindi rispettare il principio di trasparenza.
- pagine “certificate” solo se popolate da molti iscritti con il fine di ridurre i casi di pagine gestite da account falsi e troll.
Inoltre in questa strategia evolutiva, è in atto un pesante Rebranding dell’azienda confutabile tramite:
- il cambio del logo. Ha spiegato Higgins direttore creativo di Facebook “Ora che Facebook è una realtà solida, abbiamo deciso di rinnovare il logo per renderlo più amichevole e vicino”.
- il cambio della mission aziendale: più focalizzata sulla privacy delle conversazioni, a tutela di un senso di appartenenza chiuso in tante community riunite per interessi presenti su Facebook che diventa contraddittoria con la mission precedente che aveva come unico scopo di connettere in modo aperto e pubblico le persone di tutto il mondo senza alcun criterio.
-“Dare alle persone il potere di condividere e rendere il mondo più aperto e connesso” (mission originale)
-“Dare alle persone il potere di costruire comunità e rendere il mondo più unito” (mission anno 2017)
- Infine l’ultimo annuncio che incide sulla mission aziendale e sul modello di business attuale “Privacy al centro con un’unica grande chat dove gli utenti saranno sicuri che i messaggi sono crittografati e non memorizzati” (anno 2019).
- il cambiamento del nome di Instagram e Whatsapp con l’aggiunta di “Instagram from Facebook” e ” Whatsapp from Facebook” (sugli Apple e Google store) anche con il rischio di macchiare dal punto di vista reputazionale un’app, immacolata e di successo come Whatsapp, con i precedenti fallimenti rispetto la privacy di Facebook.
Saranno introdotte nuove funzionalità in vista della rinnovata mission aziendale all’inseguimento della privacy.
Secondo la nuova mission le community nate su Facebook, attraverso gruppi pubblici e privati, sono diventate l’autentico fulcro del contributo positivo che il social può avere nella vita di chiunque ed il motivo per cui gli iscritti si collegheranno a Facebook. Per far sì che gli utenti continuino a collegarsi è necessario per Facebook combattere le minacce di hate speech, fake news, cyberbulling e per questo motivo Zuckerberg stesso a chiesto aiuto ai governi di tutto il mondo, per individuare delle leggi precise e contrastare questi fenomeni.
Il progetto “Libra”. Una grande rivoluzione che si preparava da tempo è quello di trasformare i circa 2 miliardi di iscritti a Facebook, in un circolo di attori che possono effettuare transazioni finanziarie attraverso “Libra”: la criptovaluta globale che vede nuovi potenziali modelli di business comparire e che molto presto potremmo vedere in azione.
Perciò il passo da un mondo connesso pubblico a privato è di certo un pensiero che Mark Zuckerberg non avrebbe mai fatto, soprattutto all’inizio della sua avventura. Inoltre desta qualche sospetto la potenziale mancanza di trasparenza dovuta ai messaggi pubblici scritti su Facebook dal CEO di Facebook (risalenti dal 2007 al 2014), scomparsi improvvisamente, dove ad esempio viene citata l’acquisizione di Instagram ed altri annunci che ad oggi potrebbero essere troppo in contraddizione con la nuova visione aziendale. Uno su tutti, l’avversione per la privacy degli utenti.
Dall’inizio di agosto 2019 sulla home page di Facebook, non appare più la scritta storica “È gratis e lo sarà per sempre” ma “E’ veloce e semplice”. Questo perché, secondo l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), sia in Italia che in molti paesi nel mondo, tutte le big company che utilizzano i dati degli utenti per fare business, dovrebbero essere obbligate a rendere immediatamente consapevoli gli utenti che i prodotti dai quali traggono profitto, sono gli stessi dati che con ingenuità ogni giorno produciamo ed elargiamo loro.
Impatto privacy sui colossi del web: Google
Con la messa a fuoco da parte delle autorità di tutto il mondo, le aziende come Google, che basano i propri modelli di business sui dati raccolti degli utenti, hanno preso decisioni importanti.
- il social network più caro a Google, “Google Plus” (G+) è stato definitivamente chiuso subito dopo l’entrata in vigore del GDPR, il motivo è stata l’individuazione di un’importante fuga di dati risalente al 2015 che ha messo in pericolo i dati personali di 500.000 utenti.
- Youtube, storico sito web più visitato al mondo per fruire video in maniera gratuita, sta sperimentando da tempo una versione facoltativa premium a pagamento senza annunci pubblicitari.
- E’ ancora aperta la battaglia che vede contrapposta Google a Huawei: si dovrà aspettare ancora per capire se l’azienda di Mountain View deciderà davvero se ritirare il proprio sistema operativo ed i servizi Google dai dispositivi Huawei. Una battaglia che si consuma all’interno dello scontro Usa-Cina. L’azienda cinese è già pronta con un sistema operativo proprietario per non perdere quote di mercato.
Impatto privacy sui colossi del web: Apple
Uno scenario interessante da sottolineare nell’industria dell’hardware e del software è il duello fra Apple e Huawei. Infatti dalla dipartita del fondatore visionario Steve Jobs, Apple è riuscita a mantenere degli standard di alto livello grazie al trascorso brillante all’insegna dell’Innovazione sul mercato con l’iPhone, iPod, iPad ed iTunes.
Tuttavia l’azienda Apple da qualche anno sta avendo dei problemi dal punto di vista della competizione per due motivazioni principali:
- l’obsolescenza programmata, ovvero, l’azienda è stata accusata ed incriminata in vari paesi nel mondo, per avere indotto attraverso l’invio di un aggiornamento software, i vecchi modelli di iPhone, iPad ed iPod, a diventare improvvisamente obsoleti e quindi non più performanti. L’accusa è stata quella di voler manipolare ed incentivare il comportamento dei consumatori verso l’acquisto del nuovo modello targato Apple; ovviamente una pratica considerata scorretta e perseguibile per legge. Il risultato di questa strategia si è ritorta contro gli interessi di Apple poichè i consumatori hanno iniziato a preferire i diretti competitor come Huawei.
- l’entrata sul mercato dell’azienda Huawei che produce hardware (telefoni, computer, tablet ed accessori) di media-alta qualità con una fascia di prezzo più accessibile rispetto i dispositivi Apple superati nelle vendite durante l’anno 2018.
Con il sopraggiungere della consapevolezza sulla “nuova privacy” del consumatore, Apple sta giocando uno degli ultimi vantaggi competitivi rimasti in suo possesso: la Privacy.
Per questo il marketing ed il product department sono determinati verso un’unica evidente direzione intuibile:
- dagli spot televisivi come questo.
- dal lancio di funzionalità come quella del “login anonimo” che garantisce agli utenti Apple di accedere a servizi e applicazioni terze con la garanzia di non essere tracciati (ad esempio da Google e Facebook) e senza nemmeno svelare il proprio indirizzo email.
- dalle dichiarazioni pubbliche di Tim Cook: “E’ ora di alzarsi in piedi per il diritto alla privacy tuo, mio, di tutti noi. I consumatori non dovrebbero tollerare un altro anno di compagnie che ammassano quantitativi abnormi di profili online degli utenti, di data breach che sembrano fuori controllo, di scomparsa della capacità di padroneggiare le nostre vite digitali ”. Il CEO di Apple chiede al Congresso americano di emanare quanto prima una normativa federale di carattere comprensivo, un pacchetto di riforme che protegga e rafforzi i diritti dei consumatori.
I dispositivi Apple, dal punto di vista della sicurezza e della privacy, godono di altissima reputazione rispetto ai prodotti dell’azienda cinese messa al bando dal presidente degli Stati Uniti Trump.
Infatti è stata finalizzata l’inclusione di Huawei, da parte del Governo Americano, nella così detta entity list, in quanto ritenuta azienda pericolosa per la sicurezza nazionale; una conseguenza della corsa al 5G che vede come protagonisti l’America e la Cina competere sulla commercializzazione mondiale della nuova tecnologia che renderà possibile connettere (e potenzialmente spiare) i cittadini di tutto il mondo, con modesto sforzo.
Impatto privacy sui colossi del web: Microsoft
Le tecnologie di intelligenza artificiale e riconoscimento facciale diventano sempre più diffuse ed efficienti. Il colosso di Bill Gates ed 85 associazioni per i diritti umani e digitali in Silicon Valley, hanno allertato sulle possibili conseguenze della sorveglianza di massa con l’uso autorizzato della tecnologia.
Fra gli avvenimenti degni di nota che hanno fatto scatenare la coscienza di Microsoft, vi è la “Ten Years Challenge”; un gioco, divenuto virale in poco tempo, che invitava gli utenti a postare sui social network una foto di 10 anni prima a confronto con una attuale.
Ai più è sembrato un gioco banale ed innocuo ma molti esperti di sicurezza digitale, tra cui Kate O’niel sostengono si sia trattato di uno stratagemma insidioso per permettere a delle intelligenze artificiali, non dichiarate, di immagazzinare i volti di milioni di persone in tutto il mondo attraverso un semplice hashtag.
Un altro caso simile è quello di “Face app“ che ha portato moltissimi utenti a postare ed utilizzare l’app che simula, con degli effetti grafici, l’invecchiamento del proprio viso. Anche in questo caso l’applicazione potrebbe essere un cavallo di Troia, poiché non rispetterebbe le norme di privacy in quanto prodotta in Russia e non obbligata al rispetto delle norme GDPR. Il timore sono i potenziali scopi illeciti che minano la nostra privacy e la nostra sicurezza personale e nazionale.
Un compromesso necessario
Fare a meno degli strumenti e dei servizi gratuiti del digitale diventa sempre più complicato. Tuttavia avere controllo sulla privacy significa avere controllo sulla propria sicurezza. Infatti le nostre informazioni hanno un valore economico perché vengono utilizzate per monetizzare secondo modelli di business in grado di trasformare qualsiasi dato nel “nuovo petrolio” e di utilizzarli anche a nostro svantaggio.
Per questo motivo è necessario sviluppare un sesto senso che ci aiuti a proteggere la nostra reputazione online e l’identità digitale ed affrontare così una trasformazione in digitale sicura, serena e consapevole.