Che la protezione dei dati fin dalla progettazione – conosciuta semplicemente come “privacy-by-design” – fosse un requisito essenziale per ogni azienda del settore tecnologico che tratta dati personali, noi europei lo sapevamo da un quadriennio circa. GDPR (Art. 25) docet. Che, invece, la protezione dei dati diventasse un “trend” per alcune grandi aziende del ramo “tech”, un po’ meno.
Negli ultimi mesi stiamo assistendo ad una vera e propria corsa (utilitaristica, si intende!) alla “privacy compliance” da parte di alcuni grandi attori della scena tecnologica mondiale, segno incontrovertibile che – probabilmente – qualcosa è cambiato. Complici anche i salassi a cui sono sottoposte le Big Tech negli scontri con i massimi organismi dell’Unione Europea (si pensi alle elevate sanzioni per violazione della normativa privacy), la protezione dei dati da ostacolo all’innovazione ed allo sviluppo tecnologico, sta diventando “essenza” dei prodotti e dei servizi. Il tutto con un’inevitabile concorrenza tra “i leoni e le gazzelle” del panorama tecnologico mondiale.
Scorza: “Privacy, dalle big tech è amore interessato: che devono fare le authority”
La corsa di Apple e il freno di Meta
Lo scorso anno gli utenti iPhone hanno ricevuto sui propri device delle notifiche con la richiesta di permettere (o meno) il tracciamento della propria attività da parte di APP e di siti web di altre aziende (cosiddette “terze parti”). Una sorta di “banner cookie” nel quale era possibile effettuare una scelta al momento dell’uso di tale APP o di tale sito web. Tali notifiche facevano (e fanno) parte di una importante ed innovativa caratteristica degli iPhone chiamata “App Tracking Transparency (ATT)”, introdotta da Apple nell’aprile del 2021 con l’aggiornamento del sistema operativo ad iOS 14.5. Una caratteristica, questa di ATT, che se da un lato trova l’approvazione di un largo bacino d’utenza, dall’altro lato fa “storcere il naso” a qualcuno. E quel qualcuno è Meta.
Il produttore di iPhone sta per costare all’impero social di Mark Zuckerberg più di dieci miliardi di dollari proprio a causa delle “caratteristiche privacy” della sua App Tracking Transparency. Il motivo? Le caratteristiche privacy dell’ATT di Apple riducono il tracciamento delle attività dell’utente (nel caso, ovviamente, in cui l’utente abbia negato il tracciamento) revocando l’accesso al cosiddetto “identificatore per gli inserzionisti” (“Identifier for Advertisers” o “IDFA”), ossia – per esempio – a quel codice unico che mostra quando le persone vedono un annuncio su Facebook (Meta), lo cercano su Google e comprano qualcosa attraverso un determinato sito web. E Apple non sembra di certo volersi fermare all’ATT del suo iOS 14.5. Il nuovo gioiello iOS 15 (e versioni “decimali” successive), invero, ha esordito con l’inedito “APP Privacy Report”, che permette all’utente di visualizzare i dati a cui accedono le diverse APP installate sul proprio iPhone. E se gli utenti di Apple apprezzano, quelli di Meta – di certo – non si lamentano; il vero problema di Meta è il suo modello di business il quale, semplicemente, non si adatta al mondo di oggi, molto più attento alla privacy – come citato, in forma utilitaristica – di quanto lo fosse un paio di anni fa. In soldoni, Meta traccia le persone e vende loro pubblicità mirata ed una parte del suo bacino di utenza non pare esserne soddisfatta. Cosa che sta facendo perdere a Zuckerberg miliardi di dollari. Il tutto starà a vedere come e se il “metaverso” di Menlo Park potrà ribaltare l’andamento finanziario in discesa di Meta.
Il gioco di Google
Mentre Meta sta perdendo fior di quattrini grazie (anche) alla nuova politica privacy di Apple e ai suoi ATT, Google non accusa gli stessi colpi che il marchio della mela ha sferzato “involontariamente” al colosso di Zuckerberg. Anche una parte degli utenti Android aspetta pazientemente che sugli smartphone del “robottino verde” vengano implementate caratteristiche di privacy simili a quelle degli ATT di Apple, con annesso il permesso esplicito richiesto per l’accesso agli ID dei dispositivi Android. E, probabilmente, tale spasmodica attesa avrà i suoi frutti, ma non immediati. Invero, Google sta effettivamente apportando alcune modifiche alle caratteristiche privacy dei propri dispositivi; tuttavia, a detta del gigante di Mountain View, ciò non accadrà prima di un biennio. Inoltre, queste nuove caratteristiche potrebbero non avere lo stesso impatto che ha avuto la nuova politica di Apple sull’industria pubblicitaria (che ha colpito anche Meta). A differenza di Apple, infatti, Google ha bisogno di continuare a fare affari con i suoi inserzionisti, ai quali deve la maggior parte delle sue fortune. E i cambiamenti del prossimo biennio, annunciati da Google per Android, saranno “in aggiunta” ai sistemi pubblicitari esistenti, non in loro sostituzione (a meno che Google non voglia sposare totalmente la linea di Apple in futuro, si intende).
Tuttavia, la differenza dell’approccio privacy di Google e Meta è evidente: Big G, da un lato sa bene che il suo bacino d’utenza si preoccupa sempre più della propria privacy e della protezione dei propri dati personali; dall’altro ha affermato di star puntando a nuove soluzioni pubblicitarie “più private” che possano limitare la condivisione dei dati degli utenti con terze parti, operando senza identificatori “cross-app” (ossia tra due o più APP), compresi gli ID pubblicitari. Google ha dichiarato di star esplorando tecnologie che riducono il potenziale per la raccolta di dati nascosti, comprese modalità più sicure per le APP nell’integrazione con SDK pubblicitari (“Software Development Kit”, ossia quell’insieme di strumenti che permette a un team di sviluppatori di creare una APP che può essere connessa ad altri software).
Google e Apple a confronto
A differenza di Apple, Google ha affermato di aver preso atto che altre piattaforme hanno adottato un approccio diverso alla privacy con finalità di marketing limitando, senza mezzi termini, le tecnologie esistenti utilizzate da sviluppatori e inserzionisti. Inoltre, passando all’attacco, l’azienda di Mountain View ha cercato di dimostrare che l’ATT di Apple non risulta sempre efficace[1]. Come accennato, per Google è necessario innanzitutto fornire un percorso alternativo che da un lato tuteli il suo mercato e dall’altro preservi la privacy degli utenti; approcci come quelli di Apple, per Google potrebbero risultare inefficaci e comportare danni per la privacy dei suoi utenti, per il suo fatturato nonché per il fatturato delle imprese che fanno affari con Big G. Anche se – in concreto – difficilmente potrà farlo, Google sta cercando di accontentare tutti, sia pubblicitari che i suoi utenti Android, introducendo via via cambiamenti nel corso del tempo (anche se non immediati). Ad esempio, Google vuole allontanarsi dai famosi “cookie di terze parti”: l’azienda di Mountain View sa di averne bisogno, ma deve anche alimentare il suo modello di business “privacy-oriented”. Tra l’altro, Google FLoC (Federated Learning of Cohorts) – nato l’anno scorso nell’ottica del web tracking – non ha mai funzionato, ed è per questo che Google sta perseguendo nuove strategie (come quella di mettere in soffitta i cookie). Le modifiche alla privacy che verranno effettuate su Android – che vedranno tale sistema operativo dotarsi di una propria versione della “Privacy Sandbox” di Google – si baseranno sull’idea di “convivenza armonica” tra privacy e pubblicità mirata per gli utenti Android.
Google e lo stop ai cookies: quali nuovi modi per (non) trattare dati personali
Apple, come appurato, non si comporta come Google (e non certo come Meta), dato che il suo modello di business “autarchico” non si basa su inserzionisti. Il gigante fondato da Steve Jobs, in soldoni, può permettersi di apportare modifiche alla privacy degli utenti di iPhone come e quando vuole, senza dar conto a praticamente nessuna azienda del panorama mondiale. Ed è evidente come questo atteggiamento di business sia diventato un autentico punto di forza di Apple negli ultimi anni. La mossa di Google per “cercare di accontentare tutti” (gli attori del mercato, è chiaro), invece, non è uno shock per nessuno (e nemmeno per Big G stesso). Google ha i “piedi ben saldi” in entrambi i campi, sia con i suoi partner che con i suoi utenti. È sia un autentico “maestro” della pubblicità digitale che patron di Android e Chrome. E ogni volta che apporta un cambiamento, è immediatamente sotto attacco. Ma ne esce, praticamente, sempre bene.
Conclusioni
Trovare una via di mezzo tra il tracciamento e la privacy degli utenti è una delle linee più difficili da percorrere nei modelli di business della tecnologia moderna. La pubblicità micro-targettizzata ha fatto il suo tempo e gli sviluppatori dovrebbero guardare avanti piuttosto che ricordare i “bei vecchi tempi”. E Google ed Apple, a modo loro, hanno imboccato due sentieri paralleli molto interessanti. [2]
Note
- Study: Effectiveness of Apple’s App Tracking Transparency. Transparency Matters. https://blog.lockdownprivacy.com/2021/09/22/study-effectiveness-of-apples-app-tracking-transparency.html ↑
- Apple Issues Stunning New Blow To Facebook As Google Joins The Battle. Forbes. https://www.forbes.com/sites/kateoflahertyuk/2022/02/19/apple-issues-stunning-new-blow-to-facebook-as-google-joins-the-battle/?sh=420a8b9859de ↑