Nessuna necessità di apriscatole (qualcuno paventava una commissione parlamentare) e nemmeno il rischio di gogna mediatica per quei parlamentari che hanno usufruito del bonus 600 euro COVID‑19. Sui soldi pubblici non c’è storia, la privacy non c’entra: basta leggere le norme vigenti. In particolare, sarebbe sufficiente conoscere l’art. 26 del D.Lgs. 33/2013 che al comma 2, testualmente, prevede che
“Le pubbliche amministrazioni pubblicano gli atti di concessione delle sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari alle imprese, e comunque di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati ai sensi del citato articolo 12 della legge n. 241 del 1990, di importo superiore a mille euro”.
Le pubbliche amministrazioni, compresa l’INPS, devono, quindi, pubblicare sul loro sito web tutto quanto erogano a favore di imprese e cittadini quando l’ammontare supera i mille euro. Ma andiamo con ordine e cerchiamo di capire la fattispecie che, da qualche giorno, anima i dibattiti pubblici italiani.
Aggiornamento post pubblicazione di quest’articolo: anche il Garante Privacy ha confermato, con una nota odierna, che nulla osta alla pubblicazione dei nomi dei beneficiari e contestualmente comunica che “sarà aperta una istruttoria in ordine alla metodologia seguita dall’Inps rispetto al trattamento dei dati dei beneficiari e alle notizie al riguardo diffuse”.
I 600 euro (sicuro?)
Il bonus di cui hanno usufruito i tre parlamentari (a fronte, sembra, di cinque richiedenti) è previsto dall’art. 27 del D.L. 18 del 17/3/2020, convertito con modificazioni dalla legge 27 del 24/4/2020, che prevede l’attribuzione, per il mese di marzo, di una indennità di 600 euro “ai liberi professionisti titolari di partita IVA attiva alla data del 23 febbraio 2020 e ai lavoratori titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa attivi alla medesima data, iscritti alla Gestione separata di cui all’articolo 2, comma della legge 8 agosto 1995, n. 335, non titolari di pensione e iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie”. L’algebra, quindi, aiuterebbe i beneficiari: 600 euro è sotto la soglia dei 1.000 euro prevista per la pubblicazione obbligatoria.
Tuttavia, il comma 1, art. 84 del D.L. 34 del 18/5/2020, convertito con modificazioni dalla legge 77 del 17/7/2020, estende il beneficio anche al mese di aprile. Quindi, 600 più 600 fanno 1.200 euro: ci siamo! Siamo nell’obbligo di pubblicazione anche perché, il comma 3 del predetto art. 26 del D.Lgs. 33/2013 prevede che
“La pubblicazione ai sensi del presente articolo costituisce condizione legale di efficacia dei provvedimenti che dispongano concessioni e attribuzioni di importo complessivo superiore a mille euro nel corso dell’anno solare al medesimo beneficiario”
Inps ha obbligo legale di pubblicare gli atti per i bonus
Questo vuol dire che l’INPS aveva, ed ha, l’obbligo legale di pubblicare gli atti di concessione per tutti i beneficiari ai quali ha erogato il bonus sia nel mese di marzo sia nel mese di aprile. In caso di mancata pubblicazione cosa succede? L’atto risulterebbe viziato perché non soddisferebbe la condizione legale di efficacia e, peraltro, il periodo successivo del medesimo comma racconta chi può far rilevare l’inadempienza:
“La mancata, incompleta o ritardata pubblicazione rilevata d’ufficio dagli organi di controllo è altresì rilevabile dal destinatario della prevista concessione o attribuzione e da chiunque altro abbia interesse, anche ai fini del risarcimento del danno da ritardo da parte dell’amministrazione, ai sensi dell’articolo 30 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104”.
Molti aspetti riguardanti la pubblicazione, con finalità di trasparenza, diventano ancora più incisivi nel successivo art. 27 del D.Lgs. 33/2013. Nel pubblicare gli elenchi dei beneficiari nella sezione “Amministrazione trasparente” del sito le amministrazioni devono applicare “modalità di facile consultazione, in formato tabellare aperto che ne consente l’esportazione, il trattamento e il riutilizzo ai sensi dell’articolo 7 e devono essere organizzate annualmente in unico elenco per singola amministrazione”.
E l’ANAC, con la delibera n. 59/2013, è ancora più perentoria:
“In proposito, la Commissione è dell’avviso che le informazioni, suddivise per anno, debbano essere pubblicate in elenchi, consultabili sulla base di criteri funzionali (ad esempio, titolo giuridico di attribuzione, ammontare dell’importo, ordine alfabetico dei beneficiari etc.)”.
Quindi, un bell’elenco alfabetico sarebbe stato necessario fin da subito…
I limiti imposti dalla privacy
Certo, esistono alcuni limiti alla pubblicazione, espressi dal comma 4 dello stesso art. 26 del D.Lgs. 33/2013:
“È esclusa la pubblicazione dei dati identificativi delle persone fisiche destinatarie dei provvedimenti di cui al presente articolo qualora da tali dati sia possibile ricavare informazioni relative allo stato di salute ovvero alla situazione di disagio economico-sociale degli interessati”.
Quindi, non si possono esporre dati identificativi se nel provvedimento sono presenti dati personali riconducibili alla salute del cittadino oppure se la presenza nell’elenco fa emergere una condizione particolare che riguardi la povertà, la solitudine o altre condizioni personali che potrebbero indurre alla discriminazione o al dileggio. Quest’ultimo caso ricorre frequentemente nei benefici economici che erogano i comuni a favore dei soggetti deboli economicamente (p.e. ISEE molto basso) o socialmente (p.e. erogazione a favore di famiglie di immigrati).
Non ci sono limiti privacy per i bonus, ecco perché
Nel caso del bonus, tuttavia, la pubblicazione non rientrava in nessuna delle due limitazioni:
- certamente non emergevano dati riguardanti la salute;
- l’elenco, dato il criterio generale di erogazione, non avrebbe espresso alcuna condizione di disagio economico‑sociale strutturale per il beneficiario ma solo la concessione di un’occasionale indennità dovuta ad una emergenza sanitaria contingente.
Infine, il vigente quadro normativo in materia di protezione di dati personali non incide sulla pubblicazione. Infatti, l’art. 6, par. 1, lett. c) del Reg. UE 2016/679 (GDPR) prevede che l’operazione di trattamento di dati personali (in questo caso la pubblicazione) è lecita se “necessaria per adempiere un obbligo legale al quale è soggetto il titolare del trattamento” (appunto gli articoli 26 e 27 del D.Lgs. 33/2013).
Inoltre, più in generale (ed a tutela dell’interesse pubblico previsto dall’art. 6, par. 1, lett. e) del GDPR), l’art. 2‑ter, comma 4 del D.Lgs. 196/2003 (come modificato dal D.Lgs. 101/2018) prevede che “La diffusione e la comunicazione di dati personali, trattati per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all’esercizio di pubblici poteri, a soggetti che intendono trattarli per altre finalità sono ammesse unicamente se previste ai sensi del comma 1” cioè quando l’operazione di trattamento è prevista “da una norma di legge o, nei casi previsti dalla legge, di regolamento” (di nuovo gli articoli 26 e 27 del D.Lgs. 33/2013).