La recente modifica di Twitter alla sua policy sulla riservatezza potrebbe essere un duro colpo per il delicato equilibrio tra censura mediatica e diritto alla privacy: da oggi coprirà anche i “private media” condivisi senza il consenso dei rispettivi proprietari, potendo inficiare quindi l’attività giornalistica.
La questione è nota e sicuramente problematica se il 39% della popolazione globale non ha accesso libero alla rete, mentre il 75% di tutte le persone che possono accedervi vive in paesi dove diversi individui sono stati arrestati o imprigionati per aver pubblicato contenuti su questioni politiche, sociali o religiose: addirittura il 72% vive in paesi in cui diversi individui sono stati aggrediti o uccisi per le loro attività online.
Censura sui social network: come funziona, chi colpisce e perché
Il delicato bilanciamento tra privacy e libera informazione
In questo quadro generale, l’attività giornalistica è bloccata in tutto o in parte nel 73% dei 180 paesi classificati dall’organizzazione Reporters Without Borders (RSF), evidenziando come le minacce all’espressione digitale e alla libertà su internet sono incrementate, anche in conseguenza della pandemia da covid-19.
La pandemia, in particolar modo, ha sottolineato come la sorveglianza governativa continua a intensificarsi in tutto il mondo, mettendo a repentaglio la privacy e la sicurezza di milioni di persone. Il bilanciamento tra privacy e libera informazione ha implicazioni soprattutto a livello legale, in particolar modo nel campo dei diritti umani, in quanto tra i motivi legittimi di limitazione della libertà di espressione, vi è la tutela dei diritti e delle libertà altrui. Tuttavia, partendo dal caso Twitter, bisogna considerare anche le implicazioni delle nuove tecnologie per il diritto alla privacy e il ruolo svolto da attori statali e non nel controllo e nella sorveglianza delle comunicazioni.
L’attuale politica sulla privacy di Twitter
L’attuale politica sulla privacy di Twitter impedisce agli utenti del servizio di condividere le informazioni private di altre persone. La politica blocca “l’uso improprio dei media… che non sono disponibili altrove online come strumento per molestare, intimidire e rivelare l’identità degli individui”.
Questo ha portato, nel giro di poco tempo, a un aumento dei casi di censura di account e profili di attivisti antifascisti segnalati da esponenti di partiti di estrema destra per aver pubblicato video o foto dei loro associati. Governi ed organizzazioni non-profit spesso evidenziano l’importanza di facilitare l’accesso e l’uso di Internet e delle nuove tecnologie, ma raramente sottolineano le implicazioni che esse hanno sul diritto alla privacy. Di fatto, tale diritto non è stato pienamente sviluppato dai meccanismi di protezione dei diritti umani.
Lo stesso Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite non ha mai fornito considerazioni chiare sulla privacy e raramente ha riconosciuto la relazione interdipendente ma instabile tra privacy e libertà di espressione. Anche a livello europeo, la limitata competenza dell’unione in questo campo implica che il punto di riferimento in materia di interpretazione ed equilibrio tra la libertà di espressione e di diritto alla reputazione è la giurisprudenza della Corte EDU, che indica come punto chiave l’art. 8 dell’ECHR. Secondo la Corte, l’attacco all’onore personale e alla reputazione deve raggiungere un certo livello di gravità, tale da pregiudicare il godimento personale del diritto al rispetto della vita privata, per attivare la protezione di cui all’art.8.
La libertà di espressione in Europa
Secondo dati inerenti alla libertà di espressione, l’Europa è tra i continenti più rispettosi di tale diritto, anche grazie al GDPR, che tuttavia non tratta direttamente della libertà di espressione. Casi come i Panama Papers e Facebook-Cambridge Analytica hanno evidenziato l’importanza e la sensibilità dei dati personali e il ruolo fondamentale che l’attività giornalistica svolge nel garantire un’informazione libera e autonoma. Mentre a livello di diritto internazionale il bilanciamento tra privacy e libertà di espressione viene garantito da diversi standard, primo fra tutti la giurisprudenza della Corte EDU, non è chiaro come il GDPR riesca a mantenere tale bilanciamento, specialmente nelle declinazioni nazionali.
Le esenzioni giornalistiche per proteggere la libertà di parola
La formulazione di esenzioni giornalistiche per proteggere la libertà di parola procede a rilento e le disposizioni variano notevolmente tra stato e stato. Questa eterogeneità normativa ha creato un ventaglio di problematiche di carattere informativo e giornalistico, tra cui l’auto-censura per evitare sanzioni economiche.
Il caso di Twitter sicuramente evidenzia una delle problematiche più incisive sia a livello economico che normativo, ovvero il drastico e repentino aumento delle petizioni o richieste di censura nei confronti di giornalisti, testate giornalistiche e mezzi di comunicazione in generale. Nel caso di un social media dove la valutazione dell’infrazione della privacy dei dati è affidata a un gruppo interno all’azienda, possono verificarsi, come nel caso di Twitter, diversi casi di censura non verificata o incorretta, andando a ledere anche una funzione che Twitter ha implicitamente assunto nella distribuzione di informazioni critiche sulle campagne di odio online e nel mondo reale. In casi di censura non corretta e lesiva del diritto di espressione, la via principale per tutelare i diritti al tale libertà, nel caso dell’Unione Europea, resta il ricorso dinanzi alla Corte EDU, il quale richiede tempo e soprattutto il previo esaurimento di tutti i ricorsi interni dello stato interessato.
Altri eventi emblematici che evidenziano l’importanza del diritto alla libertà di espressione, dove l’intervento statale ha giocato un ruolo incisivo, sono il caso di Jamal Khashoggi e il caso di Patrick Zaki in Egitto. Da queste vicende si evince come il diritto alla privacy di qualcuno spesso implichi una limitazione dell’informazione pubblica su quella persona, il cui bilanciamento è sottile. Da un lato, l’implementazione incontrollata di tale diritto alla privacy può inficiare l’attività giornalistica a scopo divulgativo, che potenzialmente potrebbe essere usata per procedimenti giudiziari, come accaduto negli Stati Uniti nel gennaio 2021 quando contenuti pubblicati su Twitter sono stati utilizzati dai cittadini per identificare diversi tra gli assalitori del Campidoglio, permettendo in un secondo momento ai procuratori di aprire dei fascicoli nei confronti di queste persone. Dall’altro, la violazione del diritto alla privacy può portare a ritorsioni e complicanze anche fatali, come nel caso di Khashoggi e di altre migliaia di giornalisti nel mondo. L’attuale pandemia non ha mitigato i problemi che circondano queste tematiche, e anzi l’intervento statale nel campo digitale è incrementato. I governi di tutto il mondo sono intervenuti più assiduamente nel normare e filtrare le informazioni sui social media, ad esempio, nell’interesse di mitigare la diffusione di notizie false. Tuttavia, tale intervento statale si è trasformato, in alcuni casi, nell’applicazione di notevoli restrizioni al diritto alla libertà di espressione, nonché a un incremento di informazioni censurate sui social media.
Conclusioni
Le ulteriori limitazioni poste dalla nuova policy di Twitter si inseriscono in questo solco e rischiano di rendere ancora più complessa l’attività giornalistica e di diffusione delle informazioni in generale. In assenza del consenso delle persone ritratte in video e immagini ne sarà proibita la pubblicazione, forse salvaguardando le vittime di abusi o violazioni, ma certamente rendendo impossibili attività quali, ad esempio, l’individuazione di colpevoli di crimini.