Allettati dalla apparente gratuità dei servizi offerti dai colossi del web, abbiamo perso di vista l’importanza della tutela dei nostri dati personali e continuiamo ad alimentare gli smisurati profitti di una manciata di aziende che in rete fanno il bello e il brutto tempo.
Aziende che, tra l’altro, continuano ad aggirare le leggi varate per tutelare la riservatezza dei nostri dati, come dimostrano numerosi recenti scandali e inchieste.
E’ naturale domandarsi, a fronte di tutto ciò, come debbano essere regolamentate le Big Tech – trattandosi di società che operano attraverso piattaforme online che si differenziano dalle normali società commerciali – e cosa potremmo fare noi utenti per fermare la veloce evoluzione dei colossi del web in “autorità manipolatrici”.
L’autodenuncia di Tim Cook
E’ di qualche giorno fa il richiamo alla responsabilità delle Big Tech da parte di Tim Cook, CEO di Apple, davanti agli studenti dell’Università di Stanford.
Secondo Tim Cook le Big Tech “devono assumersi le responsabilità di quello che hanno creato…Del caos che hanno creato… Ultimamente l’industria tecnologica è più conosciuta per qualcosa che è meno nobile dell’innovazione: ovvero per il ritenere che si possano rivendicare i meriti senza accettare la responsabilità”.
Le bad practice
Ogni giorno assistiamo al furto di dati, violazioni della privacy; i social media vengono utilizzati per incitamenti all’odio ed assistiamo al proliferare delle cosiddette “fake news”.
Inoltre, un’enorme quantità di dati che ci riguardano è resa facilmente disponibile e una volta aggregate tali informazioni possono essere facilmente vendute e rubate. Stiamo perdendo la nostra “anima”, la libertà come essere umani; veniamo considerati “merce” di scambio tra le Big Tech e le società di marketing e, impotenti, assistiamo a questo proficuo mercato.
In rete prevalgono le piattaforme vincenti, secondo parametri di mercato e dei consumatori; ma è necessario indagare per verificare se queste piattaforme abbiano attuato politiche di concorrenza sleali per impedire ai propri concorrenti di entrare nel loro mercato. Le Big Tech fanno di tutto per essere dominatrici incontestate, una sorta di società “piglia tutto” del mercato online. Tanto è vero che ci si domanda sempre più se siano legali le continue acquisizioni di Big Tech come Google e Facebook che inglobano quelle società considerate come “potenziali” concorrenti prima che queste crescano e così facendo esercitano un sempre maggiore potere sul mercato.
Società come Google e Facebook esercitano incontrastate il loro potere. Esse non sembrano prendere in considerazione misure che permettano agli utenti/clienti di evitare la “profilazione dei dati”, in quanto la loro attività di business si basa essenzialmente su ciò. Non vogliono considerare modelli alternativi di pubblicità, nonostante altre società abbiano dimostrato che possono funzionare senza impattare negativamente sui profitti e soprattutto sulla privacy degli utenti/clienti (i.e.Contextual advertising).
La società liquida e i nostri dati sensibili
Siamo di fronte ad una società liquida dove è difficile stabilire un confine tra ciò che pubblico e privato; tutta la nostra attività su internet lascia una traccia e le Big Tech lo sanno bene e raccolgono queste informazioni per trarne profitto. Noi d’altro canto stiamo rinunciando alla nostra privacy, dimenticandoci che ogni singola informazione può rivelarsi come dato sensibile su di noi.
Pensiamo alle migliaia di foto che carichiamo su internet e come sia sempre più diffusa la capacità, da parte dei computer, di riconoscerne l’identità. Dunque un’aumentata quantità di dati facciali disponibili su cloud che diventa sempre più diffuso ed offre una gestione delle infrastrutture digitali anche attraverso lo smartphone. Ma quest’approccio non è in contrasto con il concetto di privacy e del concetto di anonimato?
Dobbiamo ricordarci che le piattaforme raccolgono i dati sui consumatori per poi utilizzarli per fini pubblicitari mirati sulle singole persone, lanciando messaggi su misura e molto persuasivi.
Di fatto noi utilizziamo queste piattaforme gratis senza accorgerci che siamo “noi” la merce di scambio, il prodotto. La nostra vita è collegata a queste piattaforme, sempre più trascorriamo il nostro tempo su di esse e, così facendo, permettiamo di raccogliere tutti i dati necessari per capire cosa ci piace, quale sia il migliore prodotto che siamo disposti a comprare. Le Big Tech si garantiscono così sempre maggiori ricavi: secondo le statistiche, il 90% dei loro ricavi deriva dalla pubblicità – di cui controllano anche il mercato – e si prevede che a fine 2019, tali ricavi si attesteranno intorno ai 200 miliardi di dollari.
La realtà descritta nel film “Minority Report” è ogni giorno più verosimile, tutti sapremo tutto di tutti ed assisteremo ad un nuovo concetto di privacy: le persone saranno influenzate o discriminate per quello che sarà reso disponibile sulle varie piattaforme senza che ce ne sia consapevolezza.
E non è tutto: l’organizzazione europea senza scopo di lucro NOYB, che persegue la rigorosa applicazione della legge sulla privacy, ha dimostrato, inoltre, che società di streaming online come Netflix, Amazon, Spotify, Youtube ed Apple stanno, di fatto, violando l’articolo 15 del GDPR, (i.e. Diritto di Accesso dell’Interessato). Esse utilizzano sistemi automatizzati per fornire informazioni pertinenti ai clienti; ma in realtà, i dati che l’utente ha il diritto di ottenere non sono forniti, oppure risultano lacunosi, non comprensibili, omettendo informazioni.
Come difendersi?
Quali alternative esistono? Ci interessa davvero la nostra privacy, oppure, siamo stati talmente manipolati dalle Big Tech che non ci preoccupiamo, come dovremmo, dei nostri dati? Esistono modalità note per salvaguardare la nostra privacy (mail criptate, blockchain, navigazione anonima), pur beneficiando della grande quantità di dati e, ovviamente le Big Tech lo sanno. Il problema risiede nel fatto che questo approccio implica lo spostamento del rapporto costi/ricavi tra chi è titolare dei dati e i soggetti dei dati e, quindi è meglio non parlarne.
Quali leggi esistono per contrastare questo modus operandi? Quale influenza esercitano le lobby delle Big Tech sul sistema di regolamentazione del mercato sia in Usa sia in Europa?
Non esistono regolamentazioni adeguate, ad oggi, atte a proteggerci veramente dagli abusi di utilizzo di dati personali; si parla di trasparenza sulla modalità di utilizzo dei dati degli utenti/consumatori, ma siamo veramente sicuri che le Big Tech comunichino veramente cosa fanno con i nostri dati? Non ci stanno forse spingendo a rivelare sempre più dati su noi stessi per conseguire maggior profitto?
Nuove misure in vista
Il Governo americano sembra abbia intenzione di mettere le Big Tech sotto la lente di ingrandimento e stia prendendo in considerazione il varo di leggi atte a smembrare le compagnie troppo grandi in divisioni più piccole. Inoltre da più fonti recentemente è stato dichiarato che sia stata avviata un’inchiesta sulle principali piattaforme digitali, iniziando da quelle già nel mirino del Comitato della Camera: Google, Apple, Facebook e Amazon. Di sicuro, se questa indagine dovesse riscontrare irregolarità, si prevede il coinvolgimento del Dipartimento di Giustizia e della FTC.
Purtroppo la elevata dinamicità ed “innovatività” di queste imprese e dei relativi mercati in cui esse operano, fa sì che qualsiasi procedimento antitrust che si attui sia destinato a durare negli anni. Pertanto quando si arriva ad una sentenza, il mercato risulta già nuovamente cambiato. Ne consegue che è assai difficile porre freno ad eventuali azioni sleali e, forse, varrebbe la pena che le Autorità di Regolamentazione e/o altre istituzioni preposte intervenissero con una regolamentazione ad hoc, come già successo in termini di regolamenti sulla privacy, protezione dei minori in rete, problematiche di copywright.
Non solo concorrenza sleale, ma anche violazione della privacy: basti ricordarsi degli scandali delle “fake news” e del caso dell’utilizzo dei dati di Cambridge Analytica. In questo scenario potrebbe essere presa in considerazione la creazione di un’Autorità per il digitale per monitorare le modalità di comunicazione e regole della privacy, cui tutte le Big Tech si dovrebbero adeguare.
Se da un lato Microsoft ha adottato le misure necessarie, installando una dashborad, ad hoc, che permette all’utente di avere il controllo dei propri dati, per essere conforme alla regolamentazione del GDPR entrato in vigore un anno fa in Europa, dall’altro lato altre Bigh Tech come Facebook e Google hanno fatto fatica a conformarsi e sono state più volte accusate di violare le normative europee, in materia di libertà di scelta, con il ricorrere ad un consenso forzato nei riguardi dei loro utenti.
Controllo dei dati e potere
La nostra epoca è caratterizzata dalla presa di coscienza del valore dei dati: chi ha il controllo dei dati detiene, di fatto, il potere. Ma cosa può fare, per esempio, in Italia il Garante della Privacy? Sarà sufficiente la normativa europea del GDPR per garantire la difesa della privacy dell’individuo? E non dovremmo anche considerare il risvolto etico che la gestione del dato implica? Non ci dovrebbe essere un’etica digitale? Non dovremmo occuparci di cosa sia moralmente sostenibile dato che i Big Data dovrebbero essere al servizio dell’uomo, salvaguardandone la dignità ed il rispetto, i diritti e la libertà?
Abbiamo preso consapevolezza di come funziona la rete e di come agiscono le Big Tech, di come la privacy sia il mezzo ed il prezzo per garantire la nostra libertà.
Navighiamo apparentemente ”liberi” nel mondo digitale, accediamo a contenuti e servizi gratuiti, ma quanto sono veramente tali? Non stiamo forse vendendo il nostro futuro, la nostra libertà? La tecnologia, che abbiamo creato per essere liberi, ci controllerà sempre più? Quale sarà la battaglia da combattere per avere il controllo delle nostre informazioni? Senz’altro saremo costretti, se non vogliamo che le Big Tech si convertano in “autorità manipolatrici”, a lottare per una normativa che tuteli la libertà ed un uso corretto dei Big Data senza manipolarci.
Non dimentichiamoci che la lotta è già in atto, dobbiamo solo prenderne parte per contrastare il monopolio delle Big Tech.