Sul finire dello scorso anno, l’Unione Europea ha dibattuto a lungo sulla possibilità di violare la crittografia end-to-end per consentire migliori risultati alle forze dell’ordine nelle indagini criminose di qualsiasi genere. Da un lato, l’argomento lambisce il tema, assai controverso, della sorveglianza come prevenzione. Dall’altro avvicina e consacra il cosiddetto social sorting, concetto figlio del sociologo scozzese David Lyon, in cui l’analisi dei dati porta a profilare, prevedere e anticipare le mosse delle persone. Per comprenderne le implicazioni, partiamo da due esempi.
Le mosse francesi sulla sorveglianza e le novità privacy di Whatsapp
In attesa che venga discussa in Senato, in Francia una modifica alla proposta di legge sulla sicurezza ha fatto alzare un vero e proprio polverone lo scorso novembre, con proteste e manifestazioni in strada, oltre 130.000 persone solo nella giornata del 28 novembre.
Presentata a fine ottobre dai deputati Alice Thourot e Jean-Michel Fauvergue del partito di Macron Lrem, La République en Marche, la proposta di legge in questione vedrebbe nell’articolo 24 un potenziamento dell’uso di droni e videocamere da parte della polizia municipale. Nello stesso tempo, nel caso in cui le immagini catturate da queste strumentazioni di sicurezza ritraggano gli agenti di polizia, vi sarà una limitazione nella loro diffusione su organi di stampa ufficiali e social network, per non danneggiare l’integrità fisica e morale degli stessi agenti. Al contrario, la pena è molto severa e prevede infatti un anno di reclusione e una multa fino a 45.000 euro.
Non è mancato l’intervento dell’Onu per chiedere alla Francia una revisione attenta della proposta di legge, ad oggi “incompatibile con il diritto internazionale dei diritti umani”. Come ha dichiarato l’ex ministro dell’interno Christophe Castaner, ci sarà una riscrittura totale del testo che “sarà realizzata come parte di uno sforzo collettivo dai tre gruppi della maggioranza, con l’obiettivo di rafforzare la sicurezza delle forze dell’ordine e garantire il diritto fondamentale alla libera informazione”.
Al di là della disapprovazione per le modifiche all’articolo 24, Macron ha affermato che “c’è un problema di violenza e di razzismo nella società” ed è necessario che le forze di polizia dimostrino esemplarità in ogni circostanza, per cui non si tratta solo dell’articolo 24, ma di una serie di manovre che il governo francese deve mettere in piedi per combattere il crimine e tutelare la popolazione.
Nel frattempo, a proposito di sorveglianza, oltreoceano la piattaforma di messaggistica istantanea ormai di proprietà di Zuckerberg, Whatsapp, sta aggiornando i propri termini e l’informativa privacy e chiederà esplicitamente agli utenti il consenso entro il 15 maggio, pena la disattivazione del proprio account. Entrambi gli eventi pongono delle riflessioni perché va capito bene cosa accadrà e cosa ci chiedono gli attori coinvolti.
Una società di controllori e il Social Sorting
L’esempio francese e quello che riguarda Whatsapp denotano come la nostra società sia invasa sempre più dalle profilazioni, dati che fluttuano e ci controllano. Prima di tutto questo controllo arriva dalle immagini: usiamo emoticon per esprimere i nostri sentimenti, infografiche per riassumere con immagini e poco testo dei concetti chiave. Gli stessi social network danno sempre più spazio a immagini e meno alle parole, basti pensare al successo degli ultimi tempi di Instagram e TikTok che si nutrono di immagini, a scapito di Facebook, per esempio.
Chiunque può far sì che la propria vita, attraverso le sue immagini, venga controllata da chiunque altro sui social network. Qui si innesta l’analisi di Lyon che dice già molto con il solo titolo della sua opera “La cultura della sorveglianza. Come la società del controllo ci ha reso tutti controllori”. Se in passato, infatti, il controllo era di tipo verticale perché avveniva tramite uno stato totalitario o le polizie segrete, oggi è di tipo orizzontale, ossia siamo noi stessi a sorvegliare la società e far sì che lo facciano gli altri su di noi, ci osserviamo e controlliamo l’un l’altro.
Con l’espandersi delle nuove tecnologie, poi, questo monitoraggio è andato un po’ degenerando: con uno strumento che ormai tutti hanno, lo smartphone, si riesce a immortalare anche il vicino di casa che probabilmente sta commettendo un’infrazione e renderlo pubblico sulle piattaforme social in tempo reale per denunciarlo. Da controllori diventiamo accusatori dell’altro e questo continuo scambio crea quella patina di negatività dilagante che lo stesso Macron ha denunciato per la sua Francia.
Cosa si intende per social sorting e da cosa deriva
Da qui il concetto di social sorting, creato, come detto, proprio da David Lyon, che sta prendendo sempre più piede. Per social sorting si intende la categorizzazione dei dati grezzi legati a un gruppo di persone, che può essere basato sulla razza, il genere, lo stato occupazionale, lo stato sociale etc., in vari segmenti da manipolatori e broker di dati. Questi ultimi, in base ai loro scopi, raccolgono i dati grezzi e li rendono funzionali a un obiettivo specifico. In questo modo si creano tendenze e si promuovono previsioni. Questo smistamento sociale lo troviamo anche nel passato, basti pensare alla divisione di genere uomo-donna nel mondo del lavoro o alla divisione etnica bianco-nero per padrone-schiavo.
Il PageRank, antesignano del social sorting
Questo meccanismo di selezione e divisione per categorie ci ricorda quello che regola il noto PageRank, algoritmo nato nel 1998 che mette insieme e in collegamenti ipertestuali le pagine ricercate nei motori di ricerca, assegnando un valore di importanza e di affidabilità contenutistica a ciascuna di esse. La stessa parola ci suggerisce il suo funzionamento: “rank” significa classifica e sta per classificazione dei siti, “page” vuol dire pagina, ma in parte viene anche dal nome del suo creatore, che si chiama proprio Larry Page.
Com’è nato il PageRank? Nel 1996, all’interno del progetto “Stanford Integrated Digital Library Project” (SIDLP), Larry Page e Sergey Brin svilupparono la prima formula su un nuovo tipo di motore di ricerca chiamato BackRub, che poi è il nome originale di Google, in cui l’algoritmo classificava le pagine in base al numero di “back link” di una pagina, i link che puntavano a un sito web, allo scopo di creare una biblioteca digitale universale. Seguì poi l’idea di riordinare le informazioni in base alla “link popularity”, quindi alla popolarità dei link, considerando non solo i link in entrata ai documenti elettronici, ma anche il valore del PageRank delle pagine da cui essi partono.
Al fianco di Page e Brin, anche Scott Hassan e Alan Steremberg hanno contribuito allo sviluppo di Google, mentre Rajeev Motwani e Terry Winograd hanno scritto insieme a loro il primo documento, pubblicato nel 1998, che descrive il PageRank e il prototipo iniziale di Google. Da lì Page e Brin fondarono la società Google Inc. e depositarono il brevetto del PageRank. Nonostante fosse un marchio di Google, il brevetto fu assegnato alla Stanford University, con i diritti di licenza esclusivi a Google in cambio di 1,8 milioni di azioni che l’università ha poi venduto nel 2005 per 336 milioni di dollari.
Conclusioni
Per un futuro migliore bisogna attivare un processo che comprenda tutte le criticità di un luogo attraverso un approccio globale e non più settoriale. Dato questo, si può proporre un algoritmo, che va dal semplice black-out a un potenziale attacco terroristico, che prenda in visione prima il contesto e non renda un sistema per forza replicabile su vasta scala quando le condizioni di riferimento sono diverse.