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Difesa dei dati personali online: i possibili scenari dell’era post cookie

Il web sta per attraversare la sua prima vera e propria sfida, che dovrebbe ridefinire i canoni dell’economia digitale, mettendo al centro la privacy come diritto fondamentale dell’essere umano. Apple e Google hanno aperto la strada, con due approcci molto diversi. Ecco le possibili evoluzioni per la data protection

Pubblicato il 15 Ott 2021

Elio Franco

Avvocato, Founder presso Franco, Pirro & Partners

big tech

Apple e Google hanno avviato una battaglia per la difesa dei dati personali sul web, pur seguendo due approcci diversi. La prima integra nei suoi sistemi operativi degli strumenti che consentono all’utente di rendersi anonimo (o quasi) durante la navigazione o l’uso di app, la seconda, invece, punta a rinnovare il modello di profilazione degli utenti, considerandoli in cluster suddivisi per gusti e non più come singole persone.

Questo nuovo approccio alla data protection si rifletterà nel medio-lungo termine sul web stesso, facendolo evolvere verso tre possibili nuovi scenari: il primo potrebbe essere caratterizzato da una generalizzazione dell’offerta pubblicitaria, veicolando messaggi meno pertinenti; il secondo, invece, potrebbe condurre a un aumento del costo dei servizi, dato che potranno essere raggiunte meno persone; il terzo, infine, potrebbe condurre le aziende a dover tracciare gli utenti con altri strumenti, da combinare a quelli di Cupertino e Mountain View, portando ad una profilazione ancora più invasiva.

Privacy, Google insegue (controvoglia) Apple: un passo avanti ma la trasparenza è lontana

Un futuro di offerte generalizzate e meno pertinenti

Il primo scenario è legato alla soluzione di Google che, nell’ambito del suo progetto Privacy Sandbox, creerà le cosiddette FLOC (Federated Learning of Cohorts) ossia dei cluster di persone con interessi similari. Per esempio, se un utente cerca informazioni per un weekend a Cortina d’Ampezzo, Google lo inserirà nel gruppo di tutti gli utenti a cui piace passare un weekend in montagna. Nel momento in cui l’utente apre un nuovo sito, quest’ultimo di preoccuperà di chiedere al browser un identificativo anonimo dei gruppi di appartenenza dell’utente, mostrandogli annunci di suo probabile interesse relativamente ai fine settimana sulla neve.

Secondo i test eseguiti da Big G, il nuovo sistema conduce a risultati del tutto similari rispetto al tracciamento basato sui cookie (“advertisers can expect to see at least 95% of the conversions per dollar spent when compared to cookie-based advertising”).

Privacy Sandbox di Google, il compromesso tra pubblicità e tutela dei dati

Teoricamente, il nuovo sistema di Google dovrebbe essere meno invasivo rispetto al tracciamento tramite cookie, ma, di contro, potrebbe offrire agli utenti degli annunci più generici e meno pertinenti rispetto ai loro gusti, con la conseguenza che le aziende che sino ad oggi hanno basato il proprio modello di business sul raggiungere gli utenti per il tramite di annunci personalizzati, hanno poco più di due anni per rivedere le proprie politiche aziendali. Basti pensare a chi ha un blog che si sostiene sulla pubblicità contestuale: ove non riuscisse a trovare un sistema alternativo agli annunci personalizzati, potrebbe soccombere nel giro di poco tempo. Secondo alcuni esperti di sicurezza  il sistema FLOC, comunque, potrebbe comportare anche nuovi rischi, visto che i soggetti più fragili potrebbero essere inseriti in cluster di annunci scam.

Servizi più costosi, senza un aumento della loro qualità

Il secondo scenario, invece, è più legato alla politica di Apple, rivolta a impedire qualsiasi tipo di tracciamento dell’utente, con qualsiasi sistema. Infatti, su richiesta dell’utente, le app non tracciano più il suo comportamento durante l’uso, così come chi invia newsletter non saprà quale azione potrà compiere il destinatario e, ancora, iCloud Private Relay rende totalmente anonima la navigazione da qualunque dispositivo Apple aggiornato ad iOS 15 o a macOS Monterey (quest’ultimo, ad oggi, non ancora rilasciato al pubblico), grazie all’anonimizzazione dell’indirizzo IP (che, comunque, identificherà l’area geografica da cui ci si connette, onde evitare che determinati servizi, come quelli di streaming, non siano fruibili) e allo scambio di dati crittografati. È evidente che sulle piattaforme di Cupertino l’utente può diventare invisibile (o quasi) a qualunque sistema di tracciamento, cosa che desta più di una preoccupazione da parte di sviluppatori, editori e, più in generale, content creator. Quindi, visto che il tasso di acquisizione di nuovi utenti interessati ai servizi offerti potrebbe essere di gran lunga inferiore rispetto all’attuale, l’unica soluzione percorribile sembrerebbe essere quella di aumentare il prezzo al pubblico, di modo da non subire una contrazione dei ricavi che potrebbe portare alla insostenibilità del business.

Una simile strada è già stata presa da alcuni e-commerce oltreoceano che, per compensare la perdita di traffico generato dagli annunci pubblicitari su Facebook, che non riesce più a profilare correttamente la propria utenza iOS, hanno scelto di aumentare di circa il 5% il prezzo al pubblico dei loro prodotti più popolari. Un altro metodo potrebbe essere quello di offrire i propri servizi ad abbonamento mensile, di modo da generare un cash flow che porti alla sostenibilità finanziaria dell’impresa. Quest’ultima soluzione, peraltro, potrebbe essere ancor più profittevole se, effettivamente, Apple si uniformerà alla decisione della Corte Distrettuale della California del Nord, consentendo agli sviluppatori di offrire la sottoscrizione dei piani di abbonamento tramite sistemi diversi dall’acquisto in-app.

Sentenza Epic-Apple: gli impatti concreti su sviluppatori e utenti

Insomma, il diritto alla riservatezza dell’utente sarebbe bilanciato da maggiori costi da sostenere, invertendo il paradigma del “se qualcosa è gratis, il prodotto sei tu” su cui si è basata l’economia del web e delle app negli ultimi decenni.

Un cocktail di sistemi di tracciamento, ancor più invasivi

Il terzo scenario, meno probabile, ma più catastrofico per la privacy degli utenti, è quello della possibilità per gli sviluppatori di ricorrere o a sistemi di tracciamento più invasivi e che non possano essere bloccati a livello di sistema operativo, o a un mix di pratiche di analisi i cui dati, combinati, riescano a tracciare dei profili ancor più dettagliati rispetto a quelli attuali. Uno scenario simile renderebbe fallimentare l’approccio di Google al rinnovamento dell’advertising, ma difficilmente riuscirebbe ad aggirare quello più integralista di Apple.

Vantaggi e svantaggi per le altre big tech

È ovvio che l’approccio di Google ed Apple inciderà, giocoforza, sulle altre big tech quali Facebook, Etsy, eBay ed Amazon stessa che si troveranno di fronte a un bivio: adottare una politica simile a quella delle FLOC di Google o percorrere vie alternative? Sicuramente, almeno nel primo periodo, gli investimenti pubblicitari delle imprese nei sistemi di advertising delle big tech appena menzionate saranno destinati a salire per trovare più clienti, almeno sino a che non si troverà un nuovo equilibrio di mercato.

Le grandi dell’advertising online, quindi, potrebbero trarre un primo beneficio in termini di ricavi che potrebbero compensare i costi di ricerca e sviluppo di nuovi sistemi di tracciamento, più rispettosi della privacy degli utenti.

La privacy dell’utente, fra reputazione aziendale e normative sempre più stringenti

Apple, già dal 2017, ha iniziato a disabilitare il tracciamento da parte dei siti web se l’utente naviga con Safari, per poi introdurre lo scorso anno con iOS 14 l’App Tracking Transaparency, che consente di disabilitare il tracciamento tramite app al primo avvio delle stesse tramite pop-up, sino ad integrare in iOS 15 e macOS Monterey i servizi di blocco dell’e-mail tracking e di iCloud Private Relay per la navigazione anonima. Google, dal canto suo, ha promesso che dal 2023 Chrome bloccherà qualsiasi forma di tracciamento degli utenti tramite cookie, per abbracciare un sistema che identifica non più le preferenze del singolo utente, ma quello di un gruppo più ampio di persone con i suoi stessi gusti e interessi a cui appartiene.

Se in quel di Cupertino, la tutela della privacy degli utenti è sempre stata una bandiera (basti pensare al caso dell’attentatore di San Bernardino, quando Apple si rifiutò di sbloccare un iPhone 5c per consentire all’FBI di accedere ai dati ivi contenuti) Google sta cambiando radicalmente approccio, rispetto al passato, se non altro poiché da due diversi studi di Ipsos (Privacy by Design: Exceeding Customer Expectations) e Boston Consulting Group (The Fast Track to Digital Marketing Maturity), entrambi commissionati da Big G stessa, è emerso che oltre il 70% degli utenti web fra i 16 e i 74 anni sono preoccupati da come vengono usati i loro dati raccolti durante la navigazione sul web. Dunque, i player che non danno il giusto peso alla privacy online rischiano di perdere la fiducia dei loro clienti che, per usufruire degli stessi servizi, potrebbero rivolgersi ad altri concorrenti.

È, quindi, ovvio che nel prossimo futuro assisteremo ad una evoluzione dell’attenzione delle big tech alla privacy degli utenti, anche perché molti Stati iniziano ad adottare leggi simili al nostro GDPR, cosa che comporta, di fatto, una spinta verso l’innovazione dei modelli di profilazione, se non altro per evitare pesanti sanzioni.

La prossima grande evoluzione del web

Gli approcci di Apple e Google sono decisamente agli antipodi: il primo, integralista o, quantomeno, più ortodosso, consente all’utente di rendersi invisibile sul web, il secondo, più innovativo, mira a reinventare l’advertising, senza eliminarlo. Del resto, la prima a non avere interesse a una chiusura totale dei sistemi di tracciamento è Google stessa che, sui dati personali, ha saputo costruire la sua fortuna (a volte anche a nostro discapito).

Il web, quindi, sta per attraversare la sua prima vera e propria sfida, che dovrebbe ridefinire i canoni dell’economia digitale, mettendo al centro la privacy come diritto fondamentale dell’essere umano.

Non è dato sapere quale delle due soluzioni prenderà piede: Apple ha dal canto suo una diffusione capillare nel settore mobile, Google produce Chrome, il browser più diffuso al mondo. Forse (e sarebbe la soluzione migliore) si potrebbe arrivare a una soluzione ibrida, che consenta, cioè, di continuare a profilare gli utenti in base alle loro preferenze, collocandoli in uno o più cluster, senza dover tracciare ogni loro singolo movimento. Ove, invece, dovesse prevalere la via più chiusa di Apple, ci si dovrà preparare ad un aumento generalizzato dei costi dei servizi che, comunque, non offrirebbero una qualità migliore rispetto all’attuale, essendo detto aumento necessario a compensare le perdite derivanti dalla difficoltà di raggiungere gli utenti. In conclusione, i prossimi due anni saranno fondamentali per comprendere anche come gli utenti affineranno la propria sensibilità a questi temi e a quale modello di tutela vorranno tendere.

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