la sentenza della Corte Ue

Diritto all’oblio, quando prevale sul diritto di cronaca? I paletti della Corte Ue per i diritti dell’uomo

Non c’è violazione dell’art. 10 della Convenzione Ue per i diritti dell’uomo se una testata online viene condannata a risarcire i danni d’immagine legati alla mancata rimozione di un contenuto dalle proprie pagine web. Lo ha stabilito una recente sentenza della Corte di Giustizia per i Diritti dell’Uomo. Ecco le motivazioni

Pubblicato il 01 Dic 2021

Massimo Borgobello

Avvocato a Udine, co-founder dello Studio Legale Associato BCBLaw, PHD e DPO Certificato 11697:2017

diritto all'oblio

La condanna al risarcimento dei danni per violazione del diritto all’oblio da parte di una testata online che non aveva provveduto alla deindicizzazione di un articolo non viola l’articolo 10 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo. Questo, in sostanza, quanto deciso dalla Corte Europea il 25 novembre 2021.

Privacy e diritto all’oblio: senza regole certe, a rischio democrazia e memoria

La vicenda e la decisione

La sentenza è interessante; un po’ meno la vicenda da cui è scaturita.

Nel 2008 la testata online PrimaDiNoi aveva pubblicato la notizia di una lite finita male – a coltellate – tra due fratelli nel ristorante di loro proprietà.

Nel 2010 uno dei protagonisti della lite ha promosso causa civile nei confronti della testata online per chiedere il risarcimento dei danni da lesione del diritto all’oblio, per la mancata rimozione (deindicizzazione) dell’articolo.

Le tesi contrapposte vedevano uno dei protagonisti della vicenda giudiziaria lamentare la violazione della propria privacy perché l’articolo era facilmente reperibile in rete e questo determinava un danno d’immagine al ristorante, perché i primi risultati che comparivano sui motori di ricerca riguardavano la notizia riportata da PrimaDiNoi.

Il direttore della testata, per parte sua, riteneva che, avendo riportato la notizia con ogni crisma verità, accuratezza e continenza, non aveva l’obbligo di rimuovere il pezzo a soli due anni dall’accaduto.

Persa la causa avanti al Giudice civile – e conclusi i vari gradi di giudizio – il direttore veniva condannato definitivamente a pagare un risarcimento del danno pari a 5.000 euro.

Ritenendo che l’esito del giudizio violasse l’articolo 10 della Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo, il direttore faceva ricorso alla Corte Europea per chiedere, a sua volta, che lo Stato italiano fosse condannato a risarcire i danni che aveva patito.

La tesi di fondo era, ovviamente, che la libertà di espressione ed il diritto di cronaca dovessero essere tutelati ai sensi dell’articolo 10 della CEDU e che la condanna al risarcimento dei danni che aveva dovuto pagare fossero illegittimi.

La posizione della Corte di Giustizia per i Diritti dell’Uomo

La posizione della Corte di Giustizia per i Diritti dell’Uomo è stata chiara, precisa, sintetica ma esaustiva nel rigettare il ricorso promosso dal direttore della testata.

In primo luogo, ha sottolineato che rimuovere o deindicizzare l’articolo non erano attività dispendiose per la testata e che potevano essere effettuate senza pregiudizio di sorta.

In secondo luogo, la Corte ha correttamente evidenziato come la natura penale della vicenda coinvolgesse dati sostanzialmente sensibili e che, quindi, meritavano tutela rafforzata.

Terzo passaggio rilevante della sentenza della Corte EDU è il calare dell’interesse per le notizie di cronaca in ragione del passare del tempo: il mantenimento online successivo alla richiesta di rimozione (giunta dopo 8 mesi dal fatto) non è stato ritenuto giustificato dai Giudici i Strasburgo.

Da ultimo – ma importantissimo – il direttore era stato condannato ad un risarcimento di natura economica e non aveva subìto un procedimento penale.

La restrizione del diritto previsto dall’articolo 10 della Convenzione EDU, in ragione della legislazione nazionale, è sembrata quindi ragionevole perché bilanciata rispetto agli interessi in gioco e, comunque, proporzionata per quantità e qualità della sanzione.

Conclusioni

Spesso i giornalisti si trincerano dietro il diritto di cronaca per mettere in piazza il mostro e vendere qualche copia in più o ottenere più visualizzazioni dei pezzi che pubblicano.

Questo modo di procedere ormai è palesemente – quanto correttamente – limitato dalle normative vigenti, perché la diffusività delle informazioni online è talmente pervasiva da condannare a vita una persona a essere legata a determinati fatti.

L’impiego dello strumento telematico di comunicazione determina, in capo ai soggetti qualificati, anche una maggiore responsabilità: nel caso di specie, il bilanciamento è stato effettuato tra diritto di cronaca e diritto all’immagine del ristorante di proprietà dei protagonisti della vicenda.

La possibilità di tutelare il secondo diritto senza comprimere il primo mediante la deindicizzazione – o la rimozione dagli archivi online – di un articolo e la possibilità di adire la giustizia civile – senza scomodare il giudice penale – determinano una maggior tutela del diritto all’oblio rispetto al diritto di cronaca che, per sua stessa natura, può essere invocato soltanto per un periodo ragionevole di tempo.

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