Il Governo è intervenuto nei giorni scorsi[1] con un Decreto legge volto a estendere l’utilizzo del green pass (o “certificazione verde”) in Italia.
Il Decreto Legge n. 105/2021 ha introdotto – dal prossimo 6 agosto – l’obbligo di esibire la certificazione verde (green pass appunto) per accedere a un serie di servizi e fruire di alcune attività, e in virtù di questo, in molti hanno iniziato a interrogarsi sui possibili utilizzi del green pass, ulteriori rispetto alle finalità attualmente previste dalla legge.
Green pass che dolore: tutti i problemi ignorati dall’obbligo del 6 agosto
Green pass e lavoro: le richieste degli imprenditori
In particolare, come auspicato e proposto da taluni rappresentanti di Confindustria, ci si è interrogati sull’introduzione dell’obbligo di presentazione della predetta certificazione anche al fine di accedere al luogo di lavoro e, conseguentemente, di un possibile utilizzo del green pass anche nell’ambito della gestione del rapporto stesso.
Più di un imprenditore, infatti, ha intravisto nel green pass uno strumento (aggiuntivo o alternativo a quanto oggi previsto dai protocolli di sicurezza) per meglio disciplinare l’accesso dei lavoratori in azienda o, addirittura, per superare le attuali norme sul distanziamento sociale nel luogo di lavoro.
Del resto, se il possesso green pass certifica una condizione di assenza di rischio di contagio tale da consentire la partecipazione a eventi collettivi quali manifestazioni sportive, concerti etc., e anche il contatto con persone fragili come i pazienti ricoverati nelle RSA, cosa vieterebbe all’impresa di richiedere la prestazione lavorativa in presenza a tutti i lavoratori in possesso del green pass?
Rispondere a questa domanda significa aprire almeno due parantesi: una relativa alla compatibilità del green pass con le regole giuslavoristiche e l’altra relativa alla privacy dei dipendenti.
Le regole del diritto del lavoro sembrano, oggi, collocarsi un passo indietro rispetto alle esigenze degli imprenditori.
Cos’è il green pass e a cosa servirà
Come noto, il green pass è un documento – rilasciato dal Servizio Sanitario Nazionale – che certifica, in capo al suo possessore, la presenza di una di queste tre condizioni:
- l’avvenuta vaccinazione contro Covid-19. In tal caso, ha validità 9 mesi dal completamento del ciclo vaccinale ed è rilasciata automaticamente all’interessato;
- la guarigione dall’infezione da Covid-19. In tal caso, il green pass ha una validità di 6 mesi dall’avvenuta guarigione;
- l’esito negativo di un test molecolare o antigenico per la ricerca del Covid-19. In tal caso, la certificazione ha una validità di 48 ore dall’esecuzione del test.
L’obbligo di esibire la certificazione verde varrà per accedere a una serie di servizi e fruire di alcune attività (come, ad esempio, il consumo al tavolo, al chiuso, di cibi e bevande nell’ambito dei servizi di ristorazione, oppure la partecipazione a sagre, fiere, convegni, congressi e spettacoli aperti al pubblico, l’accesso a piscine e palestre, etc.).
Ci troviamo quindi di fronte a uno strumento che si presta a raggiungere una (particolarmente) notevole diffusione.
I paletti del diritto del lavoro
Per tutta la durata dello stato di emergenza l’accesso in azienda e la condivisione degli spazi di lavoro sono regolate dai Protocolli condivisi (“Protocollo condiviso di aggiornamento delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus SARS-CoV-2/COVID-19 negli ambienti di lavoro”, aggiornato il 6 aprile 2021).
Tali protocolli non prevedono il green pass quale strumento alternativo alle misure oggi in vigore (ad esempio: controllo della temperatura; distanziamento; incentivo al lavoro da remoto etc.) per cui un imprenditore che “facesse da sé” scavalcando le indicazioni condivise, potrebbe esporsi a responsabilità per violazione della normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Il Governo – peraltro – in quest’ultimo provvedimento sembra aver escluso l’utilizzo del green pass in quei luoghi “ibridi” (come le mense) che ben avrebbero potuto rappresentare un buon banco di prova per l’utilizzo di questo strumento in un contesto di lavoro. Stando a quanto previsto dall’art. 3 del D.L. n. 105, la necessità di essere muniti della predetta certificazione è limitata ai «servizi di ristorazione svolti da qualsiasi esercizio […] per il consumo al tavolo, al chiuso», e da tale tipo di servizi rimarrebbero escluse, ai sensi dell’art. 27 del DPCM 2 marzo 2021 e dei chiarimenti forniti dalla Circolare del Ministero dell’Interno dello scorso 24 aprile, «le attività delle mense e del catering continuativo su base contrattuale, che garantiscono la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro».
Questa, ovviamente, non è una risposta definitiva ma una fotografia dello stato dell’arte: anche alla luce della possibile evoluzione della pandemia e delle richieste formulate da Confindustria, nulla esclude che in una prossima revisione dei Protocolli o, nella pubblicazione di successivi provvedimenti normativi, il green pass trovi il proprio riconoscimento, così consentendo di armonizzare la normativa pubblicistica con quella giuslavoristica.
Il nodo della privacy
Ben più complesso invece è il secondo profilo di indagine, ossia quello relativo alla possibilità che il datore di lavoro, attraverso il green pass, tratti i dati sanitari dei dipendenti.
Il punto non è stato ancora oggetto di un intervento specifico del Garante della Privacy, proprio perché -riteniamo – a oggi non si prevede che il green pass trovi un suo utilizzo nell’ambito del rapporto di lavoro; occorre quindi ragionare intorno ai principi dell’ordinamento.
Quanti problemi con l’obbligo di green pass: privacy e non solo
Al riguardo c’è da osservare che, per quanto il quadro normativo vieti al datore di lavoro di condurre indagini circa lo stato di salute del dipendente, è pur vero che l’emergenza sanitaria in atto ha scosso le fondamenta di questo principio facendo sì che l’imprenditore, con riferimento al Covid-19, si possa lecitamente trovare a conoscenza di dati sanitari quali l’avvenuto contagio e/o guarigione dei propri dipendenti. Allo stesso modo, la possibilità di vaccinare i dipendenti in azienda rende di fatto accessibile al datore di lavoro il dato sanitario circa l’avvenuta vaccinazione.
Ebbene, il green pass incorpora queste informazioni in un QR Code che, in definitiva, non solo non contiene più informazioni di quante di fatto già accessibili al datore di lavoro, ma semmai ne rivela di meno, in quanto le cela dietro un semplice “semaforo verde” che non consente di conoscere il motivo per cui tale semaforo sia verde (il green pass, in buona sostanza, certifica l’assenza di un “rischio di contagio” senza rivelare i dati sanitari che sottostanno a tale assenza).
È quindi interessante notare che il green pass, per quanto attualmente non trovi spazio nella disciplina del rapporto di lavoro, offra interessanti opportunità che, nell’immediato futuro, potrebbero semplificarla sia con riferimento alla presenza fisica dei dipendenti in azienda sia con riferimento ai rischi connessi al trattamento dei loro dati sanitari.
Green pass e lavoro: scenari possibili
E ancora più interessanti appaiono i futuri scenari che si aprirebbero con riferimento al rapporto tra un’impresa e i lavoratori di un’impresa partner (fornitrice o appaltatrice).
In questa prospettiva ci si interroga infatti circa la possibilità che un imprenditore richieda al proprio fornitore di certificare che i dipendenti adibiti alla prestazione di un determinato servizio (es. mensa o pulizia) siano muniti di green pass o, addirittura, ci si può chiedere se incorra in responsabilità l’imprenditore che non lo faccia.
È sotto gli occhi di tutti come la normativa attuale (con il lodevole intento di non invadere la sfera di riservatezza dei lavoratori) possa di fatto spingere il datore di lavoro a introdurre controlli più invasivi di quelli che si attuerebbero tramite il green pass.
Auspichiamo quindi che i prossimi interventi del legislatore autorizzino l’utilizzo del green pass ancora più capillare rispetto a quanto attualmente previsto così da fornire terreno fertile ad uno strumento che, in potenza, si presenta non solo come agile e innovativo, ma altresì capace di coniugare la riservatezza del titolare con le esigenze precauzionali imposte dallo stato di emergenza ancora in atto.
Note
- Con il D.L. 23 luglio 2021, n. 105 (“Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e per l’esercizio in sicurezza di attività sociali ed economiche”), intervenendo sul testo del Decreto Legge 22 aprile 2021, n. 52 (“Misure urgenti per la graduale ripresa delle attività economiche e sociali nel rispetto delle esigenze di contenimento della diffusione dell’epidemia da COVID-19”) ↑