La Francia, come già avvenuto per la proposta di legge per abolire l’uso dei social ai minori di 15 anni, di recente passata al Senato, si pone nuovamente all’avanguardia con una ulteriore proposta per limitare la diffusione delle immagini dei minori sul web.
E in Italia, qual è la situazione e quale la normativa?
Foto dei minori sui social, la proposta dell’Authority infanzia e adolescenza
La proposta di legge francese
Secondo Bruno Studer, deputato del governo di Emmanuel Macron, è necessaria una legge che limiti la libertà dei genitori di pubblicare sui social foto dei propri figli perché metterebbe a rischio la privacy dei più piccoli con gravi conseguenze nella loro vita. La proposta segue la scia di un’altra legge francese avanzata da Studer e già approvata nel 2020 con il nome di legge sui “child influencer”, nata per regolamentare gli orari e le entrate dei minori le cui immagini vengono diffuse sulle piattaforme video, a cui l’Assemblea nazionale francese si è rivolta qualche settimana fa votando in prima lettura l’obbligo per TikTok, Snapchat e Instagram di verificare l’età dei propri utenti e di richiedere il consenso dei genitori per la registrazione dei minori di 15 anni.
Nel testo della proposta di legge viene citato un rapporto del Children’s Commissioner for England del 2018 nel quale si stimerebbe che prima del compimento dei 13 anni ogni bambino apparirebbe sull’account dei propri genitori o sul suo profilo in ben 1300 foto nei momenti più disparati, come vacanze, gare sportive, quotidianità scolastica e soprattutto nel giorno del loro compleanno.
Una tendenza che riguarda il 53% dei genitori francesi e il 40% circa dei genitori di altre nazionalità europee.
Il rischio maggiore che si corre, oltre a quello della privacy, è la pedopornografia, che coinvolge molti più adulti di quanto si pensi. Le foto pubblicate sui social, infatti, possono essere liberamente salvate e ri-condivise su altri siti per fini meno innocui di quelli perseguiti dai genitori.
E il timore non sembra infondato, dal momento che sulla questione è intervenuto anche Save the Children che ha dichiarato che la pubblicazione di foto di minori crea vere e proprie tracce digitali incontrollate che si sedimentano nella rete creando un’identità digitale del giovane.
Secondo Barclays Bank, l’upload indiscriminato di contenuti multimediali con protagonisti i nostri bambini sarà la causa dei due terzi dei furti di identità che i giovani dovranno affrontare entro la fine del decennio, ovvero 7,4 milioni di questi eventi ogni anno entro il 2030, per un costo di 667 milioni di sterline l’anno.
In Svizzera, la piattaforma nazionale Giovani e media dell’Ufficio federale delle assicurazioni sociali svizzere (UFAS) intende attirare l’attenzione sull’importanza di proteggere i bambini e la loro sfera privata in Internet, nell’ambito di un’iniziativa della durata di un mese. Su @Insta4Emma gli utenti di Instagram seguono la piccola Emma, sette anni, che attraverso i post pubblicati sul suo profilo li spinge a riflettere sul loro stesso comportamento nei media sociali.
Alle origini dello “sharenting”
Introdotto nell’enciclopedia della lingua inglese Oxford English Dictionary nel 2022 e ormai diffuso in tutto il mondo, il vocabolo sharenting, che deriva dall’unione di share (condividere) e parenting (fare i genitori), è l’abitudine di condividere sui social foto dei propri figli. Il vocabolo è stato usato per la prima volta nel 2012 in un articolo su The Wall Street Journal dal titolo “The Facebook-Free Baby Are you a mom or dad who’s guilty of ‘oversharenting’? The cure may be to not share at all”[1] scritto da Steven Leckhart, che all’epoca si riferiva al fonomeno con il vocabolo “oversharenting”.
I dati dello sharenting in Italia
Uno studio italiano, pubblicato a fine 2017 sulla “Rivista Italiana di Educazione Familiare”[2], attesta che l’88% delle mamme che pubblica le foto dei figli ha dichiarato di aver impostato le opzioni di privacy in modo da limitare la cerchia di persone che possono visualizzare i contenuti. Nell’83% dei casi questo si ha significato selezionare l’opzione di privacy “Amici”, ma considerato che in Italia in media gli amici Facebook, per esempio, sono il doppio rispetto alla media mondiale di circa 150, non sembra una limitazione significativa. Lo studio dei ricercatori bolognesi evidenzia come il 68% del campione intervistato pubblichi con una certa frequenza foto dei figli sui propri profili social, mentre il 30% tende a pubblicarle non solo sulle proprie bacheche, ma anche su gruppi Facebook o altri spazi virtuali meno “controllati” e filtrati rispetto al profilo personale.
In Italia il fenomeno sembra più diffuso per i piccoli (da 0 a 3 anni), le cui immagini sono condivise dall’86% dei genitori, e tende a calare con l’età, con il 68% dei genitori che ammette di condividere immagini dei loro bimbi dopo il quarto anno di età. In media, secondo questo studio un bambino di 5 anni sarà apparso in un migliaio di scatti postati pubblicamente dai propri genitori, quasi 20 all’anno.
La normativa italiana
Sullo sharenting in Italia ci sono già casi di sentenze che hanno dato ragione a dei ragazzi che, una volta maggiorenni, hanno denunciato i propri genitori per le numerose immagini postate senza il loro consenso. Il Tribunale di Mantova, per esempio, nel 2017 ha condannato una madre che si rifiutava di eliminare dai social le immagini della figlia. “L’inserimento di foto di minori su social network”, ha spiegato il giudice, “costituisce comportamento potenzialmente pregiudizievole per essi in quanto ciò determina la diffusione delle immagini fra un numero indeterminato di persone, conosciute e non, le quali possono essere malintenzionate e avvicinarsi ai bambini dopo averli visti più volte in foto on-line, non potendo inoltre andare sottaciuto l’ulteriore pericolo costituito dalla condotta di soggetti che taggano le foto on-line di minori e, con procedimenti di fotomontaggio, ne traggono materiale pedopornografico da far circolare fra gli interessati, come ripetutamente evidenziato dagli organi di polizia. Il pregiudizio del minore è dunque insito nella diffusione della sua immagine sui social network sicché l’ordine di inibitoria e rimozione va impartito immediatamente”.
Inoltre, il Tribunale di Mantova aveva anche stabilito che postare foto dei figli “integra violazione della «tutela dell’immagine»”, contemplata dall’articolo 10 del codice civile, della «tutela della riservatezza dei dati personali», prevista dal Codice della privacy, nonché della Convenzione di New York nel punto in cui stabilisce che «nessun fanciullo sarà oggetto di interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nel suo domicilio o nella sua corrispondenza e neppure di affronti illegali al suo onore e alla sua reputazione» e che «il fanciullo ha diritto alla protezione della legge contro tali interferenze o tali affronti»”.
Il giudice ha anche citato la normativa di tutela dei minori contenuta nel regolamento Ue del 27 aprile 2016 (in vigore il 25 maggio 2018), secondo cui «la immagine fotografica dei figli costituisce dato personale» e “la sua diffusione integra una interferenza nella vita privata” e ha fatto riferimento anche all’articolo 96 della legge sul diritto d’autore (legge 633/1941) che prevede che il ritratto di una persona non possa essere esposto senza il suo consenso, salvo alcune eccezioni. A rafforzare, poi, la tutela dei minori c’è l’articolo 16 della Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989.
Un caso relativo all’argomento in questione, è stato trattato anche dal Tribunale di Trani del 2021, dove una madre separata aveva pubblicato alcuni video della figlia di 9 anni su TikTok. Il giudice ne ha disposto la rimozione d’urgenza e ha condannato la madre a pagare 50 euro per ogni giorno di avvenuta violazione e di ritardo nell’esecuzione del provvedimento giudiziario, con la richiesta che il denaro dovrà essere versato su un conto corrente intestato alla minore.
A oggi secondo il Codice della Privacy e le sentenze appena citate il limite di età per il consenso digitale è fissato a 14 anni. In Italia l’Autorità garante per i diritti dell’infanzia aveva già consegnato a maggio 2022 una relazione allora Ministra della giustizia Marta Cartabia, con numerosi suggerimenti su età di accesso, i baby influencer, e le condivisioni delle foto online.
I dati dello sharenting a livello internazionale
Nel 2021, secondo i dati raccolti da Security.org il 77% dei genitori ha condiviso storie, video o immagini dei figli sui social media (nell’80% dei casi ciò è avvenuto con l’indicazione dei veri nomi dei minori). Un dato confermato da un’analisi pubblicata nel 2020 da Pew Research l’82% dei genitori che utilizzano i social media pubblica foto, video o altre informazioni sui propri pargoli. Nel 2016, una ricerca di The Parent Zone ha rivelato che i genitori postano quasi 1500 foto dei figli prima che questi compiano cinque anni, con una media di circa 300 immagini all’anno. E già nel 2013 sull’Irish Examiner segnalava che le foto di più di due terzi dei neonati vengono diffuse online entro un’ora dal parto (per l’esattezza, 57,9 minuti).
Sharenting e rischi connessi: i dati in Italia
In Italia, nel corso del 2021 sono stati 5.316 i casi di pedopornografia trattati dalla Polizia Postale, con un incremento del 47% rispetto all’anno precedente (3.243). In crescita anche il numero dei minori approcciati sul web dagli adulti abusanti, pari a 531, in maggioranza con un’età inferiore ai 13 anni (338 minori, quasi il 64% di cui 306 nella fascia 10-13 anni), ma crescono pure i casi di adescamento online dei bambini nella fascia 0 – 9 anni (32 casi), come testimoniano la Polizia di Stato e Save the Children.
Eurispes ha svolto nel 2020 un’indagine sulle istantanee visive sul social Instagram, con l’obiettivo di comprendere il fenomeno dell’esposizione dei figli attraverso i post sui social e la condivisione di immagini e video che li riguardano. Il giornalista Livio Varriale ha monitorato i post contenenti uno dei seguenti hashtags: figli, figlio, figlia, figlie. Il periodo osservato parte dal 1° gennaio 2018 e arriva al 10 ottobre 2020, analizzando 736.182 post con 96.488.755 likes.
Gli hashtag più utilizzati, insieme a quelli ricercati, sono stati “amore”, “love”, “mamma”, “famiglia”, “family”, “baby”, “vita”, “bambini”, “genitori”. I post con la parola “bambini” e “baby”, che quindi descrivono i più piccoli, totalizzano insieme il 5,50%. Lo studio ha anche messo in evidenza che sono più le madri a pubblicare foto di minori rispetto ai padri.
Note
- Il bambino senza Facebook Siete mamme o papà colpevoli di “eccesso di condivisione”? La cura potrebbe essere quella di non condividere affatto”. ↑
- Cino D., Demozzi, Demozzi S., Rivista Italiana di Educazione Familiare, 2017 ↑