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Ne bis in idem e “doppio binario” sanzionatorio: i paletti della Corte costituzionale

Non può essere cominciato o proseguito un processo penale a carico di una persona che sia già stata sanzionata in via amministrativa per la medesima violazione dei diritti d’autore. È quanto stabilito da una recente sentenza della corte costituzionale sulla questione del ne bis in idem e il doppio binario sanzionatorio

Pubblicato il 12 Lug 2022

GDPR-1

Con la sentenza n. 149 – 10 maggio/16 giugno 2022 (pubblicata in GU n. del 22/6/2022), la Corte Costituzionale italiana ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 649 del codice di procedura penale che non prevede il non luogo a procedere in merito alla disciplina sul copyright di attuazione della direttiva 2001/29/CE, quando per i medesimi fatti l’imputato per il delitto di riproduzione abusiva e vendita di opere letterarie abusivamente riprodotte è già stato sanzionato in via definitiva con sanzione amministrativa.

“Non può essere cominciato o proseguito un processo penale a carico di una persona che sia già stata sanzionata in via amministrativa per la medesima violazione dei diritti d’autore”, spiega la Corte.

Decreto GDPR e sanzioni penali, ecco che cambia

Ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio

La questione sull’articolo 649 del codice di procedura penale, sotto il profilo del suo contrasto con il diritto al ne bis in idem era stata sollevata dal Tribunale di Verona che aveva “osservato che l’articolo 649 Cpp vieta di sottoporre a un secondo giudizio un imputato già assolto o condannato in un altro processo penale, ma non esclude che l’imputato possa essere giudicato penalmente per un fatto per cui sia già stato sanzionato in via amministrativa”.

“Il giudice aveva inviato gli atti alla Consulta, chiedendo di verificare se, in questo caso, la sottoposizione a un processo violasse comunque il diritto al ne bis in idem, sancito dal Protocollo n. 7 alla Convenzione europea”, sottolinea la Corte.

Il diritto al ne bis in idem e la protezione dei dati personali

Il diritto al ne bis in idem è un diritto fondamentale della persona che ha lo scopo di tutelare la persona contro le sofferenze e i costi di sopportare un nuovo procedimento per i medesimi fatti, già oggetto di altro procedimento definitivamente concluso.

Come sostiene la Corte costituzionale il diritto al ne bis in idem mira «a tutelare l’imputato non solo contro la prospettiva dell’inflizione di una seconda pena, ma ancor prima, contro la prospettiva di subire un secondo processo per il medesimo fatto: e ciò a prescindere dall’esito del secondo processo, che potrebbe anche essersi concluso con un’assoluzione».

È infatti principio di civiltà giuridica che un individuo abbia il diritto a non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato. Questo principio è presente nella maggioranza delle costituzioni nazionali delle società democratiche, come anche nella Convenzione Europea dei Diritti Umani (CEDU, art. 4, prot. 7) e nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (Carta, art. 50).

L’identificazione degli elementi costitutivi del diritto al ne bis in idem è significativa anche nel contesto del GDPR, laddove i singoli Stati membri, rispondendo ai margini di flessibilità concessi dall’art. 84(1) «stabiliscono le norme relative alle altre sanzioni per le violazioni del presente regolamento in particolare per le violazioni non soggette a sanzioni amministrative pecuniarie a norma dell’articolo 83» così introducendo nel proprio ordinamento sanzioni di natura penale per violazioni del GDPR.

Analogamente a quanto disposto per l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie [art. 83(1), GDPR] il legislatore dell’Unione prescrive agli Stati membri che le sanzioni ulteriori da loro stessi previste «devono essere effettive, proporzionate e dissuasive» ponendo in modo inequivoco la funzione afflittiva delle sanzioni riferite a violazioni del regolamento. Il Considerando (149) ribadisce che «l’imposizione di sanzioni penali per violazioni di tali norme nazionali e di sanzioni amministrative non dovrebbe essere in contrasto con il principio del ne bis in idem quale interpretato dalla Corte di giustizia»[1].

Memore del principio del ne bis in idem, il legislatore italiano per ribadirne la conformità ha previsto al comma 6 dell’articolo 167 del codice novellato che «[q]uando per lo stesso fatto è stata applicata a norma del presente codice o del Regolamento a carico dell’imputato o dell’ente una sanzione amministrativa pecuniaria dal Garante e questa è stata riscossa, la pena è diminuita.».

Prima del GDPR

La questione del divieto del bis in idem si era già posta in costanza della disciplina previgente al GDPR. In tale contesto si escluse che costituissero violazione del ne bis in idem le disposizioni allora vigenti in materia di omissione di misure minime di sicurezza, le quali prevedevano l’adozione di sanzioni amministrative pecuniarie (art. 162, comma 2-bis) e di sanzioni penali (art. 169, codice previgente). In quanto esse erano «indirizzate alla tutela di interessi pubblici compatibili ma diversi, infatti, mentre la norma sanzionatoria amministrativa tende a prevenire e a reprimere i comportamenti omissivi e negligenti del titolare o del responsabile del trattamento, la norma penale si pone il principale obiettivo, attraverso l’istituto del “ravvedimento operoso” descritto nel comma 2 dell’art. 169 del Codice, di ripristinare un minimo livello di sicurezza nei sistemi e negli archivi contenenti dati personali.» (Garante, provv. 22/5/2018, doc. web n. 9027476].

In aggiunta, sempre sotto la vigenza del codice ante GDPR, si faceva rilevare che «la formula della norma sanzionatoria amministrativa di cui all´art. 162, comma 2-bis del Codice (…) (“è altresì applicata in sede amministrativa, in ogni caso, la sanzione…”) consente di fare salva l’irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria nei casi in cui la condotta dell’agente integri un’ipotesi di reato anche astrattamente con riferimento alle norme incriminatrici del Codice» (Garante, 14/12 2016, provv. doc. web n. 8051283).

Norme di adeguamento

In relazione al periodo di transizione a seguito della piena applicazione del GDPR, la questione del ne bis in idem si è riproposta in merito all’eventuale applicazione, al medesimo fatto, di due sanzioni amministrative pecuniarie, l’una ai sensi dell’art. 18 d.lgs. 101/2018 e l’altra ai sensi dell’art. 24 del medesimo decreto; la stessa questione si è posta qualora le sanzioni amministrative citate si fossero sovrapposte a una sanzione penale. Questa seconda ipotesi ha dato luogo all’archiviazione del procedimento sanzionatorio avviato dall’autorità di controllo, a seguito della ricezione di nota della Procura dell’attivazione di procedimento penale ai sensi degli articoli 24 e 25 del d.lgs. 101/2018 (provv. 11/10/2018, doc. web. N. 9121932].

Ne bis in idem, un diritto fondamentale

Il divieto del bis in idem, non preclude che da un unico procedimento l’imputato possa essere sottoposto a più sanzioni distinte per il medesimo fatto, fermo restando il principio di proporzionalità della pena. Né questo diritto esclude la concomitanza di due procedimenti aventi ad oggetto lo stesso fatto, qualora essi «perseguano scopi complementari, o concernano diversi aspetti del comportamento illecito», «come parti di un unico sistema integrato di tutela dei medesimi beni giuridici».

Il diritto in Costituzione

Secondo la Corte costituzionale, il principio del ne bis in idem – benché non riconosciuto espressamente dalla lettera della Carta – è collegato in via generale agli articoli 24 (diritto al ricorso in giudizio) e 111 (diritto al giusto processo) della Costituzione poiché investe «la sfera dei diritti dell’individuo, in quanto “principio di civiltà giuridica” (ordinanza n. 150 del 1995; inoltre, sentenze n. 284 del 2003 e n. 115 del 1987), oltretutto dotato di “forza espansiva” (sentenza n. 230 del 2004), e contraddistinto dalla natura di «garanzia» personale (sentenza n. 381 del 2006)».

CEDU e CtEDU

L’articolo 4 del Protocollo 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo sancisce il divieto del bis in idem. Esso recita come segue:

«ARTICOLO 4

Diritto di non essere giudicato o punito due volte

1. Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato.

2. Le disposizioni del paragrafo precedente non impediscono la riapertura del processo, conformemente alla legge e alla procedura penale dello Stato interessato, se fatti sopravvenuti o nuove rivelazioni o un vizio fondamentale nella procedura antecedente sono in grado di inficiare la sentenza intervenuta.

3. Non è autorizzata alcuna deroga al presente articolo ai sensi dell’articolo 15 della Convenzione.».

La CEDU, quindi, dispone tre garanzie per l’individuo: per la stessa violazione, nessuno può essere (1) sottoposto a processo (2) processato, o (3) punito.

Carta e CGUE

L’articolo 50 della Carta di Nizza (Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea) recita come segue: «Nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge.».

Effetto diretto dell’art.50 della Carta nell’ordinamento nazionale

In presenza dei criteri del ne bis in idem la CGUE riconosce l’effetto diretto di questo diritto nell’ordinamento degli Stati membri (C-537/16, par.66) per cui il giudice nazionale disapplica la legge nazionale eventualmente in contrasto col ne bis in idem, nel singolo caso concreto, mentre la Corte costituzionale ne dichiara l’illegittimità costituzionale erga omnes.

Ambito e criteri applicativi

Ma quali sono i criteri e i limiti di questo fondamentale principio?

La coesistenza (cosiddetto “doppio binario”) di sanzioni amministrative (punitive) e penali è ammessa se tra le due esiste una “stretta connessione di sostanza e di tempo” (CtEDU, GC., A e B c. Norvegia, 15/11/2016, par. 130-132): le finalità perseguite ed i mezzi utilizzati dovrebbero risultare complementari e collegati temporalmente; le conseguenze essere proporzionate e prevedibili ai soggetti interessati. La “stretta connessione” è rilevata in base ai “criteri Engel” (ECtHR, Zolotoukhine c. Russia, 10/2/2009, para. 52 e sentenze n. 4491 e 4492 del 2/10/2014).

Definitività della decisione

Perché operi il divieto del bis in idem occorre che il soggetto interessato sia stato destinatario di una decisione giudiziale di natura definitiva per lo stesso fatto. La natura definitiva della decisione si deduce dall’autorità di cosa giudicata che le attribuisce l’ordinamento nazionale (CtEDU, Grande Camera, 27 maggio 2014, Marguš contro Croazia).

Fatto giuridico e fatto storico

La sentenza della Grande Camera della CtEDU, 10 febbraio 2009, Zolotoukhine contro Russia, ha stabilito che la medesimezza del fatto, indicato all’articolo 4 del Protocollo 7 CEDU, vada intesa come fatto storico (cioè l’accadimento naturale che l’interprete è tenuto a prendere in considerazione) anziché l’identità di qualificazione giuridica che ne dà l’ordinamento (idem legale). Secondo la CtEDU, la medesimezza del fatto si apprezza alla luce delle circostanze fattuali concrete, indissolubilmente legate nel tempo e nello spazio. Secondo la Corte costituzionale il fatto storico va individuato nella triade di condotta, nesso di causalità ed evento naturalistico, «ponderati con esclusivo riferimento alla dimensione empirica» (CCost., 2016, cit. par. 8).

Condanne a sanzioni punitive

La natura penale delle sanzioni non è un requisito costitutivo del diritto al ne bis in idem: è sufficiente che le stesse abbiano natura punitiva e non si riducano ad una funzione meramente risarcitoria del danno provocato (in origine, CtEDU 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri c. Italia (Ricorsi nn. 18640/10, 18647/10, 18663/10, 18668/10 e 18698/10); v. anche i riferimenti alle decisioni della CGUE riportate in tema di TFU).

Di conseguenza, anche le sanzioni amministrative pecuniarie possono assumere una funzione punitiva quando, ad esempio, sono determinate in misura tale da infliggere al trasgressore un sacrificio economico superiore al profitto ricavato dall’illecito, mostrando una chiara funzione dissuasiva. Queste caratteristiche trovano riscontro nelle sanzioni amministrative pecuniarie dettate dal GDPR, non solo per il livello delle stesse, sia nella misura legale massima fissa (€ 10 milioni o € 20 milioni, secondo il grado di severità dell’infrazione) sia in quella variabile prevista per le imprese (2% o 4% del fatturato mondiale totale annuo dell’esercizio precedente dell’unità economica).

Corte costituzionale e art. 649 c.p.p.

Il divieto del ne bis in idem è ripreso nel nostro ordinamento all’articolo 649 del codice di procedura penale, rubricato “Divieto di un secondo giudizio”. Il testo dell’articolo così recita:

«1. L’imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze, salvo quanto disposto dagli articoli 69 comma 2 e 345.

2. Se, ciò nonostante, viene di nuovo iniziato procedimento penale, il giudice in ogni stato e grado del processo pronuncia sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, enunciandone la causa nel dispositivo.».

Pronunce della Corte

La Corte costituzionale si è pronunciata due volte in merito all’articolo 649 del codice di procedura penale sancendone l’illegittimità costituzionale sotto due specifici risvolti:

  • sull’ambito applicativo del “fatto identico”, inteso come “fatto giuridico” e non anche come “fatto storico” (CCost., n. 200 del 2016)
  • per la mancata previsione del ne bis in idem a favore di un imputato di uno dei delitti puniti con la legge sul diritto d’autore che, in relazione al medesimo fatto, sia già stato sottoposto a procedimento, definitivamente conclusosi, per l’illecito amministrativo previsto dalla medesima legge (CCost., n. 149 del 2022).

Sentenza n. 200/2016

La Corte costituzionale con sentenza 31 maggio – 21 luglio 2016, n. 200 (in G.U. 1ª s.s. 27/07/2016 n. 30) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 649 del codice di procedura penale, nella parte in cui tale disposizione limita l’applicazione del principio del ne bis in idem all’esistenza del medesimo “fatto giuridico”, nei suoi elementi costitutivi, sebbene diversamente qualificato, invece che all’esistenza del medesimo “fatto storico”. Nel caso sottoposto nel 2016 al giudizio della Corte, le azioni e le omissioni per le quali il soggetto era imputato in un procedimento penale sarebbero state le medesime per le quali, sul piano storico-naturalistico, egli era già stato giudicato in altro processo penale in via definitiva.

La sentenza della Corte si incardinava sulla scia della sentenza della Grande Camera della Corte europea dei Diritti Umani (CtEDU), 10 febbraio 2009, Zolotoukhine contro Russia, che aveva sancito il principio secondo cui ha rilievo solo l’identità del fatto storico, valutato con esclusivo riguardo alla condotta dell’agente, anziché a dati di carattere giuridico-formale.

Note

  1. In un provvedimento del Garante adottato in relazione a una presunta applicazione del principio del ne bis in idem riguardo alla coesistenza della sanzione amministrativa pecuniaria prevista per la violazione dell’art. 13 GDPR sull’obbligo di informativa e gli obblighi di trasparenza imposti dallo Statuto dei lavoratori e richiamati dall’articolo 114 del codice privacy, l’autorità di controllo ha ribadito l’insussistenza della violazione del principio del ne bis in idem in questo caso in quanto «mentre la sanzione penale – alla luce della natura personale della relativa responsabilità – può essere applicata nei confronti della persona fisica ritenuta colpevole del reato, l’applicabilità della sanzione amministrativa prevista dalla disciplina in materia di protezione dei dati personali è, nel caso concreto, da valutare nei confronti di una persona giuridica. Pertanto nel caso di specie non è ipotizzabile che eventuali distinte attività di accertamento abbiano il medesimo destinatario» (Garante, provv. 15/4/2021, doc. web n. 9586936).

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