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Il “segreto” nell’era dei social: ecco perché siamo tutti meno spensierati

Una volta dovevamo custodire pochi segreti (l’oro, la chiave della cassaforte). Oggi rischiamo di dover proteggere la nostra intera vita privata. L’iper-connessione e l’iper-esposizione a critiche e pareri altrui aumentano la necessità di una garanzia di privacy sempre più profonda e pervasiva. Ecco con quali conseguenze

Pubblicato il 12 Mar 2020

Marco Ramilli

fondatore e Ceo di Yoroi

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Il concetto di segretezza ha subito cambiamenti cosi significativi a seguito del vasto utilizzo del “digitale” da variarne l’impatto che esercita sulla società e sulle persone. Proviamo dunque a riflettere su come il significato di “segreto” sia cambiato radicalmente nel corso del tempo e sul perché l’iper-connessione e l’iper-esposizione alle critiche e al parere degli altri, in cui tutti siamo oramai immersi, aumenta in molti la necessità di avere una garanzia di privacy sempre più profonda e pervasiva.

Come è cambiato il concetto di “segreto”

Una volta si teneva segreto “l’oro”, ovvero il posto in cui si nascondevano i propri valori. Le informazioni da tenere al “sicuro” da occhi e da desideri indiscreti erano poche e il resto della vita era popolata da informazioni non segrete. Questo principalmente avveniva in quanto la vita stessa aveva una distribuzione controllata e limitata ai propri conoscenti. Per esempio si condividevano informazioni con persone della propria famiglia, o con comunità appartenenti alla stessa cultura e di cui si conoscevano bene pensieri e reazioni.

Il digitale cambia radicalmente anche questa prospettiva. Social network, smartphone, canali YouTube e messaggistica di gruppo, permettono la diffusione dell’informazione in maniera pervasiva ed istantanea. La probabilità di essere osservati da qualcuno o da “qualcosa” (telecamere stradali, smartphone, riconoscitori  di volti e assistenti digitali) e di lasciare  una traccia di sé’ e di quello che si sta facendo in un certo momento nel “mondo digitale” (online) è aumenta radicalmente di giorno in giorno con l’aumentare della tecnologia.

La paura di essere costantemente osservati

Per questo motivo la “percezione” di essere osservati è aumentata notevolmente nel corso degli anni e con essa aumenta il timore di essere giudicati mentre si compie inconsapevolmente un’azione che possa “urtare” qualcuno. Considerato che il digitale è a-territoriale e quindi privo di confini, è molto probabile che ogni giorno si possano violare leggi o commettere azioni non “lodevoli” per una specifica cultura, sconosciuta da chi quell’azione la compie.

Ad esempio fotografarsi mentre si sta cucinando carne di manzo durante un barbecue primaverile può essere considerata un‘azione “amorale” se l’osservatore appartiene alla cultura indiana oppure se abbraccia lo stile di vita vegetariano. Un ragazzo di 16 anni che si riprende mentre guida l‘ambita auto del padre, potrebbe commettere un‘azione illegale agli occhi di chi lo osserva su Facebook se appartenente alla cultura europea, ove sono necessari 18 anni prima di possedere la patente di guida. Infine fotografare il proprio cocktail in riva al mare è considerato un reato penale se chi ti osserva attraverso Instagram vive in Bahrain.

Il timore di essere osservati e il conseguente desiderio di tutelare la propria privacy, non necessariamente per nascondere “qualche cosa”, ma piuttosto perché vi è la paura di essere costantemente osservati e di poter violare qualche “norma” o qualche “buon senso popolare” non conosciuto è un fenomeno in continuo aumento.

Nella vita privata infatti non ci preoccupiamo sempre di quello che facciamo e, a volte, ci si lascia andare a comportamenti  che in pubblico (sapendo di essere osservati) non faremmo mai. L’ iper-connessione offerta dal “digitale” ci sta togliendo quei momenti intimi in cui  rilassati, non ci preoccupiamo del giudizio altrui, abilitando un costante “broadcast di se stessi”. C’è sempre una telecamera, un microfono, una fotografia che in qualche modo può immortalare la nostra intimità.

Dalla chiave della cassaforte alle password

Un altro aspetto costantemente messo alla prova nel “digitale” è la reputazione. Culture diverse hanno reazioni estremamente variabili alla stessa informazione. Considerando lo stesso esempio citato sopra, la reazione alla condivisione di fotografie sul barbecue di manzo può, stimolare reazioni differenti: risposte positive e congratulazioni fino alle  accuse di essere un killer, di essere eretico e di andare contro il volere di “Dio”.

Se consideriamo “il segreto” come un particolare tipo di informazione, all’aumentare delle informazioni aumenta la probabilità di avere segreti. Con l’avvento del digitale la quantità di informazioni è aumentata esponenzialmente e di conseguenza anche la quantità di segreti aumenta con essa. Questo è il corollario. Proviamo a pensare semplicemente agli accessi.

Prima del digitale la maggioranza delle persone aveva come segreto il luogo in cui veniva deposta la “chiave della cassaforte”. Ora abbiamo decine e decine di “chiavi” digitali ognuna per ogni servizio che ha accesso ai nostri fondi come per esempio: carte di credito, Amazon, eBay, posta elettronica, solo per citarne qualcuna.

Passwords differenti per ogni servizio, token di autenticazione del tipo 2FA (Two Factor Authentication) numerose mailbox, più canali social da mantenere attivi e cosi via.

Quanto maggiore e interconnessa è la tecnologia tanto più complessa è l’informazione che dipende dall’integrazione di più sistemi. Una maggiore complessità di informazione corrisponde ad una maggiore complessità di segreti. Un segreto  richiede una costante manutenzione per limitarne il rischio di esposizione e per mantenere un processo continuo di riclassificazione e di protezione.

La classificazione del rischio

La classificazione del rischio è fondamentale per garantire un giusto livello di protezione. Periodicamente il custode del segreto deve valutare il rischio di esposizione e l’impatto che l’esposizione del segreto può avere sulla propria persona. Il rischio di esposizione, tipicamente aumenta nel tempo mentre l’impatto sulla persona diminuisce con il passare del tempo fino a diventare innocuo e pertanto, quando il costo di protezione supera il costo di impatto, si tende a declassificarlo e/a renderlo pubblico. Inoltre tanto maggiore è l’importanza del “segreto” tanto maggiore è la preoccupazione che esso desta e l’attenzione al suo mantenimento (riclassificazione del segreto). Maggiore è la preoccupazione, maggiore è il peso che esso (il segreto) esercita durante la nostra quotidianità.

L’aumento della numerosità di segreti e l’aumento della loro complessità va ad incidere in modo negativo sulla nostra quotidianità, aumentando la preoccupazione e disinibendo la naturalità di vita.

Più sono i segreti che custodiamo contemporaneamente più aumenta la complessità della vita (manutenzione e preoccupazioni), con l’effetto di ridurre la nostra spensieratezza e quel “vivere bene” che gli abbiamo associato fin dalla fanciullezza.

Una volta dovevamo proteggere pochi segreti. Oggi rischiamo di dover proteggere la nostra intera vita privata.

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