Nell’ultimo decennio, gli Stati Uniti (e il mondo, in generale) hanno osservato l’emergere della Cina come leader globale nel settore delle tecnologie di sorveglianza. In effetti, Pechino è all’avanguardia in settori di ultima generazione come la “computer vision”, “l’Internet of Things” e l’Intelligenza Artificiale applicate ai sistemi di sicurezza.
Privacy in cambio di sicurezza
Tali tecnologie, molto utili al gigante asiatico nel migliorare nel risolvere crimini, nel controllare il traffico e nella gestione dei rifiuti, comportano anche una serie di note problematiche relative alla tutela dei diritti dell’uomo. Ciò che emerge, però, è che la Cina è riuscita, volendo semplificare al massimo, a costruire una sorta di contratto sociale con i suoi cittadini che si può sintetizzare in “dati in cambio di sicurezza”.
Quando si parla di privacy e Cina, solitamente (in Occidente) si liquida la cosa con un laconico “è inesistente”. Tuttavia, ci si può rendere conto che le cose non stanno realmente così, in quanto la percezione della privacy è in realtà più “malleabile” di quanto spesso sembri nella Repubblica Popolare.
Il governo ambisce a capire “cosa vuole il popolo”
Come accennato, la Cina ha una sua definizione di privacy finalizzata all’esecuzione del contratto sociale che ha con i suoi cittadini. Ma contestualizziamo meglio. Dopo decenni di crescita inarrestabile, il boom economico cinese ha subito un forte rallentamento negli ultimi anni.
Sulla scorta di tali problematiche di crescita, tramite la sua tecnologia di sorveglianza e raccogliendo i dati in maniera estensiva, il governo cinese mira a delineare “cosa vuole il popolo” e la società cinese, in modo da correggere il tiro delle iniziative economiche statali degli anni a venire.
Tuttavia, per convincere i suoi cittadini – che sono sempre più consapevoli dell’importanza della privacy – la Cina ha dovuto “ridefinire” il concetto di privacy, passando da una concezione individualista ad una collettivista. E così come il concetto stesso di privacy non è ben definito, si può affermare che il concetto di “privacy con caratteristiche cinesi” (adattando la famosa massima di Deng Xiaoping) non mira a minare lo Stato “di sorveglianza”, bensì a rafforzarlo.
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La strategia di Pechino
Ciò che il governo cinese ha fatto è stato posizionare lo Stato e i cittadini dalla stessa parte della “battaglia per la privacy contro le aziende private”. Si pensi alla recente (2021) “legge sulla protezione delle informazioni personali” (nota nel mondo come PIPL), in base alla quale le aziende private (non pubbliche, quindi) rischiano dure sanzioni per aver permesso violazioni della sicurezza (Data Breach) o per non aver ottenuto il consenso degli utenti alla raccolta dei loro dati.
La lezione del Covid-19
Tornando all’idea che la percezione della privacy può cambiare notevolmente a seconda delle circostanze, la pandemia Covid-19 ha anche fornito l’esatto contesto in cui i cittadini comuni possono accettare di rinunciare a una parte maggiore della loro privacy in nome della sicurezza (con conseguenze viste anche in Occidente).
Ciò che è vero, è che una volta che qualcuno inizia a usare la tecnologia di sorveglianza, la china discendente è estremamente scivolosa: non importa quanto nobile sia il motivo per cui è stata sviluppata e impiegata, la tecnologia può sempre essere usata per scopi lesivi dei diritti umani.
Il nodo dei diritti umani
Basti pensare al concetto di “smart city”, una città “intelligente e connessa” che può “benignamente” monitorare i disastri e consentire risposte rapide alle emergenze.
Un esempio significativo riguarda la gestione del traffico e della viabilità cittadina nel caso di passaggio di ambulanze e vetture della polizia in emergenza, con l’attivazione di tutti i semafori “in onda verde” sul percorso e la riduzione del tempo necessario a raggiungere l’obiettivo.
È impossibile sostenere che questo non sia un buon uso della tecnologia. D’altro canto però, una città del genere può anche sorvegliare massivamente i propri cittadini limitando la loro libertà di movimento (come è successo in diversi paesi per il controllo delle quarantene Covid-19).
Talché si parla non più – soltanto – di “smart city” ma anche di “safe city”, che mirano a potenziare l’azione delle forze di polizia ed a rintracciare presunti criminali (in una sorta di “Minority Report” …).
Sorveglianza intensiva, non c’è solo la Cina
La Cina non è, ovviamente, l’unico Paese in cui la polizia si affida a un numero crescente di sistemi di sorveglianza. La polizia di New York e del Minnesota (pare) utilizzino sistemi di videosorveglianza per creare un database di riconoscimento facciale e identificare i sospetti, a volte con tecniche discutibili. Visti tali precedenti, la tecnologia stessa non può più essere considerata neutrale. Alcune tecnologie, per loro natura, si prestano anche ad utilizzi “dannosi”.
In particolare l’Intelligenza Artificiale applicata alla sorveglianza si presta a conseguenze pericolose per i diritti umani. Proprio come i ricercatori che si occupano di gestire una centrale nucleare, i ricercatori nel campo della sicurezza dovrebbero essere più attenti ai potenziali danni della tecnologia da loro impiegata.
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Bilanciare sicurezza e diritti dei cittadini
Lo sviluppo della tecnologia di sorveglianza a livello globale, a cui hanno partecipato diverse aziende americane, dovrebbe cambiare rotta con l’appoggio del bilanciamento tra sicurezza e diritti degli interessati e con la responsabilizzazione delle aziende private e pubbliche nell’utilizzo di tali tecnologie invasive.
Non si può, ad esempio, non notare come sistemi nati con un determinato scopo vengono deviati verso un altro fine (come nel caso della GPU implementata in origine per la qualità dei videogiochi ed ora implementata per l’alimentazione dei sistemi di sorveglianza di massa).
La differenza sta nel contemperamento tra sorveglianza e diritti. Il tutto dipende dalla volontà politica dei singoli Paesi nel proseguire verso un tale bilanciamento, trovando rispondi efficaci.
Inoltre, sarà fondamentale puntare al rafforzamento delle proprie istituzioni democratiche, come il ricorso ad una stampa libera e la creazione di una forte società civile. Perché la Cina, e questo l’abbiamo visto anche durante la scorsa pandemia, non è l’unico paese dove vi è una sorveglianza di massa della società. Può accadere ovunque, compresi i Paesi con istituzioni democratiche.