La ricerca – da sempre complessa – di un difficile equilibrio tra privacy e diritto all’informazione, pone sfide inedite e insidiose nell’ambiente digitale. In questo contesto, la protezione dei dati personali, ben oltre le effettive esigenze di salvaguardia sottese alla tutela della sfera individuale, potrebbe essere intenzionalmente “sfruttata” per limitare la conoscenza di informazioni pubbliche di interesse generale per la collettività.
In particolare, un approfondimento del Washington Post evidenzia il pericoloso impatto delle nuove politiche di Twitter sull’esercizio del diritto di cronaca.
Contenuti dannosi sui social, gli Usa pronti a cambiare la legge che protegge le piattaforme
La cosiddetta “Private Information Policy” di Twitter potrebbe, infatti, rappresentare un vero e proprio “boomerang” contro gli account Twitter di giornalisti, attivisti e ricercatori che combattono l’estremismo online, fornendo – sia pure involontariamente – agli estremisti una nuova arma per arrecare danno a coloro che si dedicano all’identificazione di contenuti violenti istigatori di odio online, come possibili destinatari di denunce volte ad ottenere la rimozione delle relative informazioni.
In altri termini, la nuova politica sulla privacy di Twitter potrebbe rendere meno semplice l’attività giornalistica della ricerca di episodi di violenza diffusi all’interno della piattaforma, precludendo in via generalizzata la possibilità di condividere informazioni private di altre persone (come numeri di telefono, indirizzi e altri dettagli personali) in grado di identificare qualcuno contro la propria volontà.
La difesa della privacy come pretesto
Nell’ottica di assicurare la protezione efficace della privacy, viene a tal fine stabilita l’imposizione di un divieto di pubblicazione applicabile a qualsiasi immagine, foto o video, indipendentemente dal fatto che includa contenuti offensivi effettivi, in mancanza del consenso della persona interessata, salvo che si tratti – secondo l’utilizzo di nozioni aperte, generiche e soggettive – di un personaggio pubblico o l’immagine comunque pertinente sia condivisa nell’interesse pubblico o aggiunga valore al discorso pubblico. Qualora, però, il contenuto sia stato condiviso per molestare, intimidire, impaurire o mettere a tacere una persona, il divieto di condivisione è assoluto senza alcuna possibilità di invocare eccezioni o giustificazioni per la diffusione dei relativi contenuti.
Tale tecnica di bilanciamento, rimessa alla valutazione del social network, proprio per tale ragione sembra appunto manifestare un’ampia relatività di giudizio nel concreto accertamento delle condizioni che giustificano la prevalenza della privacy rispetto alla divulgazione di notizie rese note per finalità di interesse pubblico, con il rischio di restringere eccessivamente la legittima pubblicazione di informazioni acquisite nello svolgimento di un’attività giornalistica, anche paralizzando la possibilità di diffondere report di inchieste sull’estremismo virtuale, che potrebbe indirettamente beneficiare di tali misure, ottenendo il blocco degli account di attivisti/giornalisti e la rimozione del relativo materiale raccolto.
Una nuova arma in mano agli estremisti
La nuova politica sulla privacy di Twitter risulterebbe infatti eccessivamente vaga e soggettiva nell’interpretazione dei presupposti di contemperamento tra il diritto personale alla rimozione delle informazioni e l’interesse generale alle informazioni pubbliche, incentivando il ricorso generalizzato a segnalazioni pianificate a catena per ottenere la rimozione di informazioni in grado di identificare gli estremisti.
L’aspetto particolarmente grave, infatti, secondo quando riportato dal Washington Post, consiste proprio nella possibilità concreta di consentire ai militanti appartenenti ad organizzazioni estremiste di appigliarsi alle nuove regole “pro privacy” per nascondere la propria identità, al punto da pregiudicare l’attività dei ricercatori e giornalisti anti-estremismo specializzati nell’identificare episodi di odio e documentare la relativa pericolosità.
Ciò sembra emergere anche dal flusso di comunicazioni recentemente riscontrato nelle varie chat utilizzate dai gruppi estremisti che, nel confermare a proprio vantaggio gli effetti favorevoli della nuova politica sulla privacy di Twitter, si starebbero mobilitando, rendendo note una serie di suggerimenti e istruzioni d’uso su come trovare tutti i possibili contenuti da contestare, per sollecitare i propri sostenitori a segnalare, in via massiva, come diretto bersaglio i post pubblicati da attivisti e giornalisti che hanno condiviso le loro informazioni o li hanno identificati in foto di manifestazioni di odio o eventi pubblici.
Twitter, come si cambia
Sarebbe in atto un vero e proprio addestramento pianificato dagli attivisti estremisti per utilizzare la nuova politica sulla privacy di Twitter al fine di eliminare deliberatamente i contenuti incriminati, prendendo di mira soprattutto le informazioni pubblicate da ricercatori e giornalisti “anti-estremismo”.
Sarebbe già stato individuato in breve tempo persino un elenco di quasi 50 account a rischio di sospensione in base alle nuove regole.
Peraltro, ricercatori e fotoreporter anti-estremismo hanno pubblicato rapporti che mostrano avvisi di sospensione ricevuti in applicazione delle nuove politiche con effetti retroattivi anche in relazione alla condivisione di post passati risalenti nel tempo travolti dalla privacy policy del social network.
Tali preoccupazioni troverebbero una seria e credibile conferma in ragione del fatto che anche Twitter avrebbe ammesso, dopo aver constatato un brusco calo di migliaia di utenti registrati rimossi dal sistema di bot predisposto, di aver sospeso erroneamente gli account (almeno 12) sia pure avviando una revisione interna per verificare la corretta applicazione delle nuove politiche.
Da piattaforma tradizionalmente utilizzata per la diffusione di inchieste giornalistiche dirette a identificare persone coinvolte in gruppi di estrema destra e di odio, anche grazie al cosiddetto. “doxxing” che ha consentito di raccogliere un’ingente mole di informazioni personali attraverso azioni investigative giornalistiche, come forma positiva di “hacktivism” rivolta contro autori di pratiche censurabili da portare all’attenzione dell’opinione pubblica, su Twitter – e in generale sui social network – potrebbero quindi verificarsi, come opposta tendenza, frequenti segnalazioni massive da parte di utenti riconducibili a gruppi che professano ideologie estremiste per denunciare indebite invasioni della sfera privata come limite generale alle informazioni veicolate online in grado di comprimere fortemente l’attività giornalistica che mira a documentare gli episodi di violenza online.
Conclusioni
Tale fenomeno, peraltro, potrebbe costituire un pericoloso precedente destinato ad espandersi rapidamente in tutto l’ambiente digitale, come strumento utilizzato da organizzazioni estremiste e sovversive per cancellare, invocando la difesa della privacy a presidio delle informazioni personali che riguardano gli attivisti coinvolti, la prova delle proprie azioni mediante massive denunce e segnalazioni in grado di rimuovere gli account di utenti non graditi, disincentivando l’attività di contrasto all’odio online, con il rischio di bloccare il flusso comunicativo veicolato in Rete.