Qualche settimana fa la Cina ha lanciato al mondo intero una sua prima proposta (vedi qui la traduzione) per la gestione dei dati e della privacy dei cittadini. Dopo dieci anni di attesa di una legge nazionale di questo tipo, si tratta di una serie di idee e suggerimenti che non hanno ancora nessun valore legale né in Cina, né tanto meno, nel resto del mondo, ma dimostrano l’intenzione della Cina di voler giocare un ruolo attivo su un tema tanto complicato quanto divisivo anche perché spesso mal compreso sia dai leader mondiali che dalla gente comune.
Come sempre, per qualsiasi iniziativa presa dalla Cina, dagli USA o dall’Unione Europea, i tre blocchi economici più importanti, ritengo sia corretto dare un giudizio sia nel metodo che nel merito, nei contenuti, in modo pacato e senza isterismi.
Cos’è la proposta di legge sulla protezione dei dati personali in Cina
In sostanza la legge sulla protezione dei dati personali istituirebbe il primo sistema dedicato per proteggere la privacy e i dati personali in Cina. Finora le informazioni personali in Cina sono state disciplinate da un mosaico di regolamenti; alcuni studiosi affermano che esistono oltre 200 regole diverse relative alla protezione delle informazioni personali.
La privacy digitale è stata oggetto di molti dibattiti in Cina, in particolare perché i consumatori cadono vittima spesso di truffe favorite dalla raccolta e dalla vendita diffusa dei dati degli utenti. I media statali, quindi, già definiscono la legge una vittoria imminente nella protezione dei diritti dei cittadini cinesi.
Gran parte della legge è dedicata a frenare la raccolta privata di dati e a istituire pene più severe per le violazioni della legge, che i consumatori cinesi apprezzeranno.
Richiede ai gestori dei dati di ottenere il consenso e offre ai consumatori il diritto di revocare tale consenso, in un linguaggio che ricorda il regolamento generale sulla protezione dei dati dell’Unione europea. Letto con attenzione dagli esperti cinesi, il GDPR ha sicuramente fornito un modello.
Il metodo della proposta
Nell’analizzare la proposta, partiamo dal metodo. A mio avviso, il fatto che, proprio mentre le tensioni con gli USA aumentano, la Cina abbia porto un ramoscello d’ulivo va interpretato in modo positivo, come parziale risposta alle pressioni che l’Occidente sta esercitando nei confronti del Paese sui temi della sicurezza e del trattamento dei dati personali. È un po’ come se l’Occidente avesse, per mesi, accusato la Cina di non occuparsi del problema, ma anzi di aver usato alcune delle sue aziende internet e social network per aggravarlo.
Accusando, per esempio, TikTok e WeChat di mettere a rischio i dati dei cittadini USA, due aziende oggetto di restrizioni prima annunciate, poi ritratte, poi ancora minacciate dall’amministrazione Trump. La proposta della Cina sulla gestione dei dati è un po’ come se la Cina stessa avesse raccolto l’invito e, senza naturalmente ammettere alcun coinvolgimento in attività che possano aver messo a rischio la privacy dei cittadini USA, avesse proposto di voler partecipare al dialogo internazionale per risolvere il problema. E per evitare che possa trattarsi solo di buoni propositi, nel documento del Ministero degli Esteri cinese si suggeriscono delle proposte specifiche, pratiche. Nulla di definitivo, appunto, ma solo dei ganci iniziali per far partire il dialogo tra i tre mondi, Cina, USA e EU.
Ma la legge cinese non frenerà la sorveglianza di Stato
L’analisi della legge mostra che i suoi legislatori sono molto più interessati a come le aziende utilizzano i dati in Cina, piuttosto che a come le autorità li usano per monitorare i cittadini. L’articolo sulla raccolta di immagini e sulle apparecchiature per il riconoscimento dell’identità personale, ad esempio, consente la raccolta apparentemente illimitata di dati “necessari per mantenere la sicurezza pubblica”.
Gli esperti in Cina hanno espresso la preoccupazione che gli obiettivi di sicurezza pubblica, come la ricerca di bambini rapiti, potrebbero portare alla raccolta di massa di dati biometrici. L’anno scorso, un professore nella Cina orientale ha citato in giudizio un parco che aveva installato telecamere per il riconoscimento facciale all’ingresso e ha imposto a tutti i visitatori di sottoporsi a una scansione di riconoscimento facciale.
Il timore è che una volta che i dati biometrici sono collegati ad altre informazioni personali, è possibile un monitoraggio totale da parte dello Stato. C’è poco in questo progetto di legge che suggerisca limitazioni alla capacità del governo di raccogliere o archiviare dati biometrici ottenuti attraverso il riconoscimento facciale, come ha fatto su vasta scala nello Xinjiang per sorvegliare i movimenti della minoranza etnica uigura perseguitata.
Le leggi in Cina sono generalmente vaghe e sono il prodotto di contrattazioni tra gruppi di interesse.
Una volta approvata questa legge, seguiranno i regolamenti sull’applicazione. Tuttavia, come commentano alcuni esperti (Worldspoliticalreview) non vi è alcuna indicazione che sulle responsabilità degli enti governativi che raccolgono i dati delle persone e chi dovrebbe essere ritenuto responsabile quando questi trapelano.
Solo pochi mesi fa, quando la pandemia di coronavirus si stava diffondendo in Cina, i funzionari locali hanno fatto trapelare le informazioni personali dei residenti a Wuhan e nella provincia di Hubei circostante e sui pazienti COVID-19 in altre parti del paese. Le autorità di regolamentazione hanno risposto alla protesta pubblica che è seguita con una nota che limita le entità ufficiali autorizzate a raccogliere dati e richiede loro di prevenire tali leak; ma la continua scoperta di database di informazioni personali pubblicati online mostra che il livello di sicurezza delle informazioni in tutto il paese lascia molto a desiderare.
Il resto del mondo dovrebbe anche prendere atto di un articolo nella legge sulle informazioni personali che giustifica le ritorsioni contro i paesi che adottano “divieti discriminatori, limitazioni o altre misure simili nei confronti della Repubblica popolare cinese nel settore della protezione delle informazioni personali”. Dati gli eventi recenti, non è troppo difficile vedere quali paesi la Cina potrebbe prendere di mira. Quando l’India ha vietato 118 app cinesi il mese scorso, citando preoccupazioni per la sicurezza nazionale, il ministero degli Esteri cinese ha risposto che “nessuno guadagna da tale azione” e che “non saranno prese decisioni miopi per ostacolare gli interessi a lungo termine dei due paesi . “Quando Washington ha discusso se vietare l’app TikTok, un portavoce del governo cinese ha invitato gli Stati Uniti a “smettere di usare il potere statale per opprimere le aziende cinesi”.
La Cina è stata critica nei confronti dei paesi che chiudono le porte alle proprie app sviluppate internamente, nonostante abbia una visione ampia della stessa sicurezza nazionale. Questa nuova legge chiarisce che Pechino sta valutando la possibilità di ritorsioni contro quei paesi nelle guerre tecnologiche in corso, lasciando incontrollata la sorveglianza statale in Cina.
Alessandro Longo
Il dibattito tra liberismo e protezionismo commerciale
Anche sul metodo le interpretazioni possono essere divisive: da un lato si potrebbe pensare che l’iniziativa abbia come obbiettivo quello di “togliere il tappeto” sotto i piedi degli occidentali e porsi come leader globale di questo processo. Quindi una lettura che guarda con sospetto, prima ancora di entrare nel merito della proposta stessa. Per meglio comprendere da dove possa nascere questo atteggiamento di sospetto dell’occidente è forse utile ricordare il dibattito tra liberismo e protezionismo commerciale,
È da tempo che l’Occidente esercita pressioni sulla Cina affinché apra di più il proprio mercato alle aziende straniere e conceda reciprocità e trattamento paritario. Annualmente, a settembre, la Camera di Commercio Europea in Cina pubblica il suo Position Paper che raccoglie le istanze delle aziende dell’Unione Europea che operano in Cina; si tratta, per lo più, di lamentele sulle difficoltà di accesso al mercato.
Le reazioni del blocco occidentale a questa mancanza di reciprocità sono però diverse: l’Unione Europa continua, con poche eccezioni, a tenere il proprio mercato aperto ai prodotti cinesi ed invece di chiudersi chiede soltanto maggiore apertura ai cinesi. Gli USA invece adottano un’altra tattica, hanno abbandonato la strategia del chiedere, forse perché risultata poco efficace ai loro occhi, ed hanno adottato la strategia della ritorsione, e della imposizione di dazi, prendendo così la strada del protezionismo commerciale.
Due tattiche diverse a cui la Cina ha risposto con annunci che invece lodano il libero mercato, l’integrazione tra i vari paesi, l’abbattimento delle barriere commerciali, parole culminate con il discorso del Presidente Xi Jinping a Davos, che si è posizionato come paladino del liberismo, in opposizione alle posizioni americane, spiazzando così anche coloro che in precedenza criticavano la Cina per il proprio approccio protezionista. Anche perché, molto astutamente, la Cina non ha semplicemente annunciato ma ha anche da seguito con alcune reali modifiche al proprio regime di dazi, abbassando le barriere all’ingresso per alcuni prodotti. Oggi i dazi medi in Cina sono scesi intorno al 5%, solo poco più del 3% adottato dall’Unione Europea e dal circa l’1% in vigore negli USA. Dati che, letti così, non svelano la vera natura dei problemi che le aziende occidentali devono affrontare in Cina, che non sono limitati ai dazi ma comprendono anche NTB, barriere non tariffarie. Tuttavia, per la parte dazi la narrazione tattica del “togliere il tappeto” all’Occidente prende quota e si sta ripetendo anche sul tema della protezione dati che, come c’è da aspettarsi, invece di attrarre solo lodi, attrae anche critiche.
Perché la proposta dà fastidio all’Occidente
Tuttavia, in quell’area grigia tra metodo e merito della proposta, credo che noi in Occidente dobbiamo anche chiederci, in modo franco ed onesto, il motivo di questo fastidio che ci pervade ogni volta vediamo che la Cina prende un’iniziativa. Cosa ci disturba di più? il fatto che non siamo più gli unici a guidare il processo (quindi una critica di metodo), o il fatto che le proposte specifiche non ci soddisfino (quindi una critica di merito). La mia percezione è che il fastidio sia più sul metodo che sul merito, nel nostro desiderio di voler continuare ad essere il mazziere che dà le carte e tiene il gioco, indipendente dal fatto che gli altri possano o no avere idee migliori, o anche darci una mano a risolvere il problema. Quindi, chiediamoci cosa è il vero problema che ci attanaglia sulla sicurezza dei dati e dalla privacy: vogliamo veramente risolvere il problema o vogliamo essere noi a risolverlo?
Se io avessi torto e ci fosse invece un genuino interesse a trovare una soluzione, cosa che naturalmente auspico, anche se questa venisse non dalle nostre proposte ma da quelle della Cina, o meglio da una sintesi da entrambe le parti, allora penso che dovremmo tutti accogliere con maggiore apertura la proposta del governo cinese che, e qua andiamo nel merito, mi sembra molto ragionevole e, anche se breve, molto attenta ad evidenziare le aree principale da attaccare. Riporto solo alcune delle proposte presentate del Ministro degli Esteri Wang Yi: gli Stati si impegnano ad opporsi a tutte le attività cibernetiche che possano mettere a rischio la sicurezza nazionale, l’interesse pubblico o le infrastrutture critiche. Gli stati si impegnano a rispettare la sovranità degli altri stati e si impegnano a non ottenere dati altrui senza consenso. Le aziende non dovranno introdurre delle backdoor per ottenere illegalmente dati o manipolare i dispositivi degli utenti. Infine, un invito a tutti gli stati del mondo a creare canali di dialogo per cooperare sulla base del rispetto reciproco per creare una comunità che condivide un futuro che promuove pace, sicurezza, cooperazione e apertura.
Conclusioni
Insomma, la Cina ha risposto all’Occidente quasi puntualmente a tutte le richieste da noi avanzate, usando le frasi e le parole che a noi piacciono. Eppure, non ci va giù. Forse c’è il sospetto sulla sincerità della proposta? Comprensibile, ma se non ci fidiamo, parliamone almeno. Il primo punto della loro proposta è, appunto, creare canali di dialogo. Dialoghiamo, quindi. O ci vogliamo far togliere il tappeto pure dal desiderio di voler dialogare, principio che ha animato lo sviluppo dell’Occidente, le nostre democrazie liberali ed il progresso sociale ed economico degli ultimi secoli?