il commento

L’app coronavirus sia con gps e obbligatoria (in certi casi): ecco perché

Sarà un flop l’app per tracciare i contagiati se tutta volontaria e sempre regolata con il consenso dell’utente. Un errore rinunciare al gps, fa bene Colao a volerlo. Parola di un avvocato noto sostenitore dei diritti privacy

Pubblicato il 15 Apr 2020

Fulvio Sarzana

Avvocato, professore Uninettuno

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Le notizie sui dispositivi tecnologici anti-covid fornite sotto forma di indiscrezioni raccolte degli organi di stampa, a volte contraddittorie, e mai, sino ad ora rese in forma ufficiale, stanno causando un forte dibattito sull’uso delle app con finalità di tracciamento.

Sì all’uso delle app vs coronavirus

La finalità dell’uso di queste app, a quanto sembra, dovrebbe essere quella di sostituire, in tutto o in parte il lockdown fisico, che sta stremando l’Italia, con un meccanismo di tracciamento tecnologico, in grado di limitare il rischio di ricadute e di ri-esplosione dell’epidemia.

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Va detto che l’uso delle app non sembra ostacolato dalla legislazione vigente  europea e nazionale in materia di privacy che consente in situazioni di eccezionalità, e rispettando i principi di proporzionalità e di tutela dei diritti fondamentali, di adottare norme integrative in materia di protezione dei dati personali.

L’Italia del resto ha già adottato norme integrative della privacy con i decreti che si sono susseguiti a partire dall’esplosione della pandemia.

E, certo appare fuori discussione che non si possa applicare in maniera pedissequa al presente quello che è stato adottato in passato, in un contesto del tutto diverso da quello in cui ci stiamo muovendo.

E’ il caso ad esempio di quanto previsto dalle limitazioni previste dal provvedimento 467 dell’11 ottobre 2018, ad opera del garante privacy, in relazione all’uso delle app anche nel settore sanitario, che prevederebbe tra le altre cose di limiti strettissimi all’uso di tali strumenti, e solo dopo aver operato attività molto complesse come la valutazione d’impatto.

App coronavirus, il consenso non deve essere necessario

Così come appare difficile ritenere applicabili al contesto odierno le disposizioni in materia di consenso degli interessati, che sono state adottate in riferimento ai dispositivi di tutela a distanza (anche attraverso app) delle categorie protette come gli anziani.

Il garante ha infatti ritenuto  in passato di sottoporre a limitazioni e censure i dispositivi  tecnologici che segnalavano l’allontanamento degli anziani dalle case di cura, ponendo l’attenzione sul necessario consenso degli interessati.

Una base giuridica, quella del consenso, che sembra essere esclusa dalle istituzioni europee quali il Board dei garanti europei.

In ogni caso i dispositivi tecnologici anti-covid, di cui si parla in questi giorni, possono essere di vario tipo e coinvolgere l’uso di bluetooth o di GPS.

In entrambi i casi va sgomberato il campo da un equivoco, i dati trattati ed inviati eventualmente all’ente incaricato di gestire la relativa banca dati sono dati personali che non possono essere definiti anonimi ma solo pseudoanonimi.

In altre parole da quei dati è possibile comunque risalire ad una persona, ai suoi contatti, ai suoi spostamenti, e ciò giustifica l’applicazione delle norme in materia di privacy.

A maggior ragione ciò avviene se ad essere trattati sono dati provenienti dalla posizione GPS.

Non a caso il garante italiano ha parlato di volontarietà nello scaricamento dell’app, al fine di rientrare il più possibile nelle strette maglie della normativa in materia di protezione dei dati.

La volontarietà, che è anche caldeggiata dall’European data protection board in una lettera del 14 aprile alla Commissione UE, però costituisce il più grande limite alla diffusione massiva dell’App che non ha senso di esistere se accade quello che è successo a Singapore, ove l’app di Stato relativa al tracciamento è stata scaricata da una persona su sei, determinando ad un certo punto l’abbandono di una strategia “tecnologica” di contenimento in favore di una più realistica opzione di “lockdown” del paese.

Obbligo app per i soggetti in quarantena

L’opzione relativa al tracciamento dovrebbe al contrario essere obbligatoria per determinate categorie (ad esempio i soggetti in quarantena) e per un determinato periodo di tempo, scaduto il quale, come previsto dal GDPR e rimarcato  dal garante, i dati devono essere cancellati.

Certo, tra l’opzione della volontarietà connessa all’uso di sistemi di bluetooth, secondo quella che sembrerebbe essere la scelta ipotizzata dal Ministro per l’Innovazione, almeno a quanto riportano gli organi di stampa, e quella dell’uso del GPS, (eventualmente reso obbligatorio in via emergenziale n.d.r.) , quale sembrerebbe essere la scelta della task force guidata dal manager Vittorio Colao, sembrerebbe essere preferibile la seconda.

Un ultimo tema va affrontato ed è il riferimento ad esperienze estere, come quelle della Corea o della Cina, che appare però completamente fuorviante, non solo perché in quelle realtà le funzioni di controllo, prevenzione e tutela, sono gestite in forma autoritativa (ed autoritaria) senza peraltro che vi sia alcuna norma come il GDPR, che stabilisce limiti e potenzialità al trattamento dei dati personali, ma anche perché si vorrebbe paragonare una società già pronta da anni  all’insorgere delle epidemie (per via delle epidemie di SARS e MERS degli anni passati), come quella dei paesi prima menzionati ad una struttura statale e locale completamente impreparata alla gestione dell’emergenza, come i recenti fatti delle banche dati di accesso ad incentivi ha pienamente dimostrato.

App contro il coronavirus, ecco le tecniche per la privacy

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