Questo libretto – irregolare, benché sulle regole – rappresenta una sfida anomala: fronteggiare con piglio umanistico, ma con semplicità, il panorama delle (non) conformità legali di persone e organizzazioni nella società dei dati e delle comunicazioni, ragionando di tutt’altro, e cioè comparando i quadri giuridici con le opere d’arte visiva. In effetti, c’è un legame di affinità tra le belle arti e le leggi: entrambe mediano tra la dimensione astratta e quella concreta, tra le vite interiori e quelle esteriori degli individui. Non a caso, Leonardo da Vinci si spinse a considerare la pittura una forma perfino più nobile delle arti liberali medievali poiché in grado di sintetizzare pensiero e realtà fisica. La forza metaforica del confronto tra due mondi solo apparentemente lontani fra loro potrà, credo, orientare e appassionare il lettore, più di quanto riuscirebbe un classico manuale.
Privacy vs protezione dei dati personali, confonderle è un errore: quanto ci costa
Privacy, la frontiera delle regole nell’era digitale
Avrei potuto intitolarlo “L’arte delle regole” o “L’arte della compliance”, ma sarebbe stato troppo generico e scollegato dai tempi che corrono. Invece la “privacy”, oltre a essere il mio campo di specializzazione professionale – intesa come diritto del sé, della proprietà intellettuale umana, dell’immagine, delle identità e dei dati personali – rappresenta la frontiera delle regole nell’era digitale ed è ricollegabile sia all’informatica sia all’arte. Con l’informatizzazione, tutto si sta progressivamente “datificando”: anche l’arte che, sin dalla più antica era analogica, è stata una forma efficace di rappresentazione delle profondità umane, tradotte attraverso le opere in informazioni estetiche.
Vorrei che, leggendo queste pagine, gli esperti di diritti digitali e di compliance aziendale potessero osservare gli adempimenti – ossia il rispetto di obblighi e divieti – sotto una luce nuova, aperta; che gli esperti d’arte potessero scoprire il lato “giuridico” di un dipinto e dei dati che raffigura; che gli inesperti, sia d’arte sia di diritto, si sentissero liberi di curiosare e avvicinarsi all’una e all’altra disciplina, come visitatori girovaganti in un anomalo museo di immagini e di norme.
Conviene anche a me accompagnarvi in questo percorso con fantasiosa ma affidabile leggerezza, per liberarmi dalle angustie della specializzazione. Di mestiere, infatti, faccio l’avvocato, e curo gli obblighi di conformità legale per enti e imprese che valorizzano beni immateriali, come banche dati o software, e che trattano informazioni personali. In linea di principio dovrei occuparmi del rispetto della privacy e dei diritti fondamentali e inviolabili degli esseri umani: ma la realtà dei fatti, frequentemente, smentisce questo assunto. L’umanità che dovrebbe essere al centro delle mie attenzioni di giurista tende a essere filtrata passando attraverso la stratosfera digitale e poi, proprio come una meteora in picchiata sulla Terra, a frammentarsi ulteriormente nel vortice delle competenze specialistiche, ficcandosi in cunicoli stretti senza uscita, intrappolata da conoscenze così microscopiche e minuziose da impedire sentimenti e pensieri di più ampio respiro.
Gli esperti di privacy e altri diritti elettronici rischiano di soffocare nei tecnicismi perdendo così per strada tradizioni storiche, visioni complessive e profondità culturali. Queste competenze morbide, tuttavia, risultano indispensabili per interpretare la realtà. Da anni, non a caso, va intensificandosi un dibattito accademico a livello internazionale sull’opportunità di estendere l’ambito dei percorsi formativi nelle discipline STEM (science, technology, engineering and mathematics), per trasformarle in STEAM (science, technology, engineering, arts and mathematics), cioè aggiungere la componente “arte”, che in fondo vuol dire “umanesimo”. L’arte può liberare il tecnologo, l’innovatore e il neo-giurista dalle sue gabbie digitalizzate, iniettando elementi di creatività, sorpresa, sregolatezza che fungono da indispensabile ossigeno per far bruciare ancora meglio la fiamma scientifica.
L’arte come varco per reinterpretare il muro della realtà
Il periodo pandemico, come se non bastasse, ha generalizzato e acuito il confinamento, facendoci percepire prigionie fisiche – tra le mura domestiche – ma anche intellettuali, emotive e morali; e ha instillato in noi una strisciante incertezza, via via trasformatasi in sfiducia di fondo verso le regole e quindi verso la conformità a esse; abbiamo, purtroppo, imparato a convivere con continui e volatili cambi di norme, giuridiche e scientifiche, alla disperata rincorsa del virus. E questo fenomeno riguarda tutti, beninteso, non solo tecnologi, innovatori e neo-giuristi.
Da iper-specialista del diritto dei dati, della privacy e della compliance digitale (ovvero da prigioniero delle mie stesse materie) e da persona che, come purtroppo tutti nel mondo, ha attraversato lunghi e spaventosi periodi di quarantena e lockdown tra quattro mura, spesso davanti a uno schermo, mi sono trovato a cercare “varchi” che potessero aprire lo sguardo a idee nuove e, al contempo, farmi reinterpretare il muro della realtà. Li ho scoperti nei dipinti appesi alle pareti, fuori dai computer e dagli smartphone. L’arte pittorica sarà l’appiglio nelle prossime pagine, l’escamotage, il lenzuolo per evadere dalla materia legale e tecnologica e dalla clausura forzatamente digitalizzante, distanziarcene e metterle meglio a fuoco.
Non raccoglierete da questo piccolo saggio analisi e soluzioni tecnicistiche o legalistiche ma, piuttosto, franche riflessioni e libere associazioni d’idee. Rimarrà deluso e spaesato chi cercherà, in queste pagine, un manuale o un commentario. È anzi, credo, un testo per disimparare la misurazione regolare delle cose e procurarsi vie di fuga, da cui partire senza probabilmente arrivare mai a una destinazione certa; un cacciavite che non servirà ad aggiustare alcunché, ma a rompere e forare schermi, muri, scatole, cassetti – cioè tutti gli spazi angusti e chiusi, a prospettiva limitata – e a farci entrare corrente viva e senza filtri, che possa renderne invece irregolari i perimetri, e ampliare l’angolatura dalla quale osserviamo il mondo.
Conclusioni
Rivolgo questo scritto agli esperti di compliance, di privacy, di cybersecurity e in generale a chi si occupa di innovazione in ogni campo – figure ancora in minoranza, ma destinate a moltiplicarsi e a dominare il nostro domani –, ma anche ai non specialisti e agli inesperti, a chi nell’oceano tecnologico, pur senza padroneggiarlo sul piano scientifico o professionale, di fatto vive. Spero che possano trarne istanti di arricchimento, fantasia e generatività. Perché siamo tutti prigionieri di normative e regolarità, ineluttabili quanto arbitrarie, eppure così bisognosi di arte e umanità, di libertà senza mascherine e di rotte impreviste.