L’elezione a presidente USA di Donald Trump spinge anche Mark Zuckerberg – che forse non aspettava altro – verso un sistema iperliberista dei contenuti nei social network di Meta.
La decisione di passare da un sistema di moderazione basato sul fact checking ad uno basato sulle community notes viene letta come uno spostamento a destra di Zuckerberg, ma c’è ben altro.
Perché Meta taglia la moderazione
In primo luogo, una secca riduzione dei costi della moderazione.
Il ceo di Meta, in un colpo solo, ha abbattuto dei costi, che ha sostanzialmente riversato sulla community, aumentando al tempo stesso, in questo modo, le interazioni tra pubblico e social network.
Si è liberato di quello che era oggettivamente un vincolo politico con la precedente amministrazione ed ha allineato le proprie aziende verso un trend che pare funzionare bene per X, piattaforma che, quando era denominata Twitter, era considerata “esemplare” per la moderazione dei contenuti e “faro” dei social network del pensiero progressista.
Per altri, invece, era unicamente un social pieno di censura ed addomesticato dal politically correct.
Insomma, per Meta tre piccioni con una fava: costi, engagement, politica.
Non solo – e su questo torneremo -: ha accelerato il processo che porta i sistemi di informazione ed i media verso la stakeholder economy propugnata da tempo dal World economic forum. Vedremo anche a spese di chi, quantomeno in prospettiva.
Meta licenzia i moderatori: cosa ha detto Mark Zuckerberg
Merita a questo punti riportare cosa ha detto Mark Zuckerberg che, nell’annunciare in un video il cambio di policy negli States, non l’ha toccata piano, esplicitando inequivocabilmente quanto molti già pensavano da tempo.
“I fact checker sono stati troppo di parte politica e hanno distrutto più fiducia di quanta ne abbiano creata”.
“Quello che è iniziato come un movimento per essere più inclusivo è stato sempre più usato per chiudere le opinioni e per escludere le persone con idee diverse, ed è andato troppo oltre”.
Qui la stoccata è chiaramente rivolta ai dem statunitensi ed alle posizioni woke e simili, con un sostanziale allineamento sulle posizioni e sulle politiche di moderazione di Elon Musk.
Le bordate, comunque, non finiscono qui.
“Negli ultimi anni abbiamo sviluppato sistemi sempre più complessi per gestire i contenuti sulle nostre piattaforme, in parte in risposta alle pressioni sociali e politiche per moderare i contenuti. Questo approccio si è spinto troppo oltre”.
Non solo: “Per quanto ben intenzionati, molti di questi sforzi si sono ampliati nel tempo fino al punto in cui stiamo commettendo troppi errori, frustrando i nostri utenti e ostacolando troppo spesso la libera espressione che ci eravamo prefissati di consentire. Troppi contenuti innocui vengono censurati, troppe persone si ritrovano ingiustamente rinchiuse nella “prigione di Facebook” e spesso siamo troppo lenti a rispondere quando succede”.
“Vogliamo rimediare a tutto questo e tornare al nostro impegno fondamentale per la libertà di espressione. Oggi stiamo apportando alcune modifiche per rimanere fedeli a questo ideale”.
Cosa cambierà negli States: dal fact checking alle Community notes
Il Ceo di Meta ha spiegato come intende procedere.
“Abbiamo in programma di introdurre gradualmente Community Notes negli Stati Uniti nei prossimi due mesi e continueremo a migliorarlo nel corso dell’anno. Nel corso della transizione, elimineremo il controllo del fact-checking, smetteremo di declassare i contenuti verificati e, invece di sovrapporre avvisi interstiziali a schermo intero su cui è necessario cliccare prima di poter vedere il post, utilizzeremo un’etichetta molto meno invadente che indicherà che ci sono informazioni aggiuntive per coloro che vogliono vederle”.
Verranno inoltre eliminate una serie di restrizioni su argomenti come l’immigrazione, l’identità di genere e il sesso, questo perché “Non è giusto che si possano dire certe cose in televisione o al Congresso, ma non sulle nostre piattaforme. Questi cambiamenti di politica potrebbero richiedere alcune settimane per essere pienamente attuati”.
Meno declassamenti di contenuti
Pure i sistemi di AI su cui si basano i declassamenti o gli oscuramenti dei post: “Cambieremo anche il modo in cui applichiamo le nostre politiche per ridurre il tipo di errori che rappresentano la maggior parte della censura sulle nostre piattaforme”.
“Finora abbiamo utilizzato sistemi automatici per individuare tutte le violazioni delle policy, ma questo ha comportato troppi errori e la censura di troppi contenuti che non avrebbero dovuto essere censurati. Continueremo quindi a concentrare questi sistemi sulle violazioni illegali e ad alta gravità, come il terrorismo, lo sfruttamento sessuale dei minori, la droga, le frodi e le truffe”.
Scenari ed implicazioni
Va detto che, per ora, in Europa non cambierà nulla: il Digital Services Act è pienamente in vigore e determinerà un sistema di moderazione ancora basato sul fact checking.
Se, da una parte, Elon Musk ha dichiarato apertamente guerra alla Commissione europea su questo terreno, le decisioni a medio e lungo termine di Meta non sono ancora note.
Una cosa è certa: il test statunitense consentirà a Meta di fare una valutazione costi/ricavi idonea a creare proiezioni ragionevoli anche per il mercato europeo.
Un altro aspetto da valutare è la direzione presa da Musk prima e da Zuckerberg poi: ossia la stretta applicazione al sistema del social network nello stakeholder capitalism propugnato dal World economic forum.
Stakeholder capitalism è il titolo del libro pubblicato da Klaus Schwab nel 2021, disponibile su ogni piattaforma online ed in libreria; la definizione che si trova sul sito del Wef di stakeholder capitalism è la seguente: “Il capitalismo degli stakeholder è una forma di capitalismo in cui le aziende puntano a creare valore a lungo termine tenendo conto delle esigenze di tutti i loro stakeholder e della società in generale”.
Detto così, il discorso può apparire a tal punto vago ed innocuo da lasciare del tutto indifferenti.
Ma la sostanza è diversa: se si cerca di creare valore a lungo termine per lo stakeholder, si tratta, in primo luogo, di individuare questo soggetto.
Il primo stakeholder delle piattaforme social è l’utente, la cui esigenza può essere varia, ma che certamente non ama vedersi bannato o non trovare i propri contenuti censurati da qualche fact checker che, in questo contento, non è uno stakeholder.
Via, quindi, i fact checkers – e anche qui si dovrà tornare brevemente in seguito.
Ma non è finita: se, infatti, come dice Zuckerberg, non c’è ragione che quanto viene detto al Congresso o in televisione non possa essere detto anche sui – suoi – social, l’implicazione evidente è l’entrata in concorrenza tra social e media tradizionali su una scala mai vista prima.
E’ il capitalismo degli stakeholder, baby: si va direttamente sull’utente finale, senza passare dai cosiddetti corpi intermedi, residuato del 900’.
Il risultato, per quanto riguarda il mondo dell’informazione, è una progressiva riduzione del ruolo del giornalista, la cui attività sarà in parte sostituita dalle community notes, allo stesso modo in cui è stata cancellata la figura del fact checker con un video.
Conclusioni
Siamo solo all’inizio.
Se l’Unione europea si arrocca su modelli novecenteschi di indirizzamento delle informazioni, gli States si lanciano nella sfida dell’iperliberismo, con lo scopo dichiarato di governare l’informazione mondiale tramite le big tech della Silicon Valley, lasciate libere di cercare profitto in ogni modo di espandersi in ogni dove.
Qui “informazione” inteso in un senso ampio, non tradizionale, che include l’intrattenimento: dominio sulla nostra attenzione, insomma; che è da sempre il loro modello di business (non solo dei social, ma anche di soggetti come Google), ora libero di esprimersi col vento in poppa di una politica favorevole.
Lo stakeholder capitalism lancia una sfida aperta a tutti i corpi intermedi delle società industriali, in primo luogo a professionisti, sindacati, associazioni di categoria e politici.
Tutte queste categorie rappresentano dei “costi” occulti di ogni sistema.
La linea seguita fin ora è che questi costi sono necessari ala gestione “ordinata” delle società civili: ma in futuro sarà ancora così?
Zuckerberg si sta spingendo molto in là e, forse, l’azione di Elon Musk a lungo termine dovrà essere rivalutata anche in ottica più politica – nel senso ampio del termine – che in termini di stretto business.
Cosa può andare storto nella visione big tech di dominio sull’informazione
Tre piccioni con una fava, si diceva, per le big tech che scelgono di allentare sulla moderazione contenuti.
Ma sarà un equilibrio comunque complesso da raggiungere. L’esperienza di X lo dimostra: dalla svolta, perdita di utenti e di ricavi pubblicitari (meno della metà nel 2024 rispetto al 2021 secondo eMarketer) perché ci sono troppi contenuti inappropriati per alcuni utenti e sponsor (e Musk è troppo ingombrante).
Se Meta esagera in questa direzione insomma rischia un boomerang. Di contro è vero che forse per ora ha esagerato nella direzione opposta, politicamente corretto e iper moderazione, creando polarizzazioni e sfiducia degli utenti.
Altra variabile è la politica: l’Europa potrebbe fare valere le sue ragioni; i democratici potrebbero tornare al potere negli Usa fra quattro anni. Ma le big tech si sono dimostrate agili a adattarsi ai nuovi venti.
Alessandro Longo