l'analisi

Microtargeting per la pubblicità politica: come funziona, per Usa 2020

Nell’era del microtargeting, la democrazia è più che mai vulnerabile. Abbiamo già abbastanza esempi di quanto la manipolazione online sia una minaccia per la società e un sintomo dell’opacità e della mancanza di responsabilità dell’ecosistema digitale. Ecco come funziona e quali contromisure sono allo studio

Pubblicato il 13 Nov 2019

Barbara Calderini

Legal Specialist - Data Protection Officer

social net

Manca un anno alle elezioni presidenziali americane e stavolta Facebook e altri come Google, Amazon, Microsoft e Verizon non vogliono arrivare impreparati e ripetere la debacle del 2016.

Eppure, come rivela uno studio condotto da Who Targets Me? in vista di un round elettorale molto più vicino e altrettanto importante, quello del prossimo 12 dicembre nel Regno Unito, i tre maggiori partiti politici in Inghilterra e Galles starebbero usando gli elettori “come topi da laboratorio in un esperimento gigantesco”. Gigantesco quanto delicato, stante il momento travagliato per la politica nazionale, messa a dura prova dal processo della Brexit.

L’imperativo è segmentare, indirizzare e personalizzare i messaggi inviati ai singoli individui grazie a sofisticati modelli predittivi computazionali di microtargeting di cui la maggior parte degli inserzionisti ignora le modalità di adozione delle decisioni e del cui utilizzo le persone per la maggioranza non sono consapevoli. Il sistema premia i contenuti sensazionali e virali e non distingue, in linea generale, tra inserzionisti commerciali e politici.

Ma come funziona il microtargeting e  in che modo i social network e gli altri big del web da un lato, e i legislatori dall’altro, pensano di arginare il fenomeno?

Profilare e targettizzare

Le campagne politiche, in particolare negli Stati Uniti, hanno utilizzato le tecnologie digitali per più di un decennio, sviluppando strumenti e tecniche sempre più sofisticati durante ogni ciclo elettorale e le cosiddette “politiche computazionali” sono diventate procedure operative standard. Le elezioni più recenti hanno addirittura segnato una svolta cruciale, poiché i candidati, i comitati di azione politica e altri gruppi di interesse sono stati in grado di trarre vantaggio da importanti scoperte nelle tecniche di marketing basate sui dati, come il targeting cross-device.

Gli elettori di un determinato quartiere, area, contea o Stato vengono stratificati per censo, orientamento politico, propensione al voto, acquisti, comportamenti. Tutto è raccolto e organizzato in grandi database. I messaggi politici, a quel punto, se non ad personam, sono comunque altamente strutturati e dedicati: nel tuo quartiere le fogne non vanno? Colpa del governatore democratico. Sono aumentati i furti? Lottiamo per il tuo diritto ad avere armi.

L’esempio delle elezioni Trump 2016

Il Ceo di Cambridge Analytica Alexander Nix, durante il Concordia Summit di New York del 2016, ha abilmente spiegato al mondo intero il potere dei big data nell’utilizzo congiunto con la psicografia, l’analisi della personalità, e le possibilità di invio personalizzato di messaggi pubblicitari (Programmatic Advertising).

“Meno di 18 mesi fa, il Senatore Cruz era il candidato meno popolare alle primarie per le elezioni americane, con meno del 40% di riconoscibilità tra l’elettorato repubblicano, e si confrontava con Jeb Bush, noto agli americani fin dalla metà degli anni 80’. Alla fine della campagna per le primarie, Cruz è arrivato ad essere l’unico vero candidato repubblicano contro Donald Trump. Come ha fatto?”.

Il Marketing politico basato sul microtargeting è stato applicato principalmente negli Stati Uniti.

Il digital strategist della campagna per le primarie del 2016 di Trump, Bard Parscale, peraltro riconfermato anche per quella del 2020, è intervenuto all’Università di Bucarest al seminario dal titolo “Let’s Make Political Marketing Great Again” che richiama l’originario “Let’s Make America Great Again”. Nella sua tre giorni nella capitale rumena, oltre al seminario accademico, ha rilasciato un’intervista rivelando le fasi salienti della campagna del 2016 ed ha anche condiviso alcune informazioni sulla futura campagna di Trump che prevede l’utilizzo di più di un milione e mezzo di volontari da inviare porta a porta, gestiti attraverso un’applicazione che «Aiuterà a eseguire qualsiasi tipo di programma di volontariato e sarà alimentata dai dati della campagna, attraverso l’uso di un sistema di apprendimento automatico su larga scala. Quindi, quando i volontari busseranno ad una porta, sapranno già quali sono le preoccupazioni della persona, e i suggerimenti della discussione contribuiranno a migliorare il programma pubblicitario della campagna».

Le fasi salienti:

  • In prima battuta, grazie alla nomina di Trump per correre alla Presidenza, il team ottiene l’accesso al Data Trust del comitato nazionale repubblicano: una raccolta di oltre 200 milioni di file degli elettori. Una sorta di corrispondente “molto più dettagliato” del nostro Archivio storico delle elezioni, dove sono messi a disposizione, a puro scopo divulgativo, una banca dati interrogabile on-line contenente i risultati delle consultazioni elettorali, partendo dagli aggregati complessivi fino al dettaglio dei singoli comuni e, per l’estero, dei singoli consolati

“Era come un regalo di Natale” ricorda Parscale.

  • La squadra ora aveva modo di “sapere cosa pensavano gli americani”; ma Parscale e il suo team avevano ancora bisogno di un metodo efficace per bersagliarli. E questo “altro regalo di Natale” arriva quando alcuni rappresentanti di Facebook vanno nel suo ufficio per dirgli che avevano un modo ancora più specifico per gestire le inserzioni: “…in modo da abbinare i dati che avete direttamente ai loro account Facebook”

Parscale sa bene che Facebook è il gorilla alfa dei social, la chiave per coinvolgere la “gente dell’America persa e dimenticata”.

  • Grazie a Cambridge Analytica; grazie all’utilizzo di sofisticate tecniche analitiche e un chirurgico approccio al marketing digitale, Donald Trump è stato dunque in grado di veicolare i propri messaggi elettorale nei modi, nei tempi, e nei luoghi più appropriati per raggiungere ciascun elettore. Prendendo ad esempio la posizione favorevole di Trump sulla questione del possesso di armi, essa è stata proposta come ‘difesa’ ai cittadini impauriti che abitano in quartieri malfamati, ‘diritto’ ai puristi della costituzione e come ‘tradizione’ agli amanti della caccia sportiva.

In sintesi, i Big Data, la cui fonte primaria è costituita da Internet, inseriti in un contesto politico si trasformano in un’arma di consenso. Le campagne elettorali si strutturano al limite del sartoriale: il metodo utilizzato combina l’analisi psicometrica, ovvero quel campo della psicologia specializzato nella misurazione delle caratteristiche psicologiche dell’individuo, ai Big Data. Da questo incrocio nasce OCEAN, il modello basato sull’analisi dei Big Five: apertura mentale, coscienziosità, estroversione, approccio collaborativo e stabilità emotiva. Ne parlerò più approfonditamente in seguito.

Alla rappresentanza sul territorio si sostituisce la politica on-demand

Decine di migliaia di messaggi diversi dicono una cosa sola: conosco il tuo problema e ti darò ciò di cui hai bisogno. Peraltro molte delle strategie, degli strumenti e delle tecniche digitali impiegate nelle elezioni americane del 2016 sono state inizialmente sviluppate, implementate, testate e perfezionate proprio dal settore commerciale.

Questo sistema è emerso negli Stati Uniti nel mezzo di una cultura politica di minima interferenza da parte del governo e all’interno di un laissez-faire riguardo ad Internet e alle nuove tecnologie.

Di conseguenza, l’industria pubblicitaria ha svolto agevolmente un ruolo centrale nel modellare le operazioni di piattaforme e applicazioni nell’ecosistema dei media digitali.

Non per nulla il marketing digitale è ormai ben consolidato e quanto mai fiorente.

Le pratiche di marketing digitale contemporaneo hanno sollevato a livello globale seri problemi non limitati alla sola data protection, ma anche in relazione alla reale tenuta del principio democratico degli Stati e a livello globale. Negli Usa gli apparati di sicurezza, dall’FBI al Dipartimento dell’Homeland Security, temono che le elezioni dell’anno prossimo – al pari di quelle del 2016 – possano essere utilizzate per diffondere messaggi che minino la fiducia nella democrazia, alimentino divisioni sociali e promuovano specifiche agende distanti da quella americana.

E i pericoli non derivano solo dai rispettivi avversari politici: giungono dal cyber spazio. Dal cosiddetto ‘Asse del Cyber’ ovvero Cina, Corea del Nord, Iran e Russia.

Secondo un documento del National Counterintelligence and Security Center, i tentativi stranieri di interferire con le elezioni rientrano in categorie distinte:

  • operazioni informatiche mirate all’infrastruttura elettorale;
  • operazioni informatiche rivolte a partiti politici, campagne e funzionari pubblici;
  • operazioni di influenza segrete per assistere o danneggiare organizzazioni politiche, campagne o funzionari pubblici,
  • operazioni di influenza segrete per influenzare l’opinione pubblica e seminare divisione;
  • coprire gli sforzi per influenzare i politici e i cittadini.

Jack Dorsey, amministratore delegato di Twitter punta all’introduzione nella sua piattaforma di un divieto indiscriminato e direi anacronistico di spot pubblicitari di contenuto politico:

“Gli annunci politici su Internet presentano sfide completamente nuove al discorso civico: ottimizzazione basata su machine learning di messaggistica e micro-targeting, informazioni fuorvianti non controllate e falsi profondi”, ha twittato . “Tutto a velocità crescente, raffinatezza e scala schiacciante.”

Mark Zuckerberg, CEO di Facebook, rivela che i punti fermi del suo prossimo piano contro la disinformazione saranno la lotta alle interferenze straniere con un programma in grado di individuare i cosiddetti ‘bad actors’ che agiscono nella rete, l’aumento della trasparenza delle pagine e della pubblicità e, una severa stretta su ogni forma di disinformazione e sui contenuti d’odio. Perchè “Vietare la pubblicità politica vuol dire censurare la libertà di parola e di espressione” sostiene, con ciò intendendo anche rispondere a Dorsey e a Twitter.

Ellen Weintraub, commissario della Commissione elettorale federale degli Stati Uniti dal 2002 e la presiede per la terza volta quest’anno, in un articolo pubblicato su The Washington Post raccomanda in particolare a Facebook di “interrompere la pratica del microtargeting degli annunci politici” in modo da “consentire annunci politici che scoraggiano le campagne di disinformazione, ripristinando la trasparenza e proteggendo il robusto mercato delle idee”.

“Il microtargeting di annunci politici potrebbe minare il carattere unito dei nostri Stati Uniti” scrive, e continua:

“Tali annunci compromettono anche il principale rimedio che la Corte Suprema ha messo in campo per bugie in politica: il controspionaggio”

Hildegarde Naughton, deputata del Parlamento irlandese nonché membro del Grande Comitato Internazionale sulla Disinformazione e Fake News, durante la scorsa riunione tenutasi a Dublino su come affrontare hate speech, contenuti dannosi e interferenze elettorali online (che ha presieduto), ha sottolineato come “la self-regulation da parte delle aziende tecnologiche globali non sia sufficiente”.

“Il mondo dei social media deve cambiare per aumentare la trasparenza e proteggere le elezioni democratiche. Abbiamo bisogno di piena trasparenza sulla fonte, sui metodi del targeting e sul finanziamento di tutte le ads politiche online. Siccome Internet è una rete globale, la risposta per combattere i contenuti nocivi online deve trovarsi nella collaborazione internazionale”.

Tra gli oratori, il capo della gestione delle politiche globali e l’antiterrorismo di Facebook, Monika Bickert, la giornalista dell’Observer Carole Cadwalladr ben nota nel settore per essersi distinta nella vicenda Facebook e Cambridge Analytica, il commissario per la protezione dei dati Helen Dixon e Paolo Cesarini, a capo dell’unità della Commissione europea che ha affrontato la disinformazione online.

Del Grande Comitato Internazionale sulla Disinformazione e Fake News fanno parte parlamentari di Stati Uniti, Irlanda, Singapore, Australia, Regno Unito, Svezia, Argentina, Georgia, Finlandia ed Estonia. Questi, firmando un documento d’intesa, si sono impegnati a supportare o introdurre leggi nei rispettivi parlamenti che esigano comunicazione pubblica e trasparenza sulla pubblicità politica online pur nel rispetto della libera espressione.

Da Ocean a Cambridge Analytica

La vicenda ebbe inizio nel 2008, quando Michal Kosinski, psicologo del Centro Psicometrico (University of Cambridge), in collaborazione con David Stillwell e Thore Graepel, sperimentavano alcuni quiz che rispondessero a ciò che gli psicologi tutt’oggi chiamano “Big Five”, i tratti della personalità, dall’inglese “OCEAN”.

OCEAN ovvero la suddivisione della personalità degli individui in 5 tratti fondamentali:

  • Openness to experience (apertura mentale),
  • Conscientiousness (quanto si è perfezionisti),
  • Extraversion (quanto si è socievoli),
  • Agreeableness (quanto si è attenti e premurosi verso gli altri),
  • Neuroticism (quanto si è connessi alle proprie emozioni).

La loro valutazione si basa su “IPIP-NEO”, acronimo per “International Personality ITEM Pool – Neuroticism, Extraversion & Openness”, questionario sulla personalità che valuta le persone in base al modello Big Five.

Un test quindi scientificamente basato su tali tratti, generalmente accettato in tutto il mondo come uno dei questionari più apprezzati e accurati.

Si compone di 120 item, ognuno dei quali viene valutato in base alla scala Likert a 5 punti, che varia da punto 1: “assolutamente vero per me” a 5: “assolutamente falso per me”.

Il 2013 rappresentò poi l’anno in cui la rivoluzione digitale si mostrò in tutta la sua potenza: uno studio di Kosinski pubblicato anche sulla rivista Pnas, rivelò la possibilità di analisi predittive sulle caratteristiche della personalità di un utente basandosi su un certo numero di “like” di Facebook. Kosinski iniziò a correlare i dati derivanti dai test di personalità con i “Mi Piace” del profilo social di una persona, dimostrando che, in media con 68 “like”, era possibile predire il colore della pelle di un individuo con precisione del 95%, il suo orientamento sessuale (88%) e l’affiliazione politica al Partito democratico o repubblicano (85%). Ma c’era dell’altro. Si potevano stabilire anche il quoziente d’intelligenza, la religione e se facesse uso di alcolici, sigarette e droghe. Attraverso i dati era addirittura possibile dedurre se il soggetto fosse figlio di genitori divorziati.

Insomma un identikit preciso, dettagliato, la stele di Rosetta dei pubblicitari.

I social, come prevedibile, si trasformarono immediatamente in un database in grado di fornire profilazioni facilmente accessibili, tanto quanto accurate, su caratteristiche prettamente personali.

“La personalità guida il comportamento, il comportamento influenza il voto”. Il targeting psicologico è uno strumento efficace di propaganda digitale?

Tra gli altri studiosi, Michal Kosinski e Sandra Matz, ricercatrice della Columbia Business School e della Gideon Nave della Wharton School of Business ne sono convinti ed hanno condotto una serie di test che dimostrano l’efficacia del microtargeting basato sulla personalità.

Nel 2014, Aleksandr Kogan, noto con lo pseudonimo Dr Spectre, chiese l’accesso alla banca dati di Kosinski per conto di un’agenzia di comunicazione specializzata in campagne elettorali, chiamata Strategic Communications Laboratories. Kosinski rifiutò la richiesta di Kogan, che però perseguì il suo obiettivo, registrando una società di proprietà di SCL sotto il nome di Cambridge Analytica. Kogan, con essa, copiò il progetto di Kosinski: My Personality Project.

Gli algoritmi di psicometria alla base del modello predittivo utilizzato da Cambridge Analytica non portarono alla configurazione di profili “elettorali”, nel senso stretto del termine, ma a cluster psicologici, emozionali e caratteriali, idonei a consentire una “iper-targhettizzazione” chirurgica dei messaggi di propaganda. Un salto di qualità rispetto alle precedenti campagne elettorali fino ad allora basate su concetti demografici o di genere.

Il microtargeting psicografico attuato da Cambridge Analyica in poi è infatti una tipologia di marketing politico innovativo, fondato sulla misurazione della personalità degli elettori in base alle loro tracce digitali e nella pratica di influenza attraverso l’invio di messaggi personalizzati.

Dal Targeting psicologico al microtargeting comportamentale

In generale, i modelli predittivi si dividono in due campi: parametrico e non parametrico. Nonostante le differenze metodologiche e matematiche tra i tipi di modello, l’obiettivo generale di ciascuno è simile: prevedere esiti futuri o sconosciuti sulla base di record digitali di comportamento facilmente accessibili, come Mi piace di Facebook.

Una parte crescente delle attività umane, come interazioni sociali, intrattenimento, shopping e raccolta di informazioni, è ora mediata da servizi e dispositivi digitali. Tali comportamenti mediati digitalmente e spesso anche con buona pace della normativa di Data Protection, possono essere facilmente registrati e analizzati, alimentando l’emergere della scienza sociale computazionale e nuovi servizi come motori di ricerca personalizzati, sistemi di raccomandazione e marketing online mirato.

Prevedere tratti e attributi individuali basati su vari indizi, come campioni di testo scritto, risposte a un test psicometrico o l’aspetto degli spazi abitati dalle persone, ha una lunga storia e la migrazione umana nell’ambiente digitale ne ha solo ampliato le possibilità di esternazione.

Il Prediction Model basato sui “mi piace” di Facebook si basa sull’elaborazione parametrica di record digitali appartenenti ad una classe generica, simile ad una query di ricerca Web, cronologie di navigazione Web e acquisti di carte di credito.

L’osservazione dei Like degli utenti relativi alla musica fornisce, ad esempio, informazioni simili all’osservazione dei record di brani ascoltati online, brani e artisti cercati utilizzando un motore di ricerca Web, o abbonamenti ai canali Twitter correlati. Contrariamente a queste altre fonti di informazione, i Mi piace di Facebook sono però disponibili – spesso – per chiunque e per impostazione predefinita: lo sono per gli Uffici Governativi, per attori stranieri “animati dai migliori propositi”, per sviluppatori di browser Web, per motori di ricerca o applicazioni di Facebook.

La prima applicazione accessibile al pubblico di Prediction Model ci viene resa disponibile dagli scienziati dell’Università di Cambridge ed è nota con il nome di Apply Magic Sauce, un software che trasforma le impronte digitali reperite da un social come Facebook, in un dettagliato profilo psicologico. Una sorta di identikit della nostra psiche, così come appare dalla nostra “identità digitale”. Sarà sufficiente leggere attentamente l’Informativa Privacy (…e rinunciare) e accedere con le credenziali Facebook, autorizzando in tal modo l’algoritmo ad elaborare i nostri dati e ottenere in cambio la nostra età psicologica, il nostro orientamento sessuale anche latente, l’apertura mentale, l’estroversione, la stabilità emotiva, la situazione sentimentale, l’umore medio e il grado di intelligenza.

Sette tecniche chiave per il marketing politico digitale

Di seguito citerò almeno sette tecniche chiave sebbene non esaustive, emblematiche del sistema di marketing politico digitale, pur consapevole che altre più evolute stanno già operando accanto ad esse:

  • Il targeting cross-device: è una procedura standard per iniziative politiche e altre campagne. I file degli elettori vengono caricati nel processo di integrazione, consentendo alle campagne di trovare i propri target su dispositivi mobili e in momenti specifici in cui potrebbero essere più ricettivi a un messaggio.
  • La pubblicità programmatica: si riferisce a nuove forme automatizzate di acquisto e posizionamento di annunci su supporti digitali che utilizzano programmi per computer e processi algoritmici per trovare e indirizzare un cliente ovunque vada. Il processo può anche coinvolgere “aste” in tempo reale che si verificano in millisecondi al fine di “mostrare un annuncio a un cliente specifico, in un contesto specifico”.
  • Lookalike modelling: ovvero l’uso dell’analisi dei big data che consente agli esperti di marketing di acquisire informazioni su un individuo senza osservare direttamente il comportamento o ottenere il consenso. Lo fanno “clonando” i loro “clienti più preziosi”al fine di identificare e indirizzare altri potenziali individui a fini di marketing.
  • Geolocation targeting: i dispositivi mobili inviano continuamente segnali che consentono agli inserzionisti (e ad altri) di sfruttare la posizione di una persona, tramite le comunicazioni GPS (sistema di posizionamento globale), Wi-Fi e Bluetooth del telefono.
  • On line video advertising: il video digitale, tramite dispositivo mobile e altri dispositivi, è percepito come un modo altamente efficace di fornire contenuti emotivi per conto di marchi e campagne di marketing
  • Targeted Tv advertising: le tecnologie digitali e i set-top box “indirizzabili” hanno trasformato la TV via cavo e broadcast in potenti macchine di micro-targeting
  • Targeting psicografico, neuromarketing basato sulle emozioni: i progressi della neuroscienza, del cognitive computing, dell’analisi dei dati, del monitoraggio comportamentale e di altri recenti sviluppi sono diventati parte del DNA della pubblicità digitale

Cambridge Analytica, dopo aver profilato milioni di utenti Facebook, cittadini americani, utilizzando tecniche di apprendimento algoritmico induttivo analoghe a quelle appena descritte, ha potuto inviare agli stessi (e altri collegati) annunci di propaganda politica sulla base della personalità dedotta dal modello, adattando i propri annunci a persone con caratteristiche particolari.

Praticamente ogni messaggio di una certa fazione politica era basato sull’elaborazione di dati personali digitali.

Si legge che il giorno del terzo dibattito televisivo fra Trump e Clinton, la squadra del candidato repubblicano ha testato, soprattutto attraverso Facebook, 175mila variazioni di inserzioni sui temi della campagna elettorale. Nella maggior parte dei casi i messaggi differivano tra loro solo per dettagli microscopici, con l’obiettivo di rivolgersi ai destinatari nel modo più consono al loro profilo psicologico. C’erano titoli diversi, colori e didascalie diversi, accompagnate da foto o video. Variazioni impercettibili che miravano a raggiungere gruppi sempre più piccoli, da un’intera comunità come ad un condominio, fino alle singole persone”

Il 2 maggio 2018, dopo le inchieste giornalistiche che portarono alla luce l’uso scorretto di una grandissima quantità di dati prelevati da Facebook da parte di Cambridge Analytica, la stessa ha chiuso i battenti.

Tutti i dipendenti hanno ricevuto l’ordine di restituire qualunque tecnologia e computer che fosse in loro possesso. Cambridge Analytica era titolare di contratti per 15 milioni di dollari durante la campagna elettorale del 2016 negli Stati Uniti: come dire l’apice del suo business e l’inizio della sua precipitosa caduta. Nell’annunciare la cessazione delle attività, la società non ha mancato di difendere la propria posizione:

“Over the past several months, Cambridge Analytica has been the subject of numerous unfounded accusations and, despite the Company’s efforts to correct the record, has been vilified for activities that are not only legal, but also widely accepted as a standard component of online advertising in both the political and commercial arenas”

Facebook, invece, che ancora oggi vanta il titolo di più celebre e utilizzato social network al mondo (secondo dati di Statista nel secondo trimestre del 2019 contava quasi 2 miliardi e mezzo di utenti attivi mensilmente), prosegue nel suo perdurante tentativo di “redenzione” cominciato con la sospensione di oltre 200 App dalla propria piattaforma, l’introduzione di Clear History, Data Abouse Bounty, Facebook Container, fino alle ultime dichiarazioni, rese in vista delle prossime elezioni americane, con le quali si dice intenzionato a dichiarare guerra ai falsi account e a quelli che diffondono notizie in modo strumentale e organizzato, con l’obiettivo di salvaguardare il processo democratico del voto da interferenze straniere e disinformazione.

Di fatto, questo particolare approccio alla propaganda elettorale – e in effetti al marketing – sarà, per Facebook come per altri, l’eredità definitiva di Cambridge Analytica. Per quanto riguarda le interferenze straniere il ricordo del Russiagate come del report del procuratore generale Robert Mueller e della cosiddetta ‘fabbrica dei troll’ di San Pietroburgo, farà il resto.

I pericoli legati all’abuso indiscriminato delle tecniche di microtargeting

In una recente dichiarazione congiunta, i principali funzionari dell’intelligence e delle forze di sicurezza USA hanno affermato che “attori malintenzionati stranieri” potrebbero utilizzare campagne di social media, operazioni di disinformazione e attacchi informatici per influenzare il voto alle elezioni presidenziali del 2020.

I Dipartimenti USA di Giustizia, Difesa e Sicurezza Nazionale, il Direttore della National Intelligence, l’FBI, l’NSA e la CISA indicano quelle che potrebbero essere le maggiori minacce.

L’elenco è vasto ma vale la pena apprenderne il contenuto poiché offre una panoramica significativa: disinformazione, operazioni hack-and-leak, manipolazione dei dati in modo mirato per influenzare le elezioni, forme non tradizionali di spionaggio per acquisire informazioni o ottenere l’accesso alle infrastrutture critiche, nuovi sensori e tecnologie di sorveglianza, operazioni di filiera; e, indirettamente, investimenti diretti esteri, joint venture e fusioni e acquisizioni di imprese e fornitori correlati alle elezioni che potrebbero fornire a un avversario l’accesso a sistemi chiave, reti e informazioni.

Non vengono sottovalutate nemmeno nuove frontiere, come quelle dei cosiddetti deepfake, ovvero una sintesi di immagini umane basata sull’intelligenza artificiale che viene utilizzata per combinare e sovrapporre immagini e video esistenti su immagini o video sorgente utilizzando una tecnica di machine learning chiamata ‘generative adversarial network’; la combinazione dei video esistenti e di quelli di origine genera un video in grado di rappresentare una persona o persone che dicono cose o eseguono azioni che non si sono mai verificate nella realtà, con l’obiettivo di gettarvi addosso discredito o metterle in difficoltà.

Il programma “anti-ingerenze” di Facebook per le elezioni USA 2020

Facebook ha annunciato l’avvio di un programma per la difesa dei profili dei politici e dei partiti dagli hacker e da altre ingerenze, e dell’applicazione di altre misure col fine di difendere le elezioni presidenziali USA nel 2020.

“Dal 2016 – si legge sul sito del social network – abbiamo effettuato investimenti significativi per identificare meglio le nuove minacce, chiudere le vulnerabilità e ridurre la diffusione di disinformazione virale e account falsi”. E oggi sono partite “diverse nuove misure per aiutare a proteggere il processo democratico”. Tra queste ci sono iniziative per “combattere le interferenze straniere” e la “lotta contro comportamenti non autentici”, a partire da una “policy aggiornata per la protezione degli account dei candidati, dei funzionari eletti e dei loro team”. Previste anche “etichette più chiare per il controllo dei fatti”; “il divieto di annunci a pagamento che suggeriscono che il voto è inutile” o che consigliano alle persone di non votare. In programma anche “un investimento iniziale di 2 milioni di dollari per supportare progetti di alfabetizzazione mediatica”.

“Se rileveremo un attacco contro un account, saremo in grado di controllare e proteggere altri profili associati alla stessa organizzazione che sono registrati nel nostro programma “.

La società promette di incrementare i requisiti per gli account online, inclusa la divulgazione d’informazioni su chi o cosa c’è dietro un determinato account. Per gli account dell’organizzazione, se sono soddisfatte tutte le condizioni, verrà applicato il marchio “Proprietario della pagina verificato”.

Da dicembre verranno pubblicate etichette speciali sulle pagine dei media statali.

Lotta dura, a loro dire, contro la diffusione della “disinformazione”. Su Facebook e Instagram, i contenuti classificati come falsi o parzialmente falsi verranno contrassegnati in modo speciale. È stato dichiarato che tali contenuti non verranno bloccati, almeno per ora. L’autenticazione verrà effettuata da determinate “organizzazioni di terze parti e indipendenti che verificano i fatti”, senza però specificare che tipo di organizzazioni.

Cosa fanno gli altri attori web

Mozilla, creatore del browser web Firefox, lo scorso venerdì ha invitato Google e Facebook a fermare gli annunci politici di “microtargeting”.

“Il discorso politico è fondamentale per il discorso democratico, ma contro le reali circostanze della disinformazione organizzata e della disinformazione organica oggi, il microtargeting evita che le idee vengano dibattute apertamente e la finzione sfila come un fatto”, ha detto Ashley Boyd, vice presidente per la difesa di Mozilla, in una dichiarazione.

“Le piattaforme online possono fare un passo importante verso la repressione della manipolazione limitando gli annunci politici a una scala in cui facilitano un discorso pubblico”.

Google pare stia prendendo in considerazione modifiche alla sua politica pubblicitaria politica, secondo quanto riferito dal Wall Street Journal.

Twitter ha recentemente modificato la sua politica per vietare apertamente la pubblicità politica.

Authority ed Istituzioni al momento assenti o poco incisive.

Conclusioni

La democrazia è preziosa e vulnerabile. Non ammette improvvisazioni. Abbiamo già visto abbastanza esempi di quanto la manipolazione online possa presentare una minaccia per la società e costituisca altresì un sintomo dell’opacità e della mancanza di responsabilità dell’ecosistema digitale. La trasparenza è necessaria ma non sufficiente: la gestione dei contenuti può essere necessaria, ma non può essere consentita a pregiudizio dei diritti fondamentali.

La risposta al problema va cercata, in primis, nell’applicazione delle norme esistenti a cominciare da quelle in materia di protezione dei dati; ma dove le regole mancano è importante e urgente discuterne pubblicamente e concretamente. “Notizie false”, “mezze verità”, teorie della cospirazione e sedizione avvelenano in modo piuttosto inquietante l’opinione pubblica.

La libertà (di scegliere, dalla pressione, dalla manipolazione) e l’accessibilità alla conoscenza, sono alla base di ogni democrazia e non devono subire limitazioni. E’ un equilibrio delicato dove ogni scelta individuale influenza la società nel suo insieme e l’interesse comune è alla base della capacità di tutti di fare le proprie scelte in completa libertà e con completa conoscenza.

La domanda cruciale – chi è responsabile della protezione della democrazia dalle grandi e pericolose influenze della disinformazione e delle bugie? – attende tuttora una risposta. E mentre la disitermediazione regna sovrana ed indisturbata tra le piattaforme web consentendogli la non assunzione di responsabilità, queste sono comodamente arroccate in fortini tecnologici al momento inespugnabili che le hanno trasformate da partecipanti al mercato delle informazioni a mercato dell’informazione.

Sarebbe bello se la capacità di coltivare il pensiero critico ed indipendente arridesse alle generazioni future. Una democrazia ha bisogno di anticonformisti consapevoli e formati.

E sì, anche in Europa, non sarebbe male se portassimo a compimento il processo di revisione delle “regole” per renderle adeguate al contesto in atto. Con il parere 03/2018, l’EDPS e il compianto Giovanni Buttarelli, allora Garante europeo della protezione dei dati, ne hanno già ribadito l’importanza chiedendo maggiore collaborazione tra le autorità di protezione dei dati e altri organismi di regolamentazione, al fine di tutelare i diritti e gli interessi dei singoli nella società digitale.

L’Unione Europea nel dibattito pubblico in corso ha l’opportunità e il dovere di ribadire il suo ruolo di leader mondiale nella democrazia e nella libertà.

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