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Norme privacy e copyright sono già anacronistiche? Ecco perché

La tutela della privacy e delle opere intellettuali è sacrosanta, ma nell’epoca della condivisione a tutti i costi e dell’iper-esibizionismo, gli strumenti scelti dai legislatori sembrano anacronistici e rischiano di perdere di vista il nocciolo della questione, ossia le tutele reali e le protezioni sui dati

Pubblicato il 10 Dic 2018

Nanni Bassetti

Consulente informatico libero professionista - Digital Forensics Consultant

privacy e action

Nell’epoca dell’iper-esibizionismo, dei selfie e della condivisione di qualsiasi cosa a tutti i costi e non solo via web, per moltissimi utenti internet la privacy è solo un optional, ma non per tutti. E così, ecco comparire una serie di strumenti a difesa di questa sparuta minoranza di paladini della riservatezza dei dati: dai banner che mettono in guardia dai famigerati cookie di profilazione alle informative chilometriche del GDPR, fino ai vincoli della legge sul copyright. Tutte tutele sacrosante ma forse non adeguate ai tempi e che rischiano di escludere gli utenti europei da molti dei servizi più popolari del web e di essere soltanto un trampolino di lancio per nuove professioni.

La privacy sacrificata sull’altare della gratuità

Sono convinto di questo a ragion veduta: è vero che sono conosciuto per la digital forensics, CAINE ed altre amenità simili, ma prima di quello sono un internauta e prima ancora sono stato un utente Fidonet, insomma uno che sta sulle reti dalla fine degli anni ‘80, uno che ha interagito col mondo tramite un modem, che ha visto la nascita di Google, di YouTube, dei social networks, partendo dai forum, le e-mail gratuite, i blog, ecc..

In rete sono nati siti, blog, forum, video, personaggi, la rete ha dato la possibilità di abbattere le barriere geografiche e logistiche, rendendo famose persone che non avrebbero mai avuto la possibilità di farsi notare da nessuno, senza passare per i “soliti canali”, spesso inaccessibili, la rete ha espanso a livello mondiale quello che nei film conoscevamo come “il sogno americano”, ossia diventare qualcuno partendo da zero, ha dato la possibilità a tutti di esprimersi, di mostrare i lati creativi e comunicare con gli altri, amplificando le interazioni e gli scambi d’idee, che sono il motore del progresso.

Con l’avanzare degli anni, le persone hanno sacrificato la loro privacy per avere in cambio migliaia di servizi utili ed apprezzati, dei quali non farebbero più meno, come Google, Wikipedia, Maps, Whatsapp, Facebook, Twitter, Amazon, avere tutto il mondo sotto le dita, poter sapere in pochi secondi qualsiasi cosa, avere le news, i video, le chat, i navigatori satellitari, tutto gratis, tutto utilissimo, ma tutto gratis o meglio pagato con la profilazione, i dati personali, ma è stato un tacito accordo ben accettato da tutti o forse qualcuno pensava che tutto gli fosse dovuto gratuitamente e che tutti questi servizi fossero forniti da enti benefici?

La dignità umana e le regole: l’importanza del diritto alla protezione dei dati

L’epoca della condivisione a ogni costo

Siamo nel 2018, siamo nell’epoca del condividere qualsiasi cosa, dalla pizza che stiamo mangiando, agli stati d’animo, ai decessi di amici e parenti, alle cose belle e brutte, siamo nell’epoca del selfie ad ogni costo, del voler apparire, far sapere al mondo chi siamo e come siamo, senza nessuna costrizione.

Siamo nell’epoca degli adesivi da attaccare sul retro della propria automobile con su scritto i nomi dei membri della famiglia che viaggia sul quel mezzo, siamo diventati iper-esibizionisti, vogliamo che il mondo sappia di noi, vogliamo acquistare online, vogliamo che Google ci risolva tutti i problemi e ci fa piacere che ci consigli cosa acquistare o dove cliccare, a volte è un po’ invadente e noioso, ma alla fine qualche click utile ci fa comodo, ma d’altronde anche gli spot pubblicitari in TV hanno lo stesso effetto.

A chi importa della privacy?

In questo mondo iperconnesso e iper-esibizionista, improvvisamente qualcuno si lamenta dell’uso dei propri dati personali da parte dei grossi player della rete, qualcuno, chi mai sarà? Qualche frustrato, una minoranza estrema, perché non so voi, ma in tanti anni di navigazione nei mari digitali, non ho mai sentito queste lagnanze così pressanti, non ho mai sentito organizzare proteste contro l’abuso dei dati personali, non ho mai sentito di grandi gruppi di persone che volessero smettere di utilizzare “a scrocco”, i servizi che ci offrono questi “spioni” digitali, ma viceversa, provate a chiedere chi sarebbe disposto a mollare Instagram o Facebook o Google per tutelare i proprio dati personali?

Bene, questa minoranza attenta alla propria privacy deve essere tutelata a discapito di tutto quello che la rete rappresenta ed ha rappresentato, rendendo difficoltosa la vita digitale di tutti gli altri e poi tutelata con mezzi obsoleti ed inutili.

Il sito che visito adotta dei cookie di profilazione, grazie a questi saprà cosa mi piace del sito e tante altre cose, bene per tutelare la privacy qualche genio decide di obbligare i siti a far apparire dei noiosissimi banneroni con tante parole dentro ed un link che porta a delle noiosissime paginone piene di informazioni che nemmeno un rogito notarile, sicuramente non è un sistema di comunicazione valido e moderno, in un mondo che se scrivi un’e-mail di quattro righe, il lettore alla terza riga si è già distratto, in un mondo di click veloci, di fame di informazione, qual è il risultato? Non ho dati scientifici e statistici per poterlo dire, ma sono sicuro che a nessuno importi alcunché di tutte quelle tiritere, sono sicuro che se stai in ansia per leggere la recensione di un film, la ricetta di un piatto, il costo di volo e aereo per la tua vacanza, non ci perdi nemmeno un secondo su quel banner, lo fai sparire e pure imprecando che ti ha fatto perdere tempo ed infastidito lo chiudi.

Poi arriva il GDPR, il regolamento europeo sul trattamento dati personali, che dovrebbe ispirare tutti i grandi gestori di dati personali ed anche i piccoli alla sicurezza informatica, a sensibilizzare sul tema protezione dei dati, che è cosa buona e giusta, ma alla fine si trasforma in un incubo burocratico e tornano le informative chilometriche, citazioni di articoli, vincoli pazzeschi sul dover utilizzare solo gestori compliant e non più quelli che hai sempre usato, sanzioni enormi, senza nessuna distinzione tra il piccolo, piccolissimo ed il colosso alla Facebook, rendendo tutto difficile, domandandosi se anche un indirizzo IP è un dato personale e quindi anche al solo avvicinarsi ad un sito web si va in crisi perché registrerà (come è normale) quell’IP, costringendo pure il ferramenta del Texas ad adottare le regole e le mega-informative del GDPR.

La legge europea sul copyright

Infine, arriviamo all’articolo 13 della legge europea sul copyright, che impone pagamenti per ogni cosa sia protetta da copyright, anche solo una citazione, un’immagine, una parodia, una notizia del giornale ricondivisa, ossia il motore della rete stessa e che scarica la responsabilità del controllo sulla piattaforma e non sull’utente che ha caricato il materiale protetto.

Ora che un’opera intellettuale sia protetta da copyright è cosa buona e giusta anch’essa e lo è sempre stata, ma il meccanismo di protezione va studiato ed adeguato ai tempi ed ai mezzi, non è possibile pensare che un meme sia una violazione di copyright o che un ragazzo che vuol provare ad emergere nel mondo della musica, non potrà più strimpellare una cover nella sua cameretta e mostrare la sua virtù in un video su YouTube, se fosse stato così da sempre tanti personaggi, giovani, figli di nessuno, non sarebbero emersi e starebbero a far la fila per i concorsi alle Poste o come impiegato comunale.

Insomma tutte le piattaforme, da YouTube a Facebook, Instagram, Wikipedia, potrebbero essere costrette a chiudere per gli europei, perché sarebbe materialmente impossibile controllare se qualcuno carica contenuti protetti da copyright, gli europei non avrebbero più nulla.

Tutto questo armageddon burocratico e scollato dalla vita del navigatore medio della rete, poteva al limite confinarsi per i grandi player, i gestori su larga scala e non coinvolgere tutti indiscriminatamente, creando confusione e paura pure di avere una newsletter dove si avvisano i propri clienti che sta per esser sfornata la focaccia calda.

Burocrazia, legalese e nuove professioni

In conclusione, tutto è giusto: giusto tutelare la privacy, evitare gli abusi, giusto sensibilizzare sulla sicurezza informatica, ma il modo di imporlo puzza di vecchio, legato a troppa burocrazia e legalese, vanificando l’effetto comunicativo e rendendo farraginosi gli adeguamenti, magari perdendo di vista il nocciolo della questione, ossia le tutele reali e le protezioni sui dati.

Il problema è che per ogni incubo legislativo sulla rete, invece di insorgere indignati, molti prendono la palla al balzo e si creano nuove professioni.

Se passasse l’articolo 13 sul copyright, non mi stupirei della nascita della figura del “castigatore”, ossia uno che scorrazza per la rete in cerca di violazioni.

Internet è libertà, lo è sempre stata ed è stato quello il motore del suo successo, chi vuole imbrigliarla sta solo imponendo dall’alto qualcosa di anacronistico e magari appena ha finito di stilare l’ultima regolona pro-privacy, esce dal suo ufficio e attacca l’adesivo con su scritto “in questa macchina ci sono Mario, Laura ed il piccolo Andrea”.

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