Oggi si è chiarito un altro po’ il futuro possibile dei grandi servizi internet, in Europa, nel segno della privacy e di un nuovo modello di business.
Meta ha proposto all’Europa – come scrive il Wall Street Journal – un abbonamento per l’accesso a Facebook, Instagram, in alternativa al modello pubblicitario basato su dati personali. Un modo per venire incontro alle richieste privacy dell’Europa, basate su leggi che però valgono per tutte le aziende. Sembra insomma solo questione di (poco) tempo perché analoghe mosse vadano a sconvolgere molti servizi internet finora sovvenzionati solo da pubblicità.
A richiederlo non è solo la privacy ma anche la necessità, probabilmente, di differenziare i ricavi. A ben vedere, in Italia abbiamo già avuto un assaggio di tutto questo quando i giornali hanno cominciato a offrire l’alternativa con i cookie wall: o ti abboni o ci dai i tuoi dati. Un’alternativa che ha scandalizzato alcuni, ma in realtà legittima secondo molti esperti privacy.
“La possibilità di monetizzare i proprio dati personali è ormai chiara e affermata nelle nostre leggi, come nelle pratiche di business online. E’ specificata con chiarezza dal nuovo codice al consumo”, spiega Anna Cataleta, P4i.
L’abbonamento Meta
Secondo la proposta, gli utenti avrebbero la possibilità di continuare ad accedere a Instagram e Facebook gratuitamente, con pubblicità personalizzate, o di pagare per versioni dei servizi senza pubblicità. Il piano prevede un costo di circa 10 euro al mese per un account Facebook o Instagram su desktop, e circa 6 euro per ciascun account collegato aggiuntivo. Tuttavia, il prezzo salirebbe a circa 13 euro al mese su dispositivi mobili, tenendo conto delle commissioni applicate dagli store di app di Apple e Google.
Quest’opzione di abbonamento rappresenta un cambiamento radicale per l’azienda, visto che l’amministratore delegato di Meta, Mark Zuckerberg, ha sempre insistito sul fatto che i suoi servizi principali dovrebbero rimanere gratuiti e sostenuti dalla pubblicità
I tempi sembrano però maturi per questa svolta.
Questa mossa potrebbe essere il preludio di un cambiamento che influenzerà tutti i social network e, in generale, le imprese che hanno finora prosperato su internet grazie alla pubblicità personalizzata basata sui nostri dati personali.
Le normative privacy per la pubblicità “comportamentale”
Le ragioni più immediate dietro questo cambiamento risiedono nella necessità di Meta di adeguarsi alle normative europee che mirano a limitare la capacità delle aziende di fare pubblicità personalizzata utilizzando i nostri dati personali. Ecco perché è possibile prevedere che altre aziende tecnologiche seguiranno l’esempio di Meta nei mesi a venire, non appena l’UE sposterà il proprio focus su di loro.
La questione della privacy è stata innescata da un’interpretazione del GDPR. A gennaio il Garante irlandese ha sanzionato Meta per 380 milioni di euro. Secondo il regolatore, Meta avrebbe dovuto richiedere il consenso degli utenti per fare pubblicità personalizzata basata sulle loro attività.
Meta ha già comunicato l’intenzione di cambiare la base giuridica utilizzata per il trattamento di alcuni dati per la pubblicità comportamentale per gli utenti residenti nell’UE e in Svizzera, passando da “interesse legittimo” a “consenso”.
A luglio, inoltre, la Corte di giustizia europea ha deciso che l’azienda non è autorizzata a utilizzare i dati personali oltre ciò che è strettamente necessario per fornire i suoi prodotti principali e dovrebbe chiedere il consenso degli utenti per tutto il resto. Questa decisione è ancora più rigorosa di quella sulla pubblicità comportamentale. Nonostante il Garante della privacy irlandese non abbia ancora applicato queste decisioni, sembra che Meta sia ormai costretta a modificare il proprio modello di pubblicità e di business.
Non è ancora chiaro come Meta intenda conformarsi a questa nuova direzione europea. L’abbonamento è solo uno degli strumenti a disposizione; l’azienda deve anche preoccuparsi di chiedere il consenso a chi non accetta di pagare. Finora, Meta ha annunciato solo che passerà al consenso per “alcuni dati per la pubblicità comportamentale”. Strana formula, dato che il Gdpr si applica a qualsiasi tipo di dati personali per qualsiasi tipo di trattamento.
Non è chiaro nemmeno quali servizi siano ora impattati dai paletti sulla pubblicità comportamentale, posto che non si sa bene cosa si intenda per “comportamento”. La pubblicità Google basata su location ricade o no? E quella basata su storico delle ricerche? Sono prevedibili insomma scossoni anche per altri servizi internet.
Da agosto, inoltre, è entrato in vigore il regolamento europeo Digital Services Act, che proibisce la pubblicità personalizzata a minori e basata su dati sensibili come etnia, sessualità e orientamento politico. Meta, come gli altri social network, si sono già adeguati a questo. Sarà più complesso adeguarsi a un altro regolamento, il Digital Markets Act, che vieta alle grandi aziende tecnologiche di combinare dati personali provenienti da diverse aziende o servizi.
I motivi business
A spingere verso il cambiamento però, come detto, ci potrebbero essere anche motivi economici. Analoghi a quelli – più pressanti – dietro i cookie wall degli editori. Ossia il desiderio di aumentare i profitti e diversificare i ricavi, soprattutto alla luce della prospettiva di un rallentamento dell’economia mondiale che potrebbe influire sulla pubblicità. Del resto, Meta e X hanno già lanciato profili “premium” a pagamento. Netflix e Amazon Prime hanno di recente introdotto la pubblicità in un modello precedentemente basato solo su abbonamenti, per lo streaming.
Le formule ibride insomma sembrano il futuro del business online, per i servizi digitali consumer.
Teniamo conto che quei 13 euro potrebbero essere un guadagno sostanziale, dato che Meta ricava 6 dollari al mese da ogni utente nell’area europea, solo con la pubblicità, a quanto si legge nell’ultima trimestrale.
Non sappiamo quando e come il cambiamento avverrà. L’Europa potrebbe rifiutare la proposta di Meta, chiedere prezzi più bassi o persino la possibilità di rifiutare gratis la pubblicità. Ne potrebbero venire contenziosi lunghi, anche con altre big tech. L’attuazione del Digital Markets Act sarà, di per sé, complicata anche per il rischio contenzioso come avvisano numerosi esperti.
Se questo è il futuro dei servizi online – pagare con soldi o con i propri dati – , è lecito seguirlo con attenzione; con interesse, cautela ma non con eccessivo allarmismo. Abbiamo sempre pagato con i nostri dati per avere un servizio; adesso lo faremo in modo esplicito. Anche solo questa maggiore trasparenza è un passo avanti positivo, che può aumentare la consapevolezza privacy di tutti. E ricordiamo infine che “la monetizzazione dei dati, non è la monetizzazione del diritto; la legge non è violata”, spiega Cataleta.
Le big tech dovranno anzi d’ora in avanti muoversi in un recinto più preciso e più stringente, più tutelante nei confronti degli utenti.