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Pericoloso mettere sui social il Qr-Code del green pass, l’allarme del Garante Privacy

Cominciano a comparire sui social le immagini dei primi QR-code che chi lo ha ricevuto esibisce trionfalmente. Dal Garante privacy spiegano perché è una pessima idea. Ci esponiamo a gravi rischi e danneggiamo anche l’utilità generale del green pass

Pubblicato il 23 Giu 2021

Guido Scorza

Autorità Garante Privacy

revoca green pass

Con l’arrivo dei primi green pass nelle nostre mani cominciano a comparire sui social le immagini dei primi QR-code che chi lo ha ricevuto esibisce trionfalmente.
E’ una pessima idea.

Perché è pericoloso condividere sui social i qr-code dei green pass

Quel QR-code è una miniera di dati personali invisibili a occhio nudo ma leggibili da chiunque avesse voglia di farsi i fatti nostri.

Chi siamo, se e quando ci siamo vaccinati, quante dosi abbiamo fatto, il tipo di vaccino, se abbiamo avuto il Covid e quando, se abbiamo fatto un tampone, quando e il suo esito e tanto di più.

Green Pass: occhio perché quel QR-Code può dire molto di noi! | #COSEDAGARANTE

Green Pass: occhio perché quel QR-Code può dire molto di noi! | #COSEDAGARANTE

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Il QR-code in questione deve essere esclusivamente esibito alle forze dell’ordine e a chi è autorizzato dalla legge a chiedercelo per l’esercizio delle attività per le quali la legge ne prevede l’esibizione e deve essere letto esclusivamente attraverso l’apposita APP di Governo che garantisce che il verificatore veda solo se abbiamo o non abbiamo il green pass e non anche tutte le altre informazioni e, soprattutto, non conservi nulla.

Ogni uso diverso è pericoloso per sé e per gli altri.

  • Per sé perché si lascia in giro per il web una scia di propri dati personali per di più sanitari che chiunque potrebbe utilizzare per finalità malevole. Ad esempio per desumere che la persona ha patologie incompatibili con la vaccinazione o è contraria al vaccino; perché se è in età da vaccino e tutti si sono ormai vaccinati, se il green pass è associato a un tampone significa che quella persona non vuole o non può vaccinarsi. E di qui si può negare impieghi stagionali, tenere lontani da un certo luogo, insomma per varie forme di discriminazione. Quei dati inoltre possono servire per fare truffe mirate o per fare profilazione commerciale. Immaginiamo la possibilità che questi dati finiscano in un database venduto e vendibile.
  • Ma anche questa prassi potrebbe facilitare la circolazione di QR-Code falsi che frustrerebbero l’obiettivo circolazione sicura perseguito con i green pass.

In conclusione

Insomma, siamo tutti avvisati. Resistiamo alla tentazione. Esibire la soddisfazione di avere il greenpass è davvero una pessima idea. Se proprio non sappiamo farne a meno, limitiamoci a condividere con il mondo la notizia, senza l’immagine dell’agognato QR-Code.

Importante infine, per tutti, entrare in una dimensione culturale in cui i nostri dati personali, nelle più diverse forme in cui essi si possono presentare, quando sono su internet possono essere naturalmente soggetti all’eterogenesi dei fini che avevamo immaginato quando li abbiamo resi disponibili a terzi o al pubblico.

Teniamo sempre presente questo concetto quando navighiamo in queste acque, che, soprattutto dopo il covid, ormai avvolgono l’intero nostro mondo.

Green pass, ecco le questioni privacy ancora da chiarire

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