Siamo entrati da poche settimane nel 2022, e la direzione di viaggio è molto chiara: la privacy sarà all’apice dell’agenda europea, a livello comunitario e dei singoli paesi membri.
In questo quadro, risulta fondamentale comprendere il ruolo delle Big Tech: del perché dagli USA alla Cina passando per l’Europa, l’azione legislativa volta al contenimento del loro potere continua inesorabile e del perché in questo contesto è importante fare il punto sul legame tra privacy e competizione, per affermare che seppur sia vero che una sinergia tra le due è essenziale, la situazione attuale richiede un’affermazione chiara e intransigente sulla prima, incluso nelle sue accezioni più moderne.
Forse, anche, è arrivato il momento di definire la privacy come il filo conduttore tra tutte le iniziative del digitale, dalla competizione alla governance piuttosto che come una disciplina separata.
Piattaforme digitali e tutale della concorrenza, una sfida globale: i casi Amazon e Google
Il tema della privacy al centro dell’agenda
L’Autorità di protezione dei dati austriaca si è pronunciata sull’utilizzo di Google Analytics, affermando chiaramente quanto nel clima post-Schrems II, il sistema non possa essere utilizzato. Nel frattempo, anche l’Autorità dei Paesi Bassi ha espresso un’opinione simile. Lo European Data Protection Board ha pubblicato una ricerca (di esterni) che esamina la protezione degli individui nel contesto surveillance da parte delle agenzie governative in India, Cina e Russia. Schrems II rimarrà uno dei temi più discussi nei prossimi mesi, mentre si discute di Privacy Schield 2.0 e l’OECD prova ad affrontare una trattativa complessa sul trasferimento internazionale dei dati personali.
In aggiunta a tutto questo, l’Unione Europea ha in programma un vero e proprio tsunami regolamentare, che passa dal Digital Services Act e dal Digital Markets Act e dal tema della concorrenza, arrivando poi all’Artificial intelligence Act, che regolamenta l’intelligenza artificiale laddove sia considerata più rischiosa per i diritti fondamentali delle persone.
Questo tsunami legislativo e regolamentare è importante e risponde all’esigenza di limitare il potere delle Big Tech e ampliare la presenza europea nel settore delle nuove tecnologie e nell’economia dei dati.
Privacy e gestione dei dati: faro sulle Big Tech
In questo contesto, le Big Tech hanno ormai la capacità di categorizzare algoritmi che a loro volta si nutrono di insiemi di dati in grado di processare testi e discorsi, di rilevare e computare facce e oggetti di qualsiasi tipologia, e sempre di più di modellare predizioni commerciali e politiche.
La pervasività delle nuove tecnologie e il conseguente potere di chi le comanda è ormai oggetto di dibattito internazionale. Uno degli insegnamenti più ovvi della gestione della pandemia è stato l’accettare che i movimenti, lo stato di salute, e le preferenze del singolo individuo interagiscono e hanno un impatto sul suo rispettivo nucleo di influenza, e dunque della comunità di appartenenza. Tale livello di influenza e di centralizzazione di potere richiede dunque di guardare al ruolo della competizione sul mercato di queste aziende, creando un nesso tra privacy e competizione.
Per arrivare a questa conclusione l’analisi condotta dal professor Srivastava della Purdue University è importante. L’analisi eleva il dibattito sul ruolo dei Big Tech nella società alla dimensione accademica disciplinare di Relazioni Internazionali, provvedendo a dare una visione politica che riteniamo imprescindibile per argomentare il nesso tra potere, dati, e Big Tech.
In breve, la ricerca del professor Swari Srivastava analizza il fenomeno della algorithmic governance, questo si riferisce alla capacità delle nuove tecnologie di produrre un nuovo ordinamento sociale basato sulla prioritizzazione dell’output algoritmico sulla scala dei valori che definiscono e informano l’organizzazione e le relazioni sociali. In particolare, la ricerca si focalizza sulla vera e propria creazione di sistemi di conoscenza in grado di utilizzare profilatura automatizzata e predizioni per informare ed eseguire decisioni di qualsiasi natura.[1]
L’influenza globale degli algoritmi delle Big Tech
La pervasività di questi sistemi e le interazioni intra-sistemi permesse dalle Big Tech che detengono il controllo del panorama tecnologico che ad oggi la maggioranza dei consumatori utilizza e naviga, permette di raccogliere un numero di dati tale che va oltre ciò che l’utente acconsente a dare. Il monitoraggio di dati comportamentali e l’interpretazione di questi comportamenti dà la possibilità di renderci leggibili e quindi governabili da chi ritiene questi dati.
Si capisce quindi come gli algoritmi implementati da Google, Amazon, Facebook e Apple abbiano un’influenza globale.
Gli algoritmi di Google usano 3.5 miliardi di richieste di ricerca quotidiane per modellare la probabilità che un utente clicchi su un contenuto e poi rivendere questo tasso di probabilità a inserzionisti e advertiser.
In modo simile, Facebook genera più di 4 milioni di predizioni al secondo per circa 2.8 miliardi di utenti: ciò lo rende il social network più grande al mondo ma anche il più grande editore e ne ha poi comportato l’avanzamento sul mercato attraverso l’acquisizione di altri social media come Instagram e sistemi di messagistica WhatsApp – che portano Facebook (ora Meta) a costituire il 53% del social news pathways – quindi del percorso di informazione degli individui.
Amazon, con Amazon Web Services, è la più grande piattaforma cloud esistente e non copre solo le offerte di Amazon, incluso Prime, ma anche di altre aziende che noleggiano l’infrastruttura.[2]
Negli ultimi anni, quindi, la funzione decisionale degli algoritmi si è estesa enormemente al settore pubblico: allocazione di sussidi, lotta contro le frodi, concessione di crediti, sicurezza alle frontiere, mantenimento dell’ordine, prevenzione del terrorismo, accesso a servizi e prodotti, e nel settore della sicurezza nazionale e militare. Ed è anche in questo settore che le Big Tech sono molto presenti.
Ad esempio, tecnologie di Google assistono agli attacchi con i droni, oppure Facebook che è portavoce di campagne elettorali, o Amazon che aiuta le forze dell’ordine per il mantenimento della sicurezza, dando tecnologie quali il riconoscimento facciale ed altre.
Il capitalismo delle piattaforme
Non a caso si parla di capitalismo delle piattaforme. Il concetto si riferisce a una struttura virtuale in grado di operare sia come attore commerciale che come infrastruttura economica.
Contestualizzando questo fenomeno ai Big Tech, Nick Srnicek analizza come queste aziende riescano a trarre profitti non dal costo pagato direttamente dai consumatori, e infatti molte di queste piattaforme hanno accesso gratuito per gli utenti, ma bensì dal network di influenza che sono in grado di creare.
Prendiamo ad esempio il caso di Google: quando il suo motore di ricerca viene scelto come preferito dall’utente, è in grado di raccogliere più informazioni sull’utente. Queste vengono a loro volta vendute agli inserzionisti dando la garanzia che gli spazi pubblicitari siano targetizzati in base all’analisi dei dati raccolti. Dunque, Google migliora le sue quotazioni finanziarie e il proprio posizionamento di mercato, andando a solidificare il suo ruolo come infrastruttura. La consolidazione del ruolo dell’infrastruttura prende varie forme, da più utenti che scelgono la piattaforma, ad acquisizioni e fusioni di alto livello con altre aziende.[3]
Per queste motivazioni, parliamo di economia digitale come nuovo paradigma produttivo, supportato dal ruolo che i dati hanno nella scala dei valori della produttività per la quale il ciclo di vita dei prodotti assume una nuova forma: un processo in grado di generare dati per mezzo di dati e la rispettiva nascita di nuove attività fondamentali per questo sistema di produttività cioè la raccolta e il trattamento di dati all’interno del network.
Competitività privacy e protezione dei dati
La piattaforma virtuale assume dunque una posizione economica o monopolista o monopsonista, comportando un nuovo effetto sul mercato per la quale l’organizzazione effettiva di alcuni settori è forzata al cambiamento. Un cambiamento complesso per quelle aziende di stampo tradizionale che per sopravvivere all’interno dell’economia digitale si trovano o a cercare di entrare nello stesso modus operandi, spesso trovando scarsi punti di accesso o con tassi di competitività non raggiungibili, e dunque andando ad accelerare sempre di più il network di quelle già stabilite, confermando il loro ruolo nell’infrastruttura economica e quindi ampliando il loro potere commerciale.[4]
La disparità di accesso e presenza sul mercato è già apparente e riteniamo che questo fenomeno abbia conseguenze sia sulla competitività e l’organizzazione delle opportunità economiche ma anche sul ruolo dei dati, e dunque le sue implicazioni sulla privacy e sulla protezione dei dati.
Una nuova relazione tra Autorità competenti
In questo quadro, l’intersezionalità tra privacy e competizione è indubbia e una nuova relazione tra Autorità competenti potrà essere importante. Per esempio, è da notare come varie Autorità, nel Regno Unito l’Autorità per la Competizione e Mercati e in Italia l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, si siano già attivate con istruttorie e sanzioni a Google, Apple, e Facebook. In ugual modo, la panoramica normativa sta cambiando con importanti considerazioni e spunti di riflessione che avranno un impatto sulla distribuzione delle influenze e delle attività sulla piattaforma digitale, incluso la legge sui mercati digitali, la legge sui servizi digitali, e il Digital Governance Act. Proposte di legge che mirano a creare un meccanismo per tutelare le possibilità di entrata di nuovi attori digitali, gestire il potere e l’influenza dei Big Tech, e assicurarsi che il trattamento dei dati rimanga legittimo e appropriato ai fini della tutela e il rispetto del diritto fondamentale alla privacy.
Avendo affermato tutto ciò, e posto l’accento sulla necessità di una intersezionalità tra competizione e privacy, è altrettanto importante evitare di cadere nel tranello per cui nell’epoca del capitalismo delle piattaforme, la regolamentazione della competizione sia l’unico modo per garantire la privacy agli utenti. È un rischio vero, soprattutto nel quadro di una delegittimazione del terreno della privacy quando messa in contrapposizione con la sicurezza (da notare il caso Europol) o la salute pubblica (nota il caso track and trace). Si tratta, invece, di temi che dobbiamo considerare fortemente separati e, come tali, entrambi necessari da affrontare anche nella loro intersezione.
Conclusioni
La privacy è un diritto umano, la competizione un tema che ha a che fare con il comportamento dei mercati e la necessità che regole chiare possano garantire maggiore efficienza. Semmai, si tratta di valutare qualora la privacy oggi abbia una dimensione più collettiva che individuale, o qualora la privacy abbia sempre più a che fare con l’autonomia di scelta e agency nel contesto della governance algoritmica. O qualora ci sia merito nella decisione indiana di mettere insieme dati personali e non personali data l’impossibilità, spesso, di porre un confine serio tra i due.
Come privacy professionals, sono questioni che dobbiamo porci, e in fretta. Che sia proprio nella privacy come thread che si misuri la nostra capacità di creare un mondo digitale più equo e competitivo? Che sia nella privacy come thread unificatrice che dobbiamo ripensare un nuovo ruolo dello stato e del governo, invece che immaginare la decentralizzazione del Web come panacea? Una sfida non da poco, ma una sfida da affrontare ora.
- Srivastava, S. (2021). Algorithmic Governance and the International Politics of Big Tech. Perspectives on Politics, 1-12. doi:10.1017/S1537592721003145 ↑
- Srivastava, S. (2021). Algorithmic Governance and the International Politics of Big Tech. Perspectives on Politics, 1-12. doi:10.1017/S1537592721003145 ↑
- Srniceck Nick (2016). Platform Capitalism, Polity Press. ↑
- Srniceck Nick (2016). Platform Capitalism, Polity Press. ↑