NEWS E NORME

Privacy e giornalismo, così il Gdpr cambia il diritto di cronaca

Protezione dei dati personali e libertà di espressione: un equilibrio complesso che le nuove regole deontologiche bilanciano riconoscendo una serie di inediti diritti per la tutela delle informazioni. Ecco un’analisi del panorama per chi fa informazione

Pubblicato il 26 Giu 2019

Marina Rita Carbone

Consulente privacy

Newspapers on the computer keyboard close up

Il diritto di cronaca, e i suoi limiti, è al centro delle nuove “Regole deontologiche relative al trattamento di dati personali nell’esercizio dell’attività giornalista”.

Di seguito una breve disamina, senza pretesa di completezza, dei passaggi previsti dalla più recente giurisprudenza del Garante Privacy, fino ad arrivare al GDPR, che rafforza il diritto all’oblio e aggiornamento dei dati pubblicati.

Il ruolo del giornalista nell’era digitale

Nell’epoca della rincorsa alla notizia, della condivisione istantanea, della comunicazione, dei like e delle fake news, la figura professionale del giornalista riveste sempre maggiore importanza. Allo stesso è demandata, sulla base dei principi deontologici fondanti la professione e fatti nuovamente propri dal Garante nel documento “Regole deontologiche relative al trattamento di dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica” [doc. web. 9069653], la responsabilità di fornire al lettore una versione quanto più oggettiva e rispondente al vero di ciò che accade nel mondo, tramite l’utilizzo di fonti attendibili. È di particolare importanza, infatti, che il giornalista ponga attenzione al modo in cui racconta una notizia, evitando di ledere la dignità e la sfera privata delle persone coinvolte, nell’uso di tutti gli strumenti di comunicazione, compresi i social network (art. 2 c. 7 testo unico dei doveri del giornalista).

L’eterogeneità dei fatti di cronaca non consente di sottoporre la professione del giornalista a stringenti vincoli, motivo per cui tale professione è tuttora regolata da principi fondamentali e regole deontologiche, i quali hanno come scopo ultimo quello di guidare il giornalista nella valutazione della meritevolezza alla diffusione della notizia, oltre che da giurisprudenza formatasi di volta in volta sui singoli casi affrontati negli anni.

Appare opportuno, a chi scrive, evidenziare che i principi espressi all’interno delle citate Regole deontologiche e del Testo unico dei doveri del giornalista, nonché le disposizioni contenute nel Titolo XII, Parte II del Codice Privacy (artt. da 136 a 139), rubricato “Giornalismo, libertà di informazione e trattamento”, non si applicano esclusivamente a coloro che esercitano la professione di giornalista/pubblicista, ma anche a tutti coloro che pubblicano, regolarmente, articoli in rete (ad esempio, in un blog).

In tal senso, vedasi il Provvedimento del Garante Privacy n. 29 del 27.10.2016 (doc. web n. 4747581), nel quale si legittima l’attività del blogger che, al pari di un giornalista, “nel rispetto dei diritti, delle liberà fondamentali e della dignità delle persone alle quali si riferiscono i dati trattati”, oltre che dei principi deontologici della professione, pubblica e conserva dati personali nel proprio blog senza aver raccolto il consenso dell’interessato.

Diritto di cronaca come limite alla riservatezza

L’interesse all’informazione, esercitato tramite il diritto di cronaca, può comprimere la sfera privata del singolo solo quando la notizia sia veritiera, esposta in maniera formalmente corretta (c.d. continenza della notizia) e sussista un interesse pubblico alla conoscenza del fatto (c.d. pertinenza della notizia).

L’interesse pubblico alla notizia discende da fattori:

  • Oggettivi: tipologia di notizia, spesso legata ad indagini e/o processi in corso, ritenuti quali meritevoli di diffusione, gravità dei reati contestati;
  • Soggettivi: il ruolo ricoperto, l’esercizio di una carica pubblica, ecc.

Una volta valutato l’interesse pubblico, in ragione dei parametri di cui sopra, riscontrabili in particolar modo in casi relativi alla cronaca giudiziaria, occorre tener debito conto del principio di non colpevolezza e di essenzialità dell’informazione, il quale consente al giornalista, a seguito di una prima valutazione, di riportare o meno all’interno dell’articolo, i dati identificativi del soggetto coinvolto, sia per intero sia tramite l’utilizzo di iniziali, nomi di fantasia, o altro, o riferimenti a molteplici informazioni relative alla persona, quali: età, professione, luogo di lavoro, indirizzo dell’abitazione, ecc.

La diffusione di tali dati, come affermava il Garante già nel 2004, può essere ritenuta necessaria “quando la sua conoscenza da parte del pubblico trova giustificazione nell’originalità dei fatti narrati, nel modo in cui gli stessi si sono svolti e nella particolarità dei soggetti che in essi sono coinvolti, […] fatti salvi i divieti di diffusione ricavabili dalle suddette disposizioni e ferma restando la necessità che la notizia sia acquisita lecitamente, ad esempio da una parte che ha già legale conoscenza di un atto notificato” (Privacy e giornalismo. Alcuni chiarimenti in risposta a quesiti dell’Ordine dei giornalisti – 6 maggio 2004, doc. web. n. 1007634).

Ne è un esempio il Provvedimento del 12.10.02017 (doc. web. n. 7273804) nel quale si ritiene non eccedente il principio di essenzialità dell’informazione “la pubblicazione dei nomi di persone interessate da un procedimento penale in qualità di indagati, imputati o condannati” in quanto “inquadrata nell’ambito delle garanzie volte ad assicurare trasparenza e controllo da parte dei cittadini sull´attività di giustizia”, ed altresì consente il riferimento a patologie (nel caso di specie, ludopatia) dell’interessato qualora queste siano elemento integrante della vicenda, non descritte in modo analitico o lesive della sua dignità.

Tutela dei dati e pubblicazione di foto

La possibilità di identificare, tramite gli elementi contenuti nella notizia, i soggetti coinvolti nella vicenda, non può in alcun caso, tuttavia, ledere quelli che sono i principi fondamentali di questi ultimi, in special modo quando, a corredo e completamento dell’articolo di giornale, vi sia la pubblicazione di foto segnaletiche, tratte da documenti di riconoscimento, da album familiari, o scattate nelle aule giudiziarie, per le quali vige un regime leggermente differente, dato il maggior impatto e forza di diffusione della foto, come affermato da Corte di Cassazione (Sez. III Civ., 6 giugno 2014, n. 12834), la quale ─ con riferimento tanto alle foto segnaletiche che alle «semplici foto formato tessera degli arrestati» ─ ha affermato che «la pubblicazione su un quotidiano della foto di una persona in coincidenza cronologica con il suo arresto deve rispettare, ai fini della sua legittimità, non soltanto i limiti della essenzialità per illustrare il contenuto della notizia e del legittimo esercizio del diritto di cronaca … ma anche le particolari cautele imposte a tutela della dignità della persona ritratta dall’art. 8, primo comma, delle regole deontologiche, che costituisce fonte normativa integrativa; l’indagine sul rispetto dei suddetti limiti nella pubblicazione della foto va condotta con maggior rigore rispetto a quella relativa alla semplice pubblicazione della notizia, tenuto conto della particolare potenzialità lesiva della dignità della persona connessa alla enfatizzazione tipica dello strumento visivo, e della maggiore idoneità di esso ad una diffusione decontestualizzata e insuscettibile di controllo da parte della persona ritratta».

I requisiti dell’essenzialità dell’informazione e dell’interesse pubblico non si ritengono sussistenti ove si renda pubblica una condizione di disabilità di una persona. Tale principio è espresso dalla Suprema Corte nella sentenza n. 24986 del 25.11.2014, avente ad oggetto l’avvenuta pubblicazione di dati sensibili di un minore affetto da handicap, nella quale si afferma che, sebbene l’art. 137 del Codice Privacy consenta, in via di deroga, il trattamento dei dati personali “relativi  a circostanze o fatti resi noti direttamente dagli interessati o attraverso loro comportamenti in pubblico”, la condizione di handicap non è da considerarsi come tale. Pertanto, la pubblicazione di tale dato comporterà una violazione del diritto alla riservatezza dell’interessato.

Nell’effettuare tutte le predette valutazioni, il giornalista non dovrà, in linea di massima, previa opportuna consultazione con la vittima di un reato al fine di raccoglierne o meno il consenso, consentire l’identificazione della stessa, essendo altissimi i rischi di c.d. vittimizzazione secondaria, specialmente quando l’episodio di cui l’interessato è stato vittima: ha provocato conseguenze di carattere permanente sulla sua salute fisica e/o psicologica, possa esserci una ripetizione dello stesso reato nei suoi confronti, oppure vi sia la concreta possibilità che, anche a distanza di tempo, la vittima possa nuovamente essere oggetto di indesiderate attenzioni (vedasi Provvedimento del 03.05.2001 doc. web n. 40017 sul tema della cancellazione dei dati identificativi di una vittima di aggressione, importunata telefonicamente a seguito della pubblicazione della notizia).

Privacy e “spettacolarizzazione delle indagini”

Un recentissimo intervento del Garante sul tema ha evidenziato come la stampa tenda spesso a “spettacolarizzare le indagini”, riportando dettagli che eccedono i principi di essenzialità dell’informazione e violando le garanzie costituzionali delle vittime, dimenticando che “il diritto alla riservatezza debba essere ritenuto sempre primario rispetto al pur doveroso esercizio del diritto di informazione” (Garante Privacy, comunicazione del 16 aprile 2019).

In tal senso, vedasi anche il Provvedimento del 11.02.2010 (doc. web n. 1696239), nel quale il Garante ha imposto alle agenzie di stampa ed ai quotidiani coinvolti il divieto di pubblicare informazioni che potessero essere lesive della riservatezza e della dignità di una minore vittima di violenza sessuale in famiglia. Nel caso di specie, infatti, le testate avevano pubblicato i dati identificativi (nome, cognome, professione ed età) dei familiari e del vicino della vittima, tutti sospettati, rendendo immediatamente identificabile anche la stessa minore.

La pubblicazione di dati di minori, peraltro, è oggetto di specifiche disposizioni deontologiche (art. 7 regole deontologiche, rubricato “Tutela del minore”) che prevedono che il giornalista, “al fine di tutelarne la personalità, il giornalista non pubblica i nomi dei minori coinvolti in fatti di cronaca, né fornisce particolari in grado di condurre alla loro identificazione”. “La tutela della personalità del minore”, continua la norma”, “si estende, tenuto conto della qualità della notizia e delle sue componenti, ai fatti che non siano specificamente reati. Il diritto del minore alla riservatezza deve essere sempre considerato come primario rispetto al diritto di critica e di cronaca; qualora, tuttavia, per motivi di rilevante interesse pubblico e fermo restando i limiti di legge, il giornalista decida di diffondere notizie o immagini riguardanti minori, dovrà farsi carico della responsabilità di valutare se la pubblicazione sia davvero nell´interesse oggettivo del minore, secondo i principi e i limiti stabiliti dalla “Carta di Treviso””.

E’ opportuno evidenziare come la citata Carta di Treviso imponga l’anonimato del minore coinvolto in fatti di cronaca, anche non aventi rilevanza penale, ove siano potenzialmente lesivi della sua personalità, come autore, vittima o testimone. Tale anonimato deve essere effettivo, cioè impedire del tutto l’identificazione del minore (tramite, ad esempio, i nomi dei genitori, l’indirizzo ove risiede, i luoghi che frequenta), anche ove si discuta di casi di pedofilia, abusi, affidamento, adozione, separazione. Indicazioni sul punto sono contenute nel Provvedimento del Garante Privacy “Informazioni idonee a identificare minori” del 19 settembre 2007 (doc. web. n. 1445858) e nel Provvedimento n. 176 del 21.04.2016 (doc. web. n. 5029484), nei quali si ribadisce espressamente la prevalenza del diritto alla riservatezza del minore sul diritto di cronaca.

A nulla rileva, neppure, il consenso dei genitori alla diffusione dei dati del minore, ove ciò comporti una lesione della sua dignità o provochi nello stesso un turbamento psico-fisico.

La linea di confine, dunque, tra ciò che può essere considerato quale “essenziale e di pubblico interesse” e ciò che invece risulta “superfluo” è molto labile, spesso a discapito di soggetti deboli quali minori, vittime di reati, o soggetti affetti da gravi patologie, troppo spesso in rete senza che alcuna valutazione preliminare sia compiuta sul contenuto della notizia. Vedasi da ultimo il Provvedimento del 26.03.2019 (doc. web n. 9114440), ove il Garante Privacy, a seguito della pubblicazione senza alcuna misura preventiva di oscuramento o censura del volto, su numerose testate online e social di un video nel quale un uomo, in evidente stato di alterazione psico-fisica, aveva reazioni autolesioniste all’interno dei locali di un commissariato di polizia, riscontra la violazione dei principi cardine di essenzialità, interesse pubblico, fini di giustizia e polizia, ed altresì l’avvenuta mancanza di rispetto della dignità e del decoro personale dell’interessato.

I nuovi diritti per l’interessato introdotti dal Gdpr 

L’interessato ha il diritto, a seguito anche dell’entrata in vigore del Regolamento Europeo sulla protezione dei dati personali (Reg. UE 679/2016) e delle conseguenti modifiche apportate al D.Lgs 196/03 dal D.Lgs. 101/18, di opporsi al trattamento, di chiedere la rettifica di errori o inesattezze che lo riguardano, ed inoltre di richiedere:

  • Il diritto all’oblio/cancellazione: tale diritto consente all’interessato di ottenere la cancellazione dei propri dati anche dagli archivi storici e dalle pagine web. Il suo esercizio è consentito quando la notizia viola i principi enunciati nei paragrafi precedenti, o nel caso in cui sia trascorso un adeguato lasso di tempo dall’avvenimento, tale da far venir meno l’interesso pubblico sotteso alla pubblicazione della stessa. Qualora non sia possibile procedere alla cancellazione dei dati, l’interessato può ottenere che l’accesso alla notizia che lo riguarda sia limitato, ad esempio attraverso la deindicizzazione, tecnica attraverso la quale la pagina web contenente la notizia è rimossa dai risultati dei motori di ricerca, pur permanendo all’interno del sito che la ospita;
  • La deindicizzazione è stata ritenuta un efficace metodo di attuazione del diritto all’oblio anche dalla recentissima sentenza della Cassazione n. 7559 del 27.03.2020, nella quale si afferma che, ove persista l’interesse pubblico alla fruibilità della notizia, “è lecita la permanenza di un articolo di stampa nell’archivio informatico di un quotidiano, relativo a fatti risalenti nel tempo oggetto di cronaca giudiziaria, che abbiano ancora un interesse pubblico di tipo storico o socio-economico, purché l’articolo sia deindicizzato dai siti generalisti e reperibile solo attraverso l’archivio storico del quotidiano, in tal modo contemperandosi in modo bilanciato il diritto ex art. 21 Cost. della collettività ad essere informata e a conservare memoria del fatto storico, con quello del titolare dei dati personali archiviati a non subire una indebita compressione della propria immagine sociale”;
  • Il diritto all’aggiornamento dei dati che lo riguardano, in special modo quando, a seguito della conclusione di un processo o della conclusione delle indagini preliminari l’imputato/indagato è assolto dalle accuse a suo carico, consentendo allo stesso di “ripulire” il proprio nome dalla spiacevole associazione ad eventi di cronaca giudiziaria.

Gdpr e giornalismo: ricorso al Garante e risarcimento danni

Qualora l’interessato, nel termine di 30 giorni dall’istanza, dovesse ricevere un riscontro negativo o nessun riscontro, lo stesso può:

  • Ricorrere al Garante Privacy al fine di far accertare l’illiceità del trattamento ed ottenere la cancellazione e/o la limitazione e/o la rettifica dei propri dati;
  • Chiedere il risarcimento dei danni causati derivanti dall’illecito trattamento e dalla diffusione della notizia ex art. 2043 (ad es: il danno della propria reputazione). In base all’art. 11 della l. 47/1948 saranno responsabili, in solido con l’autore dell’articolo, anche l’editore ed il proprietario della pubblicazione;
  • Procedere tramite querela per reati quali la diffamazione di cui all’art. 595 c.p.p., nella forma aggravata di cui al c. 4 (diffamazione a mezzo stampa), della quale risponderanno, ex art. 596 bis c.p.p., anche il direttore, il vicedirettore, l’editore e lo stampatore, in quanto si inquadra, in capo ai summenzionati soggetti, una culpa in vigilando.

Diritto all’oblio vs diritto di cronaca: quali norme per un equilibrio difficile

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