Il diritto e la conseguente tutela dell’immagine abbraccia numerosi beni giuridici che si articolano dall’immagine intesa come “ritratto” della persona, nel senso del volto o altri elementi corporei che la rendano identificabile, sino alla reputazione. In particolare, per diritto all’immagine si intende il diritto della persona fisica affinché la propria immagine non venga divulgata, riprodotta, esposta o comunque pubblicata, senza il proprio consenso. Un ambito di interesse anche per il mondo imprenditoriale, per gli eventuali problemi che questo tema può comportare.
Social network e immagine personale
Il tema ha senz’altro grande impatto oggigiorno, soprattutto riguardo ai social network presso i quali assistiamo ad un continuo ed indiscriminato riversamento di immagini di persone. Si pensi alle numerose occasioni nelle quali vengono pubblicati sul web contenuti ritraenti terzi, dall’atleta fotografato nel corso di un evento sportivo, al nipote “catturato” in uno scatto nell’ambito di un pranzo tra parenti: in alcuni tra questi contesti sussistono “occasioni” concrete di potenziale lesione del diritto all’immagine.
D’altro canto, la semplicità di uso e accesso a tali canali e il rilevante impatto in termini di visibilità e diffusione che gli stessi conferiscono al contenuto “immagine” tendono a menomarne il valore: in questo modo, l’immagine viene dunque percepita, nel pensare comune, quale un mero dato personale innocuo, privo di prerogative in termini di offensività e lesione dei diritti. Nulla di più sbagliato.
Tutela dell’immagine, cosa dice la normativa
Invero, il diritto all’immagine è fortemente tutelato nel nostro ordinamento al punto da ritenersi riconducibile all’alveo dei diritti inviolabili dell’uomo, citati e garantiti dall’art. 2 della Costituzione. Tale conclusione pare, senz’altro, condivisibile, risultando l’immagine la forma più concreta della proiezione esterna della personalità.
Sul piano della Legge, all’art. 10 del codice civile dispone quanto segue : “Qualora l’immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l’esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti, l’autorità giudiziaria, su richiesta dell’interessato, può disporre che cessi l’abuso, salvo il risarcimento dei danni”. La disposizione esprime un primo importante principio: la pubblicazione dell’immagine è di per sé lesiva a prescindere dal fatto che ciò implichi o meno un pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona; in questi ultimi casi vi sarà, al limite, un aggravamento della posizione sotto il profilo risarcitorio.
Il principio è ribadito dalla legge sul diritto d’autore (Legge n. 633 del 22 aprile 1941), in particolare, dall’art. 96: “Il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa, salve le disposizioni dell’articolo seguente. Dopo la morte della persona ritrattata si applicano le disposizioni del 2, 3 e 4 comma dell’art. 93.”. La norma, nel citare espressamente il termine “ritratto”, introduce il tema delle deroghe al divieto generale, già contemplato dal dettato dell’art. 10 del codice civile.
Consenso e deroghe
La prima deroga al principio, va da sé, è costituita dal consenso dell’avente diritto, circostanza che conclama la natura di diritto disponibile e dunque commerciabile del diritto all’immagine. L’art. 97 enuncia, in seguito, gli altri casi di deroga al divieto: “Non occorre il consenso della persona ritrattata quando la riproduzione dell’immagine è giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o colturali, o quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico. Il ritratto non può tuttavia essere esposto o messo in commercio, quando l’esposizione o messa in commercio rechi pregiudizio all’onore, alla reputazione od anche al decoro della persona ritrattata.”
In estrema e generale sintesi, è dunque possibile pubblicare l’immagine di un terzo, senza il preventivo assenso, ogni qual volta sussistano finalità ovvero interessi di carattere pubblico o collettivo.
Cronaca e tutela dell’immagine
Il tema della pubblicazione dell’immagine della persona è di particolare interesse ed attualità nel raffronto con altri diritti contrapposti quali, ad esempio, il diritto di cronaca e di informazione che affonda le proprie radici nel più ampio diritto a manifestare liberamente il proprio pensiero, riconosciuto all’art. 21 della Costituzione. La materia, di amplissima portata, meriterebbe una trattazione a parte; senza, pertanto, entrare nel dettaglio, basti in questa sede affermare che la pubblicazione è legittima allorché l’immagine condivisa – si badi, non solo il fatto di cronaca ad essa collegato – risponda, in effetti, ad esigenze di interesse pubblico. Per intenderci, un grave incidente stradale è senz’altro un fatto rilevante sotto il profilo della cronaca ma, allo stesso tempo, non sussiste alcun interesse affinché compaia la fotografia della vittima o del testimone che ha assistito al fatto.
Sfruttamento commerciale dell’immagine
Tra i profili di maggiore rilievo vi è il tema dello sfruttamento commerciale dell’immagine. Oggigiorno, la pratica promozionale va ben oltre le classiche e arcinote tipologie pubblicitarie, posto che lo sviluppo dei servizi web ha condotto ad una serie di nuove casistiche un tempo difficilmente immaginabili.
Nel recente passato, ad esempio, è stato promosso innanzi ad una corte del nord Italia un giudizio nel quale una ragazza ha richiesto il risarcimento del danno in seguito alla pubblicazione su diversi siti internet di alcune fotografie che la ritraevano, tratte dal proprio profilo Facebook. Uno tra questi casi contestati riguardava un’inserzione pubblicata su un portale di annunci ad opera di una privata che intendeva promuovere i propri servizi, svolti a livello amatoriale. Anche in questo caso, al di là della natura del mezzo di divulgazione e del carattere non professionale dell’attività promossa, si è ravvisato un caso di sfruttamento dell’immagine per fini commerciali. Il fatto che l’immagine abbia avuto una diffusione ed una visibilità limitata, magari circoscritta ad un limitato ambito territoriale, è privo di rilevanza: la violazione del consenso comporta, infatti, una lesione di per sé risarcibile.
Allo stesso modo, l’influencer, a prescindere dal grado di notorietà, deve adottare cautele nella pubblicazione di immagini ritraenti terzi, anche nel caso in cui il contenuto condiviso non sia collegato ad alcuna finalità promozionale di marchi terzi. Ad avviso dello scrivente, la figura in esame ha, a prescindere, una vocazione commerciale, se non altro rivolta all’autopromozione nell’ottica di aumentare la visibilità e le future collaborazioni commerciali in proprio.
Tema cruciale per quanto concerne lo sfruttamento commerciale dell’immagine riguarda la notorietà del soggetto ritratto. Al riguardo, neppure la fama costituisce una deroga al principio generale del consenso; anzi, la notorietà del soggetto ritratto accresce il valore della pubblicazione ed incide, per effetto di ciò, sotto il profilo risarcitorio determinando una maggiore quantificazione del danno. Tra l’altro, la prerogativa del consenso non viene meno neppure per il caso di morte, ipotesi nella quale i corrispettivi da sfruttamento andranno corrisposti agli eredi i quali saranno, allo stesso tempo, titolari di eventuali azioni risarcitorie. Ancora, massima cautela per quanto concerne lo sfruttamento commerciale di immagini riguardanti minori, ipotesi nella quale è necessario il consenso di entrambe i genitori esercenti la responsabilità genitoriale e la forma scritta.
La quantificazione del danno
Posta dunque la risarcibilità del danno è il caso di approfondire il tema della quantificazione. Al di là dei numerosi profili relativi al danno non patrimoniale risarcibile ex art. 2059 del codice civile, è di rilievo in tema di sfruttamento commerciale il criterio del prezzo consenso. Sulla base di tale metodologia, il danno andrà quantificato in misura pari al corrispettivo che il soggetto interessato avrebbe ottenuto prestando, a seguito di regolare trattativa, il proprio consenso a titolo oneroso alla pubblicazione.
Resta sempre possibile, sia in caso di danno patrimoniale sia di danno non patrimoniale, la possibilità di una quantificazione forfetaria in via equitativa, in applicazione al principio di cui all’art. 1226 cc.
GDPR e tutela dell’immagine
Infine, in tema di sfruttamento commerciale dell’immagine, e non solo, intervengono le protezioni previste dalla disciplina sul trattamento dei dati personali (D. Lgs 196 del 2003 – Codice Privacy – e Reg. UE 679 del 2016 – GDPR -). Al riguardo, a parte il generale diritto alla riservatezza rinvenibile presso molteplici fonti normative, persino di rango costituzionale, le normative in oggetto introducono una serie di obblighi in capo alla società che intende sfruttare l’immagine nel suo specifico ruolo di titolare del trattamento. D’altro canto, il ritratto della persona è un dato personale al quale le normative Privacy risultano senz’altro applicabili.
Con particolare riferimento all’ambito commerciale è dunque sempre operante il principio dell’informativa attraverso il quale è obbligatorio informare estesamente l’interessato in ordine alle finalità, alle modalità di trattamento e agli altri requisiti illustrativi previsti dall’art. 13 del GDPR. L’immagine utilizzata per finalità commerciale non viene considerata dato biometrico in senso stretto, ipotesi che ricorre allorché il trattamento del dato si esplichi attraverso dispositivi tecnici con il fine di identificare o schedare una persona. Da ciò si potrebbe desumere il carattere facoltativo rispetto alla prestazione del consenso con modalità cosiddette “rafforzate”, vale a dire rigorosamente in forma scritta, separata e specifica. In ogni caso, la pratica del consenso rafforzato può ritenersi una misura di prudenza condivisibile e sempre consigliabile.
L’informativa, così come il consenso al trattamento dei dati personali non vanno, infine, confusi con la liberatoria, documento scritto, di natura contrattuale, che riguarda il profilo civilistico relativo all’assenso alla pubblicazione dell’immagine.