E’ importante conoscere gli strumenti che ci permettono di fare un check-up della nostra identità digitale, a difesa della privacy.
Certo, sappiamo che usare la testa è il modo migliore per difendere la nostra identità online e la nostra privacy. Sembra scontato a dirsi, ma per non incorrere in sgradite sorprese basterebbe una precauzione abbastanza semplice: non postare mai, non scambiarsi mai neppure via chat WhatsApp, alcun contenuto – testi, foto, video – che non vuoi un domani si voglia ritrovare pubblico.
Non tutti, però, hanno cognizione delle attenzioni necessarie per non trasformare la propria vita, online offline, in merce di scambio probabilmente perché, specie in Italia, non si è mai parlato con la dovuta attenzione di educazione civica digitale e privacy. Non si sono mai trattati i due argomenti alla luce della loro profonda connessione, della loro appartenenza a una stessa struttura portante. Ecco perché gli strumenti che andiamo a consigliare ora sono utili a molti.
Il nostro livello di esposizione al rischio
La rete pullula di tool, spesso presentati con squillo di trombe e tono roboante come gli «strumenti definitivi per»: rivelandosi poi, al contrario, sempre identici a se stessi e non particolarmente utili. Come accade, ahimè, specie per gli articoli in lingua italiana: spesso copie automatiche di vecchie pubblicazioni anglosassoni, passate e non più valide.
Vale la pena allora rispolverare l’argomento, concentrandoci anzitutto sull’aspetto più sconvolgente: come cioè social e siti ti dicano sempre già tutto in pagine regolarmente pubblicate (nascoste) al loro interno. Sei tu però che non lo vedi: peggio, neppure lo cerchi. «Una perdita di tempo», diciamo, «tanto poi fanno quello che vogliono». Sì, in parte. In larga misura, però, possiamo e dobbiamo mettere paletti per arginare il fenomeno. Solo imparando dai piccoli errori di ogni giorno, grazie a strumenti davvero affidabili, tratti dalle fonti originarie e focalizzate sulla materia, recupereremo un digitale realmente utile e proficuo: che non ci usi ma che siamo noi a usare al meglio, per raggiungere il successo, i nostri obiettivi, nel lavoro e nella vita.
I dieci tool migliori per il check-up della nostra identità digitale
Ecco allora i dieci tool migliori, di massima efficacia e produttività, per il check-up della nostra identità digitale.
IntelTecqniques
Non uno strumento ma, verrebbe da dire, un’enciclopedia universale di risorse, una «cattedrale del sapere», non cristallizzato però, ma volto ad acquisire ogni tecnica per scoprire ciò che il mondo sa di te (e viceversa, volendo, per sapere tu tutto del mondo). Basta aprire IntelTecqniques e si squaderna un universo di campi di ricerca, con un’innumerevole possibilità di mezzi di verifica in ognuno: da Facebook a Google, passando per LinkedIn, Twitter, forum, e ancora motori di ricerca alternativi, Internet, foto, video, documenti, mappe, e-mail, numeri di telefono, indirizzi IP e perfino fisici.
Un esempio? Clicca sulla prima voce, Inteltechniques Custom Search Tools. Qui la «repository» fondamentale con «centinaia di utilities per la ricerca online». Per avviarle, però, occorre il cosiddetto User Number, legato a ogni utente nelle diverse piattaforme. Come recuperarlo? Per Facebook, ad esempio, su siti come Find My Bid o Find Facebook Id. Basterà inserire la URL del profilo personale Facebook di interesse, tornare su IntelTecqniques, inserirlo nella voce desiderata o direttamente nella prima casella, così da riempirle tutte, e potrai sapere tutto su ciò che Facebook sa di te e rivela al mondo, anche se tu non lo sai, pensando che un profilo «privato» e impostazioni della privacy (apparentemente) ristrette possano realmente difenderti da pubblicità indesiderata e malintenzionati. Si va dai luoghi che hai visitato alle foto in cui sei taggato, passando per i dettagli delle tue amicizie, cosa facevi in un certo giorno, dove e con chi, che rapporto c’è con la persona X o con X e anche Y: ogni atto compiuto online e offline da solo o con altri. Per la gioia di tua moglie, se le hai nascosto qualcosa o, peggio, di spioni e malintenzionati.
Facebook Graph Search Generator
Presentato come un «potente motore di ricerca che consente a tutti di giocare con i big data di Facebook», è abbastanza simile a IntelTecqniques, ma focalizzato sul social di Zuckerberg. Innumerevoli gli strumenti di ricerca e verifica di Facebook Graph Search Generator, per scoprire quel che non sai che gli altri possono scoprire di te su cosa facevi una certa sera, dove e con chi, in quali parti del mondo sei stato, le tue preferenze, i messaggi inviati e a chi. Basta inserire l’URL del profilo, username e il gioco è fatto.
Sqoop
Piattaforma nata per giornalisti che vogliano divenire «investigatori» e non semplici redattori da scrivania, Sqoop è, per certi versi, ancor più «pericoloso»: si concentra, infatti, su te e il tuo lavoro, la tua azienda, facendoti accedere a tutte le ricorrenze delle voci d’interesse in record del tribunale, documenti aziendali e altri materiali di importanza internazionale. Tutte informazioni, anche qui, che ritieni magari private e che invece possono essere trovate in un clic.
Stalkscan
Da citare doverosamente per cronaca, è molto simile agli altri, benché forse più semplice, chiaro e immediato. Anche qui, basta su Stalkscan inserire l’URL del proprio profilo o comunque di quello d’interesse per scoprire in un clic tutto ciò che è pubblico, anche se le impostazioni del tuo account sono in teoria super private. Immagini, video, messaggi, eventi cui sei stato e cui parteciperai, e ancora tag, relazioni, viaggi, spostamenti, e soprattutto preferenze: aziende, partiti, religione, sesso.
Picturemate
Nato forse più per spiare gli altri che se stessi, Picturemate è però essenziale per poter fare le stesse verifiche su di sé. Il tool consente, infatti, di vedere le foto davvero private di Facebook di ciascuno, anche qualora non siate «amici». Così potrai visualizzare le foto che, magari a tua insaputa, girano di te sul web e magari prendere le dovute precauzioni.
DownAlbum
Analogo a Picturemate il funzionamento di un’altra estensione del browser, DownAlbum: stesso procedimento, con in più la possibilità di fare download del proprio profilo Instagram, Pinterest, Twitter, Ask.fm e Weibo.
ProPublica – Breaking The Black Box
Estensione per Chrome nata entro il più ampio progetto della nota testata no-profit ProPublica, per ridare agli utenti il controllo dei propri dati «rompendo la scatola nera», il tool ProPublica – Breaking The Black Box consente di sapere in un attimo ciò che Facebook pensa che ti piaccia: in altre parole, le tue preferenze commerciali, religiose, sessuali. «Questa è la stessa informazione che Facebook offre agli utenti – sepolta nel profondo del suo sito (in una sezione delle sue impostazioni chiamate Preferenze annunci)», scrivono, ricordando anche l’urgenza di certe verifiche: «Facebook acquista dati anche sui mutui dei propri utenti, sulla proprietà delle auto e sulle abitudini di acquisto da alcuni dei più grandi broker di dati commerciali». Il tutto per «offrire agli addetti al marketing la possibilità di indirizzare gli annunci a gruppi di persone sempre più specifici».
Strumenti nativi di Facebook
Una delle parti più interessanti su cui eseguire studi e approfondimenti. Da qui emerge, infatti, come tutto sia scritto nei due giganti della rete: quanto cioè sarebbe facile, se solo ci pensassi, controllare in un istante le informazioni personali condivise, anche «a tua insaputa», ed eventualmente rimuoverle, rendendole davvero private e proteggendo i tuoi dati. Noi però, anche inconsapevolmente, non ce ne curiamo. Non pensiamo, ad esempio, che Facebook anzitutto conserva ogni messaggio, file, foto o video che hai inviato o postato, tutti i contatti telefonici ed e-mail. Per verificarlo basta cliccare qui, dove si può fare il download del proprio profilo e toccare con mano la quantità sterminata di dati registrati e conservati dal social. Facebook memorizza anche ciò che pensa ti piaccia, quello di cui tu e i tuoi amici parlate, tutte le applicazioni collegate al tuo account, quando e per cosa le usi, il tuo calendario, la cronologia delle chiamate, i messaggi che invii e ricevi, i file che scarichi, i giochi, le foto e i video, la musica, la cronologia delle ricerche e di navigazione, le stazioni radio che ascolti: e lo fa registrando anche da dove si è effettuato l’accesso, a che ora e da quale dispositivo.
Puoi anche partire da qui per analizzare le tue impostazioni generali e gestirle, così da non essere più alla mercé di aziende, pubblicità ed enti di varia natura che ti conoscono meglio di te.
La cosa però più sconvolgente? Il tracking non solo online, ma anche offline: Facebook che, insomma, ti spia anche dal panettiere. Sconcertante due volte: per il fatto in sé e perché, ancora una volta, il social comunque lo dichiara, in un’apposita pagina accessibile a tutti, dove però il 99% di noi non sarà mai capitato né tantomeno l’avrà cercata per diagnosi, cure e opportune limitazioni. «Un rivenditore di auto potrebbe voler personalizzare un’offerta per gli interessati a una nuova vettura o inviare sconti per il servizio ai già clienti», si scrive. «Per fare ciò, il rivenditore lavora con società di terze parti, così da identificare il proprio target e raggiungerlo con l’offerta giusta. Il partner fornisce a Facebook informazioni che ci aiutano a connettere tali clienti con le offerte». Segue un elenco impressionante di aziende nel mondo, i cui rivenditori adottano questa prassi. Potrei anche, insomma, non avere un profilo Facebook: basta WhatsApp e il social arriverà a sapere quel che compro, dal vestito alla moda alla spesa al supermercato. Un’onda cui è difficile sottrarsi, data la quantità di brand: tracciare però almeno dei confini, prendendo consapevolezza dello stato attuale e usando in modo responsabile il social, è non solo utile, ma indispensabile.
Strumenti nativi di Google
Tutto ciò che Facebook sa di te, al punto da conoscerti meglio di te, appare gigantesco dopo simili verifiche: quasi si sgonfia, però, al confronto della bulimia con cui Google si è «mangiato» i nostri dati dall’apertura – chissà quanti anni fa ormai – del primo account di posta elettronica. Per controllarlo, al di là di banche dati come IntelTecqniques di cui già si è detto, e che velocizzano il lavoro di ricerca e verifica, non servono nemmeno particolari tool. Tutto sta già dentro Big G. Allucinante quando si scopre: anche in questo caso, sarebbe bastato conoscerlo meglio, verificare con più attenzione semplicemente le impostazioni, per risolvere da subito il problema. Siamo però in fase di diagnosi, come detto all’inizio. Vediamo allora i principali link per fotografare il nostro status quo e intervenire in difesa della nostra privacy.
Il primo? Questo: la sezione My Activity. Qui ci sono tutti i tuoi dati personali, tutto ciò che hai cercato e cancellato: una cassaforte di cui Google e chissà quanti altri hanno le chiavi ben più di te. La cronologia delle ricerche è memorizzata su tutti i tuoi device: dunque, se anche si elimina su un dispositivo, potrebbe comunque restare salvata su un altro collegato.
Aziende e advertising? Tu per Google sei un vero profilo pubblicitario. Guarda qui. Tutto si basa sulle tue informazioni: la tua posizione, sesso, età, hobby, carriera, interessi, stato della relazione, persino il peso possibile. E reddito.
Viaggi e spostamenti? Tutto registrato e accessibile da qui: puoi vedere dove sei stato dal primo giorno, ora compresa. Anche se vado dal fruttivendolo davanti casa (registrata magari anch’essa e con indirizzo visibile a chiunque).
Applicazioni? Tutte conservate qui. Google sa quanto spesso le usi, dove e con chi, a che ora vai a dormire, con chi chatti su Facebook. Lo stesso vale per la cronologia di YouTube, qui: grazie ai video guardati, non è difficile per l’azienda capire le tue posizioni politiche, religiose, se ti senti depresso o magari con tendenze suicide, se diventerai presto genitore e così via.
Il link migliore da consigliare, però, è quello più semplice, che comprende tutto: il download dei propri dati. Basta cliccare qui per richiederlo. Tanto è grande che Google ti avvisa: «Può servire molto tempo, anche ore o giorni, per metterlo insieme». Non a caso, una volta arrivato, riempie milioni di documenti Word. Che cosa contiene? Tutto. E-mail, chat di Hangout, contatti, spostamenti (dunque anche dove abiti…), ogni foto scattata negli anni o video YouTube, file Google Drive (compresi quelli eliminati in modo esplicito), appuntamenti del calendario, eventi cui hai partecipato, quando, dove e con chi; e soprattutto aziende preferite, prodotti acquistati e in quali attività commerciali, libri, telefoni e smartphone comprati o posseduti, siti creati, pagine condivise e ovviamente ogni applicazione, rinviante di solito a sua volta a brand, partiti, organizzazioni.
Ora hai tutti gli strumenti per far ciò che vuoi della tua vita online e, soprattutto, di quella cosiddetta «reale», mai distinta da quella in rete. Ti manca giusto l’ultimo tool fondamentale: la testa. Che, auspichiamo, ti guidi ad attivare la forma di difesa della privacy più semplice: non postare mai, non scambiarsi mai neppure via chat WhatsApp, alcun contenuto – testi, foto, video – che non vuoi un domani ritrovarti pubblico. Risolvere il problema alla radice, ecco la «cura»: una sana e consapevole educazione civica digitale nel quotidiano che ti salva la vita. O almeno te la facilita un bel po’.
Gli step dell’educazione civica digitale
L’educazione civica digitale, infatti, passa da diversi step: il primo però, tanto essenziale quanto il più dimenticato, è quella che potremmo chiamare «Digital Education nel quotidiano»: le «cretinate che ci rovinano la vita», le bucce di banana su cui cadiamo, senza ormai neanche rendercene più conto, nelle nostre abitudini quotidiane – anche solo nel postare una certa foto su Facebook o partecipare a una chat su WhatsApp senza le dovute attenzioni. Da questo mancato sano e consapevole uso del digitale, la facilità a credere nelle Fake News, a cadere vittima di violenza online e offline e, soprattutto, a mettere a serio rischio la nostra privacy, i dati e le informazioni personali, venduti al miglior offerente con quei «Sì, accetto» che nessuno legge.
Proprio nel fatto che mai ci passi per la testa di leggere le informative sui cookies o le privacy policy dei siti, nel nostro costante premere «Autorizzo» senza pensare a ogni richiesta di App o di registrazione dei nostri dati online e offline, si annida la «radice di ogni male», di ogni possibile conseguenza negativa futura. O, al contrario, positiva se impariamo a usare in modo responsabile e consapevole lo strumento Rete. Questo, per le giovanissime generazioni, significa educare da subito – tra alfabeto e tabelline – a usare i nuovi media e le nuove tecnologie con un comandamento per primo: non esser noi il prezzo del gratis, merce di scambio dei giganti della Rete. Difendendo così la nostra privacy da subito: appunto nella quotidianità. Per chi ha qualche anno invece, per noi, che non possiamo più fruire dei vantaggi di una tabula rasa, occorre sottoporsi a una cura: che, come tale, deve passare però da una diagnosi quanto più minuziosa.