Si può pubblicare su giornali foto, video o anche dati presi dai profili social di persone vicine a fatti di cronaca? Proviamo a sciogliere tutti i dubbi.
L’omicidio della bimba di Cisliano a marzo ha costretto il Garante per la protezione dei dati personali a tornare sul tema della pubblicazione indiscriminata di foto tratte dai social a corredo delle notizie. Gli organi di informazione infatti hanno pubblicato svariate foto dell’indagata e della bambina, “estraendole” dal profilo social della madre.
L’intervento del Garante è un utile promemoria di ciò che (non) si può fare. Inoltre annuncia ulteriori interventi: è certo un tema che l’attuale collegio dell’Autorità ha particolarmente a cuore, come si vede dall’impegno su TikTok.
Alla privacy si somma anche la questione del copyright della foto, come vedremo.
Che cosa è vietato per i giornali con foto e testi social
Ci sono tre elementi critici segnalati nel comunicato.
- Foto con gli altri figli della madre della bambina di Cigliano. Anche se i volti sono pixellati, sono identificabili perché chiaramente la foto raffigura i suoi figli (il lettore non può pensare che siano bambini qualunque). La normativa vieta l’identificabilità dei minori nelle foto.
- Hanno riportato dettagli di vita personale tratta dai social e non rilevanti per il pubblico interesse (condizione necessaria perché il diritto di cronaca possa prevalere su quello della privacy). Anche se quanto scritto dalla donna su Facebook fosse pubblico, la finalità della donna era quello di scrivere ai propri amici e non al grande pubblico.
- In generale una sensazionalizzazione della morte, anche con foto.
L’utilizzo del profilo social di indagati o vittime a fini di informazione
Il Garante privacy ha ribadito più volte il principio generale: non si possono usare foto e dati presi dai social, salvo i casi di effettiva utilità informativa (esimente del diritto di cronaca); comunque i minori non devono essere riconoscibili.
In epoca di social network – riconosce il Garante – è naturale che un giornalista utilizzi il profilo social di una persona indagata o coinvolta in un fatto di cronaca come fonte di informazioni o di immagini. Il Garante non lo vieta a priori, ma le regole deontologiche dei giornalisti e le normative in materia di privacy sono i limiti che non si devono valicare in questi casi.
Il profilo social è una finestra “pubblica” della vita di ognuno e le foto pubblicate in quei contesti sono, effettivamente, utilizzabili da tutti, nei limiti del lecito.
Chi scrive, comunque, è fortemente contrario alle intrusioni eccessive nel profilo altrui, anche perché molto spesso l’utilizzo del social network, per quanto da parte di maggiorenni che dovrebbero ben comprendere tutte le implicazioni dell’uso di quel mezzo, spesso non è così consapevole come dovrebbe essere.
La conseguenza, a volte, è la divulgazione inconsapevole di momenti privati che dovrebbero rimanere tali o, al limite, divulgati ad un numero circoscritto ed individuato di persone.
Non c’è nessuna finalità informativa nel portare dati e foto di familiari non coinvolti nel fatto di cronaca. Non c’è nessuna finalità informativa nel sensazionalizzare la notizia con foto o pubblicando foto che violano la dignità della persona (tipico caso, una vittima ripresa in atteggiamento scomposto in una festa). Ovvio che se invece la foto è di un politico, di una figura pubblica, il discorso cambia perché c’è interesse informativo pubblico a sapere che si ubriaca a una festa (ad esempio).
La guerra del Garante Privacy contro i social, per i minori: che succede ora
Il comunicato stampa del Garante privacy su foto bimba Cisliano
Il Garante per la protezione dei dati personali ha pubblicato il seguente comunicato stampa:
“Diversi organi di stampa e siti di informazione hanno riferito in questi giorni della tragica notizia della morte di una bimba di 2 anni a Cisliano. In molti casi media e testate on line hanno pubblicato, oltre a diverse fotografie in chiaro della bambina, numerosi dettagli relativi alle vicende personali e allo stato psicologico della madre, indicata come presunta responsabile della morte, riportando testualmente pensieri e commenti tratti dal profilo Facebook della donna, nonché fotografie della stessa insieme ai suoi due altri figli, i cui volti – seppur pixelati – sono di fatto riconoscibili. Le informazioni e le immagini descritte si pongono in evidente contrasto con le disposizioni della normativa privacy e delle regole deontologiche relative all’attività giornalistica, che – pur salvaguardando il diritto/dovere di informare la collettività su fatti di interesse pubblico -prescrivono agli operatori dell’informazione di astenersi dal pubblicare dettagli relativi alla sfera privata della persona e prescrivono, anche attraverso il richiamo alla Carta di Treviso, particolari e rafforzate garanzie a tutela dei minori coinvolti in fatti di cronaca”.
“L’Autorità ritiene pertanto doveroso invitare gli organi di stampa, i siti di informazione e i social media al più rigoroso rispetto delle disposizioni richiamate, astenendosi dall’ulteriore diffusione di dati personali e immagini relativi alla triste vicenda di cronaca non essenziali, riservandosi comunque eventuali interventi specifici sul caso”.
I temi toccati sono moltissimi, dall’utilizzo di immagini, alla “cannibalizzazione” dei profili social del presunto colpevole, tra deontologia del giornalista e tutela del diritto alla riservatezza.
La questione del copyright per le foto prese dai social
Non c’è solo la privacy. Le foto su Facebook hanno il copyright di chi le ha fatte, dei fotografi. Una sentenza del Tribunale di Roma del 10 giugno 2015 ha condannato un giornale a pagare il risarcimento del danno patrimoniale e morale, specificando che la pubblicazione della foto sui social non autorizza alla ripubblicazione.
Il copyright c’è anche in assenza di un watermark e nel caso la paternità dell’opera si presume attribuibile a chi l’ha pubblicata.
La Carta di Treviso del 1990 ed il Vademecum del 1995
Il tema minori merita un approfondimento. Tutti i giornalisti di professione conoscono la Carta di Treviso, un protocollo sottoscritto nel 1990 da Ordine dei giornalisti, Federazione nazionale della stampa italiana e Telefono azzurro. Ha la finalità di regolare i rapporto tra diritto di cronaca e salvaguardia dell’infanzia.
E’ stata integrata nel 1995 da un vademecum, per cui “In considerazione delle ripetute violazioni della “Carta”, è stato ritenuto utile sottolineare alcune regole di comportamento, peraltro non esaustive dell’impegno, anche in applicazioni delle norme nazionali ed internazionali in vigore”.
Per quanto riguarda la pubblicazione delle immagini, il Vademecum prevede, al n. 5, che “Nel caso di bambini malati, feriti o disabili, occorre porre particolare attenzione nella diffusione delle immagini e delle vicende al fine di evitare che, in nome di un sentimento pietoso, si arrivi ad un sensazionalismo che finisce per divenire sfruttamento della persona”.
Niente sensazionalismo: è un concetto chiave. Soprattutto in caso di suicidio o atti lesionistici di minori (per scongiurare l’emulazione): come nel caso recente della bimba morta per una challenge sui social, dove i giornali hanno pubblicato la foto a volto.
Pubblicare la foto di un bimbo morto non è vietato di per sé, ma lo stesso Collegio di Disciplina dell’ordine dei giornalisti ha sanzionato negli anni casi di uso sensazionalistico di foto e titoli per suicidi di minori.
In altri termini, le immagini di minori feriti, malati o morti non dovrebbero essere mercificate per aumentare ascolti o click.
Conclusioni
Il comunicato stampa del Garante sulla vicenda è un passaggio molto significativo: come nel caso di Tik Tok, è il tentativo di arginare il far west che vige nell’utilizzo dei materiali reperibili in rete in generale sui social in particolare.
Se al comunicato dovessero seguire provvedimenti, anche non sanzionatori, saranno di grande interesse e potrebbero diventare strumento utile per ripensare ai protocolli, forse ormai datati, che hanno avuto il via con la Carta di Treviso.
I giornalisti, come altre categorie, hanno una grande responsabilità determinata dalla funzione pubblica che svolgono e, quindi, devono seguire in maniera scrupolosa il loro codice deontologico.
Normare lo iato che intercorre tra deontologia ed etica, tuttavia, è ancora impossibile, perché legato alla sensibilità personale di ogni autore.