RapidHit DNA è uno strumento tecnologico in grado di velocizzare sensibilmente i tempi dell’analisi genetica (le risultanze sono pronte in due ore), dando così un apporto importante nelle decisive fasi iniziali delle attività investigative.
La tecnologia è già una realtà nel contesto americano ma non può essere utilizzata in Italia per via delle differenze nel sistema giudiziario, a meno di una auspicabile modifica legislativa in modo da renderla compatibile con la normativa vigente. Una soluzione in tal senso potrebbe essere l’istituzione di una particolare figura di tutela giudiziaria. Ma prima di entrare nel merito, partiamo con un’analisi della tecnologia e dei risvolti del suo utilizzo.
Analisi genetiche, la svolta Rapid Hit DNA
La tecnologia legata alle indagini di tipo genetico sta conoscendo un rapidissimo sviluppo su molteplici fronti. Infatti, come noto, le indagini di tipo genetico sono particolarmente utili all’attività investigativa, talvolta configurandosi come un vero e proprio elemento in grado di far la differenza, ovvero quel fattore che è in grado di dare positività alle indagini effettuate. Tuttavia, è anche vero e noto che le indagini genetiche sono procedure abbastanza lunghe e laboriose, i cui risultati richiedono tempo e l’impiego di personale altamente specializzato e di strutture laboratoristiche.
Dato che i primi momenti di una indagine sono spesso decisivi, ovvero i più utili per la risoluzione del caso, lo sviluppo tecnologico è andato incontro a tale aspetto. Infatti recentemente in USA è stato sviluppato un dispositivo tecnologico che è in grado di abbattere sensibilmente i tempi dell’analisi genetica. Lo strumento sviluppato è commercialmente noto come “Rapid Hit DNA”. Tale strumento consente di processare campioni biologici repertati a mezzo swab provenienti sia da viventi che anche da reperti con potenziale interesse biologico investigativo (si pensi, ad esempio, ad un coltello rinvenuto su una scena criminis intriso di sangue dalla parte della lama). Lo strumento può processare sino a 8 campioni biologici alla volta ed è in grado di stimare un profilo genetico basato dai 17 ai 24 loci di DNA (a seconda del kit impiegato).
Tutti i vantaggi della tecnologia
Ma gli aspetti particolarmente rilevanti di tale strumento sono i seguenti:
- le risultanze analitiche degli esami genetici sono disponibili in sole 2 ore
- lo strumento è portatile
- l’operatore che usa tale strumento non deve necessariamente essere un genetista forense
Infatti, questo tipo di tecnologia deriva direttamente dalle richieste del personale investigativo, il quale richiedeva di svolgere analisi genetiche certe, validate, nel minor tempo possibile, magari con possibilità di trasporto in loco e, inoltre, uno strumento “alla portata di tutti gli operatori di PG”, così che non si sconvolgesse il sistema logistico-organizzativo e si massimizzassero le risorse umane presenti all’interno dei reparti investigativi delle forze dell’ordine.
Il “RapidHit DNA” è la sintesi di tutte queste richieste appena elencate. Consente infatti, a mezzo di un particolare sistema di automazione tecnologica, di ottenere dal campione biologico raccolto direttamente le risultanze in sole 2 ore.
Inoltre, lo strumento è stato progettato per essere trasportabile in loco, essendo costruito per l’appunto entro contenuti volumi e pesi.
Anche l’operatore che lo utilizza non necessita di particolare specializzazione perché non deve fare altro che campionare su scena criminis ove ritenuto di interesse e immettere il campione biologico all’interno dello strumento, il quale, procederà “da solo”, per via automatica, sino a giungere ai risultati.
Perché negli Usa può essere usato e in Italia no
V’è anche da fare un appunto di natura giuridica. Il sistema giuridico americano ha istituito il sistema CODIS come banca dati del DNA. Lo strumento “RapidHit DNA” è omologato per inserire i risultati ottenuti direttamente nella banca dati nazionale americana. Ciò consentirà anche un rapido ed efficace riscontro dei “match” tra il profilo genetico derivante dal campione biologico analizzato e i profili genetici di riferimento, già presenti in banca dati, ovvero acquisiti da soggetti di interesse nell’atto dell’attività investigativa.
Diverse sentenze americane hanno riconosciuto pieno diritto e legittimità dell’uso di tale strumento in contesto investigativo, finanche a riconoscere la possibilità di utilizzare tali risultanze genetiche quali “prove” per la condanna dell’imputato, appunto identificato a mezzo di questa tipologia di indagine.
Va tuttavia specificato che, se ciò è una realtà nel contesto americano, non può esserlo nel contesto italiano, od europeo in genere. Ciò per via di differenze del sistema giudiziario. Infatti, nel particolare caso dell’Italia, le analisi su campioni biologici, spesso di natura non ripetibile, sono tutelate e disciplinate dal dispositivo 360 c.p.p., che prevede l’avviso alle parti coinvolte nell’indagine (indagato, se identificato, e parti offese) e la facoltà che queste hanno di nominare un consulente tecnico che partecipi allo svolgimento di tali attività tecniche investigative. Se ciò non viene rispettato, ovvero l’avviso ad alcuna delle parti è omesso, la giurisprudenza italiana (e anche più generalmente quella europea) hanno più volte dichiarato la nullità di tali dati scientifici perché non ottenuti nel contraddittorio tra le parti, di fatto non consentendo il contraddittorio il diritto alla difesa del soggetto imputato/indagato.
E’ infatti da tener conto che, in contesto scientifico-forense, la sostanza deve assolutamente incontrare la forma, ovvero non basta che una metodologia tecnica sia funzionante, ma si devono anche rispettare tutti i crismi necessari che disciplinano lo svolgimento di tali atti tecnico scientifici.
Nel contesto del diritto italiano, basato appunto sulla garanzia dei diritti e sulla reale possibilità degli indagati di poter partecipare, a mezzo dei propri legali e consulenti tecnici alle attività di indagini, la tecnologia del “RapidHit DNA” non potrà essere di fatto applicata. Ciò perché i risultati ottenuti, seppur validi sotto il punto di vista sostanziale (ossia i dati scientifici sono di certificata bontà e qualità), sono nulli in contesto probatorio per via di difetti di tipo formale, ovvero legati al fatto che tale tecnologia non consente il rispetto della normativa riguardante gli accertamenti tecnici irripetibili, ex. art. 360 c.p.p..
Una possibile soluzione
Tale tecnologia, così com’è oggi, ideata in contesto americano, idonea per l’applicazione nel contesto forense americano, non può essere altrettanto impiegabile nel contesto forense italiano.
Tuttavia, vista la bontà e l’utilità di tale tecnologia, si auspica o una modifica della stessa in modo da renderla compatibile con la normativa vigente italiana, o una parziale modifica da parte del legislatore di alcune normative tali che si possa pienamente utilizzare tale tecnologia in contesto investigativo anche qui in Italia.
Una modifica legislativa “avente senso” non avrebbe affatto ad oggetto la modifica, in tutto in parte, dell’art 360 c.p.p., bensì potrebbe essere rivolta all’istituzione di una particolare figura di tutela giudiziaria in questi contesti, il cosiddetto “consulente pro-ignoto”. Tale figura è stata proposta a più riprese anche da esponenti della magistratura, quali anche il Giudice Gennaro Francione, che ha sottolineato come l’istituzione e la legittimazione di questa figura potrebbe avere risolti pratici positivi sul sistema giuridico e dell’indagine scientifica perché, così facendo, al contempo si tutela la qualità del lavoro svolto dagli operatori delle forze dell’ordine nell’esecuzione dei loro atti di indagine e si tutela anche il “futuro” indagato/imputato, in quanto le analisi tecniche hanno comunque avuto corso innanzi ad un consulente terzo, ovvero non parte della pubblica accusa o dipendente da questa.