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Reputazione digitale, gli strumenti chiave per tutelarla

In un contesto in cui è sempre più importante affermare la propria presenza sul web, anche la conoscenza di ciò che si può definire il perimetro del “lecito” può concorrere in modo determinante all’ottenimento di un risultato apprezzabile. Ecco come proteggersi da attacchi esterni e individuare chi viola i nostri diritti

Pubblicato il 07 Lug 2020

Vittorio Colomba

Avvocato esperto in diritto delle nuove tecnologie e protezione dei dati personali

web reputation

Mai come oggi imprese e professionisti si mostrano attenti alla cura della propria reputazione digitale. Non si tratta solo di vanità, è invece business. Non l’impalpabile percezione di sé stessi rimessa alla memoria collettiva, ma la stampa di un biglietto da visita quantomai concreto, da consegnare ad ogni potenziale cliente presente sul web.

Quelle appena descritte sono dinamiche legate al mondo della comunicazione, non c’è dubbio, ma condizionate anche dalla sfera del diritto poiché, nella costruzione di un’identità e di una reputazione digitale, il perimetro del “lecito” non solo esiste ma gioca indubbiamente un ruolo di primaria importanza.

Coloro che conoscono quel perimetro si muovono al suo interno meglio degli altri, ottengono più apprezzabili risultati e sanno come non valicarne i limiti, consapevoli che farlo significherebbe compiere azioni illecite ed esporsi alle relative conseguenze. Identificare quel perimetro, per altro verso, permette a chi ne è capace di tutelarsi dagli attacchi esterni, individuando chi, sconfinando, viola i suoi diritti.

Reputazione e regolamento dei confini

Anche nella più spinta modernità, in definitiva, serve recuperare quella che il diritto dell’antica Roma definiva una actio finium regundorum, una azione di regolamento dei confini, tra il consentito ed il proibito, i cui tratti essenziali proveremo di seguito a tracciare.

I presupposti giuridici di tale operazione si appalesano differenti secondo l’obiettivo di partenza: costruire una nuova identità/reputazione digitale, ovvero destrutturarne una preesistente che non si ritiene idonea o coerente con quella reale.

Ripulire una cattiva reputazione non è mai stato facile, sul web è quasi impossibile. Eppure, esiste ed è riconosciuto un diritto individuale alla corretta rappresentazione della personalità digitale, diritto che l’attuale normativa in tema di data protection tutela, per quel che riguarda le persone fisiche, mediante l’espressa previsione dei diritti di cancellazione, di rettifica dei dati personali oggetto di trattamento e del c.d. diritto all’oblio.

Non si tratta, tuttavia, di meccanismi sciolti e agili da mettere in moto, poiché esistono farraginosi ingranaggi preposti al loro funzionamento, sia di natura tecnica che giuridica.

È noto come l’architettura della rete non sia concepita per accettare facilmente la “dimenticanza”. Dispone, al contrario, illimitata e ambisce a conservare ogni forma di sapere, individuale e collettivo. Le informazioni scivolano spesso in infiniti rivoli e, disperdendosi, rendono complicatissima ogni operazione di correzione svolta a ritroso.

Gli strumenti del Gdpr

Gli strumenti normativi introdotti dal GDPR, in primis il diritto all’oblio, sono sottoposti ad una serie di restrizioni e condizioni che ne depotenziano fortemente la portata. La richiesta di deindicizzazione delle notizie pregiudizievoli dai motori di ricerca raramente viene accolta dai grandi provider, e la stessa Autorità Garante interpreta in senso molto ampio il concetto di “utilità sociale” dell’informazione, relegando le esigenze di riservatezza ad un ruolo quasi sempre recessivo.

Vorrei raccontare un caso, di cui mi sono occupato personalmente dal punto di vista professionale, che considero piuttosto emblematico dei concetti appena espressi.

È il caso di un giovane coinvolto in una spiacevole vicenda giudiziaria, accusato di reati molto gravi, in un contesto in cui la notizia del suo arresto alle prime luci dell’alba venne ripresa da diverse testate giornalistiche, sia cartacee che digitali.

Bastarono pochi mesi per dimostrare il tragico errore giudiziario e la totale estraneità del giovane rispetto alle accuse. Pochi mesi, dicevo, in palese controtendenza rispetto ai consueti tempi di reazione del nostro sistema giudiziario, proprio perché l’errore fu talmente evidente da determinare, per l’autorità inquirente, perfino l’improcedibilità dell’azione.

Terminato l’incubo giudiziario ne ebbe inizio, tuttavia, un altro.

Il giovane aveva diritto di pretendere che la notizia della sua estraneità ai gravi reati di cui era stato accusato fosse resa nota, ma si accorse ben presto che il desiderio di curare il proprio onore perduto non avrebbe avuto un’agevole soddisfazione.

In primo luogo, comprese le resistenze del mondo dell’informazione ad offrire alle notizie positive la stessa visibilità che è solito garantire a quelle negative: il trafiletto, si sa, non vale il titolo in home page.

Realizzò, poi, che una buona notizia non ne annulla una cattiva, ne riduce forse la portata, ma non ne estingue affatto gli effetti: il sospetto è solito rimanere latente e vivo, sotto la cenere del fuoco spento di una notizia infondata.

L’unico modo per ripulire sul serio la propria macchiata reputazione, per il giovane, consisteva nel provare a cancellare del tutto quei fatti dalla memoria della rete, e così provò a fare, in prima istanza avanzando una specifica istanza a Google, forte anche delle speranze offerte dal discusso e all’epoca recente caso Google Spain vs Mario Costeja González.

Per farla breve, Google negò l’istanza di cancellazione, rilevando: “Sembra che le informazioni che desidera vengano rimosse da Google riguardino un reato. In base alle informazioni in nostro possesso, dobbiamo dedurre che non siano né imprecise né obsolete. Abbiamo quindi deciso di non prendere alcun provvedimento in merito all’URL o agli URL in questione.”

In effetti era tutto vero: l’arresto c’era stato e i reati di cui era accusato il ragazzo erano quelli ed erano gravissimi.

Investita successivamente della questione, anche l’Autorità Garante Privacy negò le richieste del giovane ritenendo “anche in base a un ponderato bilanciamento fra i diversi criteri individuati dal Gruppo Art. 29 nelle citate Linee Guida, che, nel caso di specie, nonostante il lasso di tempo trascorso dagli eventi, debba, tuttora, ritenersi prevalente l’interesse del pubblico ad accedere alle notizie in questione”.

Considerate, in definitiva, le poche e difficoltose opportunità di deviare il corso di una reputazione digitale non più rappresentativa della propria azienda o della propria persona, appare ancora più importante condensare ogni premura nella sua delicatissima fase di costruzione.

Si tratta di un tema che, spostando l’attenzione dalle persone fisiche a quelle giuridiche, assume contorni molto differenti, ma non meno delicati.

Marketing e diligenza professionale

Le imprese sono sottoposte ai vincoli del codice del consumo, in particolare quelli tesi ad arginare le cosiddette pratiche commerciali scorrette, e devono rispettare le disposizioni civilistiche disciplinanti l’ambito della concorrenza sleale.

Il marketing e, più in generale, l’utilizzo degli strumenti atti a concorrere alla costruzione di una web reputation, non devono quindi oltrepassare il limite della diligenza professionale; le informazioni diffuse in rete non possono appalesarsi false o idonee a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore medio al quale sono dirette; le dichiarazioni e le comunicazioni di un’impresa non devono nemmeno sfiorare i tratti dell’aggressività, dell’idoneità ad indurre in errore il consumatore medio, né tantomeno quelli dell’idoneità a danneggiare un’impresa concorrente.

All’universo delle professioni intellettuali non si applicano principi molto diversi rispetto a quelli appena descritti per le imprese. In alcuni casi, semmai, esistono vincoli ulteriori da considerare, in particolare di natura deontologica.

Si pensi alla professione forense e ai limiti specifici ad essa imposti: le informazioni rese sull’attività professionale devono essere trasparenti, veritiere, corrette, non equivoche, oltre che non ingannevoli, suggestive o comparative. L’acquisizione della clientela, inoltre, deve avvenire con modalità conformi alla correttezza e al decoro, poiché in caso contrario si rischierebbe di incorrere nel divieto di accaparramento della clientela.

In un contesto in cui risulta sempre più importante affermare la propria presenza sul web, anche la conoscenza di ciò che poc’anzi si è definito il perimetro del “lecito”, possiamo concludere, può concorrere in modo determinante all’ottenimento di un risultato apprezzabile.

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