Con il decreto-legge Capienze (8 ottobre del 2021, numero 139), il Governo ha ampliato la gamma di tutele a favore delle vittime del fenomeno del revenge porn, compresi i minori ultraquattordicenni.
Il reato previsto dall’articolo 612 ter del Codice penale
Il revenge porn è un fenomeno noto da una ventina d’anni, esploso in modo esponenziale con l’utilizzo massivo degli smartphone, che consiste nella diffusione contro la – o in assenza di – volontà della persona ritratta di immagini o video sessualmente espliciti.
Revenge porn, nuovi canali di diffusione e tecniche di contrasto
Nel 2019, in seguito a un eclatante fatto riguardante una parlamentare, il legislatore si è deciso a prendere in considerazione il fenomeno, introducendo una norma incriminatrice ad hoc.
La fattispecie prevede sanzioni penali molto elevate (per l’ipotesi “base” si prevede la reclusione da uno a sei anni), ma non la tutela più concreta, ossia il “blocco” della diffusione delle immagini sessualmente esplicite.
Il Governo, nel 2021, ha ritenuto la lacuna normativa così grave da dettare una disciplina urgente con decreto-legge.
L’inserimento dell’articolo 144 bis nel Codice privacy
Lo strumento normativo individuato consiste nell’inserimento, nel decreto legislativo 196/2003 (Codice privacy) di un articolo ad hoc, ossia il 144 bis, rubricato, proprio, Revenge porn, che recita, testualmente: “ 1. Chiunque, compresi i minori ultraquattordicenni, abbia fondato motivo di ritenere che immagini o video a contenuto sessualmente esplicito che lo riguardano, destinati a rimanere privati, possano essere oggetto di invio, consegna, cessione, pubblicazione o diffusione senza il suo consenso in violazione dell’art. 612-ter del codice penale, può rivolgersi, mediante segnalazione o reclamo, al Garante, il quale, entro quarantotto ore dal ricevimento della richiesta, provvede ai sensi dell’articolo 58 del Regolamento (UE) 2016/679 e degli articoli 143 e 144.
2. Quando le immagini o i video riguardano minori, la richiesta al Garante può essere effettuata anche dai genitori o dagli esercenti la responsabilità genitoriale o la tutela.
3. Per le finalità di cui al comma 1, l’invio al Garante di immagini o video a contenuto sessualmente esplicito riguardanti soggetti terzi, effettuato dall’interessato, non integra il reato di cui all’articolo 612-ter del codice penale.”
I poteri previsti dall’articolo 58 del regolamento UE 16/679 pertinenti alla fattispecie sono quelli indicati alle lettere f) e g), ossia: “f) imporre una limitazione provvisoria o definitiva al trattamento, incluso il divieto di trattamento; g) ordinare la rettifica, la cancellazione di dati personali o la limitazione del trattamento a norma degli articoli 16, 17 e 18 e la notificazione di tali misure ai destinatari cui sono stati comunicati i dati personali ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 2, e dell’articolo 19”.
Il legislatore d’urgenza ha, quindi, attribuito al Garante per la protezione dei dati personali il potere di emanare provvedimenti inibitori direttamente nei confronti del soggetto attraverso il quale le immagini o i video illeciti vengono diffusi: ad esempio WhatsApp o Youtube.
La novità è consistente e lo strumento di tutela estremamente efficace; del pari è lungimirante la facoltà di accesso diretto alle istanze al Garante anche per i minorenni, con una soluzione che ricorda la normativa di contrasto al cyberbullismo.
La scelta legislativa di affermare chiaramente che l’invio al Garante dei video sessualmente espliciti non integra la fattispecie prevista dall’articolo 612 ter del Codice penale sembra più una modalità di “incentivo” all’utilizzo dello strumento che una affermazione normativamente valida.
Nessuno, infatti, ha mai ipotizzato che commettesse il reato di revenge porn chi depositava i filmati presso la Procura della Repubblica per denunciarli o l’agente della polizia postale che li scaricava ed archiviava per finalità di indagine.
Conclusioni
La normativa inserita con l’articolo 144 bis va salutata con assoluto favore; il blocco della diffusione delle immagini tutela le vittime forse di più della sanzione penale inflitta al colpevole.
È verosimile ipotizzare che se questa normativa fosse stata inserita già nel 2018, alcuni casi eclatanti non si sarebbero verificati.
Ovviamente il decreto-legge non è assolutamente lo strumento idoneo per l’inserimento di questo tipo di tutela che ha natura strutturale e discende direttamente dal Regolamento Ue 16/679.
Una disciplina del genere, infatti, avrebbe dovuto essere inserita con legge ordinaria e non infilata in un atto normativo urgente del Governo che si occupa, sostanzialmente, di tutt’altro.
Detto questo, meglio tardi che mai e, a fronte dell’ennesimo uso improprio della decretazione d’urgenza, non si può far altro che alzare le spalle.