Facebook ha deciso di interrompere l’utilizzo del sistema di riconoscimento facciale e di cancellare i relativi dati raccolti.
Verrebbe quasi da festeggiare se non fosse che, in realtà, la notizia è meno clamorosa di quanto possa sembrare. Cerchiamo di capire qualcosa di più rispondendo a tre semplici domande.
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Perché Facebook ha un sistema di riconoscimento facciale?
Per capire i contorni della vicenda dobbiamo tornare indietro di 11 anni. Era il 2010 quando Facebook decise di avviare un programma per il riconoscimento facciale. Il motivo? Rendere più veloci i tag delle persone. Dobbiamo pensare che ci troviamo in un’epoca lontana secoli da oggi quanto a tecnologia e quanto alla percezione del tema privacy. Non c’era il GDPR, Facebook era agli albori, gli iPhone erano ancora un privilegio per pochi e tutta la questione dei social sembrava poco più di un gioco molto divertente. Per questo alla società oggi chiamata Meta, sembrò utile creare un simile sistema, anche se solo per rendere più agevole l’individuazione delle persone nelle foto. Successivamente lo stesso consentì di avvisare quando un soggetto terzo stava caricando sul social una foto in cui compariva un altro utente, ma questa è un’altra storia.
Quello che ci interessa è che per undici anni Facebook, ha raccolto milioni di immagini utili per perfezionare la propria tecnica di riconoscimento facciale. Quindi, mentre gli utenti pensavano di aver un semplice servizio in più, Facebook portava avanti un’intensa attività di ricerca volta a ottenere uno dei sistemi migliori al mondo in materia di riconoscimento facciale. In pochi possono vantare una simile esperienza decennale su questa tecnologia e quasi nessuno può dire di aver operato su un simile numero di immagini in maniera legale. Facebook, difatti, a differenza di Clearview – per citarne una – ha utilizzato questo sistema solo su soggetti consenzienti.
Il New York Times afferma che il riconoscimento facciale è attivo su più di un terzo degli utenti giornalieri, e che tutti hanno in qualche modo deciso di non disattivare tale funzione dal profilo. Insomma, al di là di quello che può essere il dibattito sulla legittimità di un simile opt-out, anche in termini di privacy by design, è evidente che, come la si voglia mettere, Facebook, quanto a trasparenza, sul punto è avanti anni luce rispetto a società come Clearview che si sono limitate a fare scraping di immagini, senza informativa, senza base giuridica, senza nulla.
Perché Facebook/Meta ha deciso di spegnere del tutto questo servizio?
I motivi sono fondamentalmente due: rifacimento di immagine e timore di ulteriori sanzioni.
In effetti, è sotto agli occhi di tutti questo tentativo di Facebook di ripartire da zero.
Il cambio di nome da Facebook a Meta è stato presentato come conseguenza dell’avvento del metaverso, ma la realtà è che Facebook aveva bisogno anche di un’importante rinfrescata.
A partire da Cambridge Analytica, possiamo dire che Facebook ha vissuto di fatto sotto indagine. Si parla di una compagnia costretta a chiedere scusa costantemente e, sia chiaro, ciò non avviene per una qualche persecuzione ma perché, in effetti, qualcosa di scorretto è accaduto.
Se la Federal Trade Commission ha multato Facebook con una multa record di $ 5 miliardi, e se l’anno dopo la società ha anche accettato di pagare $ 650 milioni per risolvere una causa legale in Illinois che la vedeva sul banco degli imputati per aver violato una legge statale che richiede il consenso dei residenti per utilizzare le loro informazioni biometriche, inclusa la loro “geometria del viso”, beh è evidente che non si può dare semplicemente la colpa al nome, dovendo invece farsi qualche domanda sul corretto uso dei dati e degli algoritmi da parte del social network più famoso al mondo.
Ciononostante, la società di Mark Zuckerberg ha ritenuto che una semplice operazione di face washing fosse la via più veloce per voltare pagina.
Si tratta di un addio o di un arrivederci?
È questa la domanda più importante di tutte. Dobbiamo davvero credere che Meta sia disposta a rinunciare del tutto a un know how di dieci anni? Leggendo tra le righe del comunicato della società erede di Facebook parrebbe proprio di no.
Non a caso sul blog ufficiale si legge: “vediamo ancora la tecnologia di riconoscimento facciale come uno strumento potente, ad esempio, per le persone che hanno bisogno di verificare la propria identità o per prevenire frodi e impersonificazione. Riteniamo che il riconoscimento facciale possa aiutare per prodotti come questi con privacy, trasparenza e controllo in atto, quando è l’utente a decidere se e come utilizzare il tuo viso. Continueremo a lavorare su queste tecnologie e a coinvolgere esperti esterni. Ma i molti casi specifici in cui il riconoscimento facciale può essere utile devono essere valutati rispetto alle crescenti preoccupazioni sull’uso di questa tecnologia nel suo insieme. Ci sono molte preoccupazioni sul ruolo della tecnologia di riconoscimento facciale nella società e le autorità di regolamentazione sono ancora in procinto di fornire una serie chiara di regole che ne disciplinino l’uso. In questa continua incertezza, riteniamo che sia appropriato limitare l’uso del riconoscimento facciale a una serie ristretta di casi d’uso.”
In sostanza Facebook si limiterà a disabilitare il servizio e a cancellare i dati raccolti ma non cancellerà l’algoritmo (chiamato Deepface) creato in questi dieci anni. Questo ci fa capire come la decisione sia molto meno clamorosa di quanto vorrebbe apparire. Le foto degli utenti sono state del resto usate per dieci anni per allenare l’algoritmo che ora sarà già in grado di effettuare autonomamente tutta una serie di valutazioni. Insomma, è come se Michelangelo avesse deciso di smettere di usare lo scalpello solo dopo aver scolpito il David. La notizia magari può fare clamore, ma la verità è che il gioco ormai è fatto.
Conclusioni
Certo, molte informazioni saranno cancellate ma quando sarà finita questa operazione di rebranding, e quando Meta farà rientrare il riconoscimento facciale tra i suoi piani aziendali, potrà semplicemente schiacciare start, contando su uno dei sistemi più sofisticati al mondo, allenati per oltre un decennio su immagini raccolte legalmente. Non solo, l’algoritmo, così creato, anche se ormai svuotato dei dati usati per l’allenamento (detto in modo quantomeno semplicistico, per capirci) potrà comunque formare un importante asset e, perché no, potrebbe essere venduto o fornito in licenza a terzi. Insomma, è chiaro che allo stato attuale, non sono più le foto il valore aggiunto di DeepFace ma la sua struttura e il suo allenamento, ormai completato (o quasi).