Le foto dei passaporti dei cittadini britannici vengono utilizzate per indagini di polizia: solo nei primi nove mesi del 2023 un passaporto su tre è stato “controllato” per il matching in indagini di polizia. In Europa – e in Italia – non è ancora possibile (e speriamo che resti così a lungo). È quanto emerge da un’inchiesta pubblicata dal quotidiano britannico Telegraph, che ha svelato quanto diffuso sia sull’utilizzo del riconoscimento facciale in Gran Bretagna.
Cosa emerge dall’inchiesta UK sull’uso massivo del riconoscimento facciale
I sudditi di Sua Maestà, stando ai risultati dell’inchiesta, vengono controllati costantemente da sistemi di riconoscimento facciale e le immagini dei passaporti vengono impiegate in modo “disinvolto” dalla polizia giudiziaria per finalità di indagine.
La questione, oltremanica, è tutta politica perché, a quanto si comprende dal dibattito scaturito dall’inchiesta giornalistica, non esiste un divieto generale di utilizzo delle immagini per fini di indagine e la normativa inglese non prevede particolari procedure per l’acquisizione delle immagini stesse.
Questo determina che alcuni esponenti politici – di opposizione – ritengano illecito l’utilizzo delle immagini dei passaporti per finalità di indagine di polizia, affermando che la finalità per cui le foto sono state scattate non comprendeva il controllo biometrico massivo.
Dall’altra, il Telegraph riporta la replica del portavoce del ministro degli interni: “Il governo è impegnato a garantire che la polizia disponga degli strumenti e della tecnologia necessari per risolvere e prevenire i crimini, consegnare i delinquenti alla giustizia e mantenere le persone al sicuro. La tecnologia come il riconoscimento facciale aiuta la polizia a identificare in modo rapido e accurato i ricercati per crimini gravi, nonché le persone scomparse o vulnerabili. Inoltre, libera tempo e risorse per la polizia, il che significa che più agenti possono essere in servizio, interagire con le comunità e svolgere indagini complesse”.
In altri termini, le immagini dei cittadini britannici (ma anche degli immigrati, anche se da database diversi) vengono utilizzate senza limite per le indagini di polizia giudiziaria.
Va anche ricordato però che il riconoscimento facciale, in Gran Bretagna, viene impiegato per pagare la mensa degli studenti con addebito automatico sul conto corrente: la sensibilità british, sul punto, deve essere alquanto diversa dalla nostra.
Riconoscimento facciale, la posizione Ue
Come noto, l’Unione europea sta discutendo, ormai a livello istituzionale avanzato, l’adozione dell’AI Act, ossia il regolamento generale per l’impiego dell’intelligenza artificiale.
Il testo approvato dal Parlamento europeo prevedeva un generale ban dell’uso del riconoscimento facciale (sia in tempo reale che successivo) che è stato, poi, rivisto, fino ad arrivare all’accordo politico del dicembre 2023, su cui si è scritto ampiamente.
A oggi l’accordo tra Parlamento, Commissione e Consiglio prevede l’uso, da parte degli Stati membri, del riconoscimento facciale successivo, solo per un numero “selezionato” di reati e previa autorizzazione dell’Autorità giudiziaria competente o di altra autorità indipendente preposta.
In questo si rinviene la maggiore differenza rispetto al Regno Unito: il vaglio giurisdizionale preventivo – cioè autorizzativo – rispetto all’impiego della tecnologia di riconoscimento facciale.
In Europa, peraltro, si porranno anche questioni relative alla trasparenza ed all’accuratezza del software sul piano della selezione preventiva della tecnologia da usare, cosa che, allo stato, non pare essere in uso in UK.
Lo stato dell’arte in Italia
In Italia, per quanto si registrino isolati tentativi di introdurre telecamere con riconoscimento facciale, è stato introdotto un divieto generale di utilizzo di queste tecnologie fino al 31 dicembre 2023; ma ormai è chiaro che nessuno interverrà prima che l’AI Act sia stato approvato definitivamente.
Vanno ricordati due fatti, per dare al lettore un metro di valutazione corretto: le intercettazioni telefoniche, ambientali, mediante captatore informatico – cosiddetto trojan horse – e l’acquisizione di tabulati telefonici per finalità di indagine seguono uno stretto regime procedurale determinato dal codice di procedura penale.
In generale – vi sono alcune eccezioni, in caso di urgenza o nelle ipotesi in cui si proceda per casi di criminalità organizzata o terrorismo – è il pubblico ministero, su iniziativa della polizia giudiziaria, a richiedere al giudice per le indagini preliminari l’autorizzazione ad effettuare le operazioni di intercettazione o l’acquisizione dei tabulati telefonici.
Il giudice per le indagini preliminari provvede, in ogni caso, con decreto motivato.
A fronte di questo modo di procedere per le intercettazioni, sarebbe illogico non prevedere un sistema analogo per l’impiego del riconoscimento facciale.
Conclusioni
Le tecnologie legate all’intelligenza artificiale – e il riconoscimento facciale vi rientra a pieno titolo – sono, ormai, parte della nostra vita e hanno fatto irruzione nell’immaginario collettivo.
Sono tecnologie che consentono di aumentare, per così dire, gli strumenti a disposizione della cosiddetta “società del controllo”, in cui lo Stato può effettuare una iper-vigilanza sui propri cittadini.
Due elementi vanno presi in considerazione: l’esasperata richiesta di sicurezza da parte dei cittadini e la presa di coscienza che, una volta fatti entrare senza particolare scandalo smartphone e assistenti vocali nelle case, nelle automobili e nella vita privata di ciascuno, è difficile frenare la diffusione – qualitativa e quantitativa – degli strumenti di questo tipo.
Certamente sono necessarie una regolamentazione e una limitazione di tipi di utilizzo e di finalità per cui possono essere impiegati: ma allo stato attuale è un dato di fatto che un ban assoluto – per quanto chi scrive lo veda come opzione ottimale – risulterebbe incomprensibile alla media dell’opinione pubblica.
Dovremo, quindi, pensare a convivere anche con il riconoscimento facciale, vigilando costantemente, mediante ogni mezzo di controllo democratico, affinché il suo impiego sia chirurgico e non a strascico.