Approvata definitivamente la legge di conversione del decreto capienze, qui compresa la nuova norma – con emendamento del PD – che prevede la “sospensione” dei trattamenti di riconoscimento facciale nei luoghi pubblici o aperti al pubblico da parte di soggetti pubblici e privati fino all’entrata in vigore di una disciplina normativa che regoli la materia e, comunque, fino al 31 dicembre 2023.
Il legislatore italiano blocca il riconoscimento facciale, ma con eccezioni
La legge di conversione del decreto capienze approvata il 1 dicembre 2021 prevede, sostanzialmente, le ultime novità in materia di disciplina emergenziale.
Sotto traccia, ma solo per il grande pubblico, all’interno del decreto anche una moratoria all’impego di apparecchiatura di videosorveglianza con riconoscimento facciale in luoghi pubblici o aperti al pubblico.
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Sullo sfondo, l’articolo 52 del Regolamento UE 16/679 (G.D.P.R.) ed il trattamento dei dati biometrici astrattamente recuperabili per mezzo delle nuove tecnologie.
Il testo del decreto su riconoscimento facciale
- In considerazione di quanto disposto dal regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, nonché dalla direttiva (UE) 2016/680 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, e dell’esigenza di disciplinare conformemente i requisiti di ammissibilità, le condizioni e le garanzie relativi all’impiego di sistemi di riconoscimento facciale, nel rispetto del principio di proporzionalità previsto dall’articolo 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, l’installazione e l’utilizzazione di impianti di videosorveglianza con sistemi di riconoscimento facciale operanti attraverso l’uso dei dati biometrici di cui all’articolo 4, numero 14), del citato regolamento (UE) 2016/679 in luoghi pubblici o aperti al pubblico, da parte delle autorità pubbliche o di soggetti privati, sono sospese fino all’entrata in vigore di una disciplina legislativa della materia e comunque non oltre il 31 dicembre 2023.10. La sospensione di cui al comma 9 non si applica agli impianti di videosorveglianza che non usano i sistemi di riconoscimento facciale di cui al medesimo comma 9 e che sono conformi alla normativa vigente.
11. In caso di installazione o di utilizzazione dei sistemi di cui al comma 9, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e fino al 31 dicembre 2023, salvo che il fatto costituisca reato, si applicano le sanzioni amministrative pecuniarie stabilite dall’articolo 166, comma 1, del codice di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dall’articolo 42, comma 1, del decreto legislativo 18 maggio 2018, n. 51, in base al rispettivo ambito di applicazione.
12. I commi 9, 10 e 11 non si applicano ai trattamenti effettuati dalle autorità competenti a fini di prevenzione e repressione dei reati o di esecuzione di sanzioni penali di cui al decreto legislativo 18 maggio 2018, n. 51, in presenza, salvo che si tratti di trattamenti effettuati dall’autorità giudiziaria nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali nonché di quelle giudiziarie del pubblico ministero, di parere favorevole del Garante reso ai sensi dell’articolo 24, comma 1, lettera b), del medesimo decreto legislativo n. 51 del 2018.
La sospensione è prevista fino all’entrata in vigore della nuova disciplina o fino al 31 dicembre 2023.
Le sanzioni
Nel frattempo, la mera installazione o l’impiego di apparecchiature che nei luoghi pubblici trattino indebitamente i dati biometrici determineranno una sanzione amministrativa (quelle, rispettivamente, previste dall’articolo 166, comma 1, del codice di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dall’articolo 42, comma 1, del decreto legislativo 18 maggio 2018, n. 51), salvo che il fatto non costituisca reato.
Le eccezioni
Il riconoscimento facciale potrà però essere impiegato per prevenzione e repressione dei reati o per l’esecuzione delle pene (detto volgarmente: per la ricerca dei latitanti).
Le ipotesi di liceità dell’utilizzo del riconoscimento facciale sono indicate, tassativamente, in quelle previste dal decreto legislativo 18 maggio 2018, n. 51, eventualmente con parere favorevole del Garante per il trattamento dei dati personali ai sensi dell’articolo 24 dello stesso decreto legislativo.
Luci ed ombre del divieto al riconoscimento facciale
Innegabile che aver limitato per legge il “far west” del riconoscimento facciale ad opera degli sceriffi di quartiere sia stato meritorio.
Il Garante avrebbe – verosimilmente – bloccato iniziative locali, ma la disciplina nazionale cogente chiude ogni questione, almeno fino alla legge che regolerà la materia. Le ipotesi previste dal decreto legislativo 18 maggio 2018, n. 51 avrebbero comunque avuto un regime autonomo, perché in attuazione della Direttiva UE 16/680.
Il fatto che il Parlamento europeo abbia già impegnato, a maggioranza, la Commissione ad elaborare atti normativi che limitino significativamente l’impiego dei dati biometrici – specie in relazione ad ipotesi cinesi di cittadinanza a punti – fa comunque ben sperare anche per la futura legge in materia.
Da segnalare, infine, che l’Italia è il primo Paese dell’Unione ad emanare un atto normativo specifico in quest’ambito.
Detto questo, si tratterà di capire quanto il legislatore nazionale e quello europeo vorranno spingersi nel restringere o nell’ampliare la possibilità di utilizzo di dati biometrici.
Ad esempio, quanto stabilito dal Garante per il trattamento dei dati personali, nei mesi scorsi, in materia di impiego di bodycam resta fermo, ma nulla vieta che il legislatore consenta l’impiago del riconoscimento facciale anche in quelle ipotesi.
Conclusioni
La disciplina normativa, ad oggi, non è deludente, anzi.
In un’epoca in cui il corretto trattamento dei dati personali non è una priorità particolarmente sentita dalla maggioranza della popolazione, però, è necessario restare vigili.
Il modello cinese, con moneta virtuale, cittadinanza a punti e vita legata ad un qr-code ed al riconoscimento facciale non è distante come sarebbe auspicabile.
La problematica maggiore, infatti, non è tanto l’impiego – pubblico, perché quello provato è da vietare in assoluto – dei dati biometrici, quanto piuttosto il fatto che venga legato ad altrui aspetti della vita quotidiana, sia sul piano sociale che economico che politico.
La discriminazione passa sempre, prima, dalla raccolta – il più efficiente possibile – di dati sui soggetti o sulle categorie che si vuole ridurre in minoranza per ragioni ideologiche o politiche.
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