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Romania, è stata disinformazione russa o censura europea? I dubbi



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La Commissione europea e la Corte costituzionale romena dicono le elezioni presidenziali in Romania sono state falsate dalla disinformazione filorussa. Low cost: bastano 270 mila euro sui social per vincere le elezioni in Romania? E siamo sicuri che è disinformazione e non propaganda, ora censurata da Europa e giudici?

Pubblicato il 12 dic 2024

Massimo Borgobello

Avvocato a Udine, co-founder dello Studio Legale Associato BCBLaw, PHD e DPO Certificato 11697:2017



romania disinformazione

Secondo la Commissione europea e la Corte costituzionale romena, le elezioni presidenziali in Romania sono state falsate dalla disinformazione filorussa online: il risultato sono elezioni da rifare e ordine di conservazione dei dati imposto dalla Commissione a Tik Tok, che sarebbe la piattaforma da cui sono partite le notizie false. Il precedente è, comunque, molto serio: vediamo ragioni e implicazioni.

La domanda è: è disinformazione online, manipolazione dell’opinione pubblica o censura di regime…democratico?

Le elezioni in Romania: com’è andata

Le elezioni presidenziali in Romania sono un vero e proprio laboratorio del futuro prossimo in termini di prospettiva di campagna elettorale sui social network.

La notizia è la seguente: il candidato alla presidenza (di estrema destra), Calin Georgescu, ed il suo partito di riferimento, Alleanza per l’unione dei romeni (Aur), sono considerati filorussi e sono stati accusati da Context, testata romena, di aver creato una rete di pagine Facebook false, mascherate da portali di notizie, per amplificare la propaganda e teorie del complotto di vario tipo.

Geogescu è anche popolarissimo su Tik Tok.

Dall’agenzia statunitense Bloomberg, che riprende i dati di due gruppi di ricerca (Reset Tech e Check First, chi ha tempo scopra pure chi siano) non sarebbe esattamente chiaro chi abbia promosso i messaggi politici su Facebook e Instagram pro Georgescu e contro la candidata rivale, Elena Lasconi, ma pare che siano stati spesi – esattamente –  264.909,00 euro in pubblicità.

Su queste basi La Corte costituzionale romena ha annullato le lezioni presidenziali tenutesi a fine novembre, annullando il ballottaggio che avrebbe dovuto tenersi il giorno 8 dicembre.

Fin qui, sembrerebbe di essere ne La fattoria degli animali di Orwell, perché nessuno può impedire di fare campagna elettorale sui social ad un candidato ed al suo partito, anche attaccando l’avversario in modo aggressivo.

Il punto è un altro: gli annunci che descrivevano Georgescu come un “presidente patriota” che difendeva la Romania contro l’establishment politico, mentre Elena Lasconi veniva etichettata come un “diavolo” e una marionetta dell’Occidente, erano sponsorizzati da profili inserzionisti registrati avevano pagine Facebook gestite da amministratori in Romania e si presentavano come siti di notizie o intrattenimento, ma senza informazioni legali o editoriali.

Questo ha determinato l’assenza di trasparenza nel dibattito elettorale, perché i contenuti erano passati come informazione e non come legittima propaganda di un partito o di un candidato.

E’ comunque poco, ma almeno rende comprensibile una vicenda che altrimenti sembrerebbe il colpo di stato di una minoranza – certamente filoeuropea, ma minoranza – elettorale a danno della maggioranza degli elettori romeni, che si sono espressi chiaramente.

Il retention order della Commissione a TikTok

La Commissione europea, attraverso un comunicato, fa sapere che “nel contesto delle elezioni rumene in corso, la Commissione ha intensificato il monitoraggio di TikTok nel quadro della legge sui servizi digitali. Ciò riguarda l’esercizio delle competenze della Commissione nell’ambito della legge sui servizi digitali e non riguarda il processo elettorale rumeno, che è una questione di competenza delle autorità rumene e, in ultima analisi, del popolo rumeno”.

La commissione europea, quindi, ha emanato un retention order, in virtù del quale “TikTok deve conservare i documenti interni e le informazioni riguardanti la progettazione e il funzionamento dei suoi sistemi di raccomandazione, nonché il modo in cui affronta il rischio di manipolazione intenzionale attraverso un uso non autentico coordinato del servizio.

La Commissione ordina la conservazione di documenti e informazioni riguardanti qualsiasi violazione sistematica dei termini di servizio di TikTok che vieti l’uso di funzionalità di monetizzazione per la promozione di contenuti politici sul servizio. L’ordine di mantenimento riguarda le elezioni nazionali nell’Unione europea tra il 24 novembre 2024 e il 31 marzo 2025.

L’ordine fa seguito alle informazioni ricevute dalla Commissione nel contesto delle elezioni rumene in corso, comprese le informazioni recentemente declassificate che indicano ingerenze straniere da parte della Russia”.

Anche in questo caso, a prima vista, gli elementi di valutazione appaiono davvero scarni; qualche indicazione più chiara arriva successivamente.

“L’hub romeno-bulgaro (BROD) dell’Osservatorio europeo dei media digitali – che partecipa anche al sistema di risposta rapida – ha monitorato l’ecosistema online rumeno e ha identificato diverse narrazioni e tattiche di disinformazione come la violazione della legge elettorale, contenuti politici non contrassegnati (anche attraverso influencer) e il sospetto di comportamenti non autentici coordinati”.

In conclusione, anche per mezzo di TikTok vi sarebbero attività di propaganda non trasparente e finalizzata ad aggirare legge elettorale e normativa sulla trasparenza dei contenuti online.

Come valutare la vicenda rumena

Partiamo dal commento di Henna Virkkunen, Vicepresidente esecutiva della Commissione europea con delega alla Sovranità tecnologica, la sicurezza e la democrazia.

“Oggi abbiamo ordinato a TikTok di congelare e conservare tutti i dati e le prove legati alle elezioni rumene, ma anche alle prossime elezioni nell’UE. Questo ordine di conservazione è un passo fondamentale per aiutare gli investigatori a stabilire i fatti e si aggiunge alle nostre richieste formali di informazioni che cercano informazioni a seguito della declassificazione di documenti segreti di ieri. Stiamo anche intensificando i contatti con le autorità di regolamentazione digitali e informatiche in tutta Europa alla luce delle prove emergenti di un’attività sistematica non autentica. Mi impegno a garantire un’applicazione diligente e rigorosa della legge sui servizi digitali”.

L’idea che sia necessario un commissario europeo alla sovranità digitale la dice molto lunga sulla debolezza, effettiva e percepita, della presenza di piattaforme online made in UE: in pratica, la delega stessa è un’ammissione che le opinioni pubbliche degli Stati membri sono in balia dei social network, dei motori  di ricerca e di chi li governa.

Che si coniughi questa delega con sicurezza e democrazia, però, dà un sentore sovietico.

Perché o si ritiene che i cittadini dell’Unione siano talmente cretini da seguire qualunque pifferaio di Hamelin che soffi venti populisti – cosa fatta serenamente per decenni a destra e a sinistra, con messaggi diversi – o si dichiara apertamente che l’opinione pubblica può essere influenzata solo da chi governa… secondo certe linee e non con altre.

Chi aveva paura che il DSA (Digital Service Act) fosse una vero e proprio mezzo di censura può iniziare a dire “Ve lo avevo detto”: lo strumento si presta sia alla creazione di un ambiente online più ecologico, come a vere e proprie forzature governative.

Posto che se la normativa nazionale ed europea prevede che un messaggio elettorale debba essere dichiarato come tale e non spacciato per informazione, dobbiamo renderci conto che i provvedimenti di cui stiamo discutendo vedono come base 270.000 euro di investimenti per vincere un’elezione presidenziale in Romania.

L’enormità di questa premessa è evidente: stiamo parlano del costo di una vettura di lusso o di un appartamento, non di cifre esorbitanti; ciò non di meno, questa disinformazione low cost sarebbe stata sufficiente a vincere le elezioni in Romania, stato cruciale, ora che la Russia è alle porte dell’Europa.

Anche con tutta la buona volontà e le buone intenzioni che si possono attribuire a giudici romeni e Commissione europea, qualcosa non torna, anche perché la prima ad essere danneggiata non sarebbe la democrazia, ma Meta: gli annunci elettorali costano molto di più di quelli informativi…

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