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Sanzione a Clubhouse, Scorza: “Il destino dei nostri dati non si baratta con qualche ora di svago”

Ciò che dovremmo imparare dalla vicenda Clubhouse è che varrebbe la pena, per il futuro, di stare più attenti, di essere meno superficiali, di porci qualche domanda in più prima di lasciarci espropriare di parte della nostra identità personale

Pubblicato il 06 Dic 2022

Guido Scorza

Autorità Garante Privacy

Nella società globale nella quale viviamo che un servizio esista, sia accessibile dal nostro Paese, facile da usare, all’apparenza inoffensivo non dice nulla, ma nulla davvero, sul fatto che non possa esporci a inutili rischi, a limitazioni e compressioni di un diritto fondamentale come la nostra privacy, a conseguenze difficili anche solo da immaginare.

È questa la lezione più importante che la vicenda di Clubhouse dovrebbe consegnarci.

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La sanzione a Clubhouse

La notizia è nota e si è conquistata più attenzione di quella generalmente dedicata a notizie analoghe anche sui media generalisti: il Garante per la protezione dei dati personali ha ingiunto alla società che gestisce Clubhouse, il social network della voce, di pagare una sanzione da due milioni di euro e, soprattutto, le ha ingiunto di adeguare i propri trattamenti di dati personali alle regole del Regolamento Generale sulla protezione dei dati personali.

La maggiore attenzione dei media non è, purtroppo, dovuta a una diffusa scoperta sensibilità verso il tema della protezione dei dati personali ma alla notorietà del servizio destinatario del provvedimento, un servizio che ha generato in fretta curiosità e interesse di milioni di utenti anche in Europa nonostante l’affollamento del mercato nel quale si è inserito.

Bene così, naturalmente.

Più si parla delle regole sulla protezione dei dati personali e dell’importanza di rispettarle per chiunque e da dovunque intenda trattare i dati personali di chi vive in Europa, più si diffonde la conoscenza di un diritto che è sempre più centrale nella vita di tutti noi e sempre più garanzia e strumento di altri diritti e libertà.

I passaggi del provvedimento che possono insegnarci un’importante lezione

Il provvedimento è già stato raccontato e commentato da tanti altrove. Qui preme solo sottolinearne un paio di passaggi dai quali, probabilmente, si può trarre una lezione importante o, almeno, c’è da augurarsi che ciò possa accadere.

Una “dimenticanza” plateale delle regole del gioco

Nella sostanza la prima tra le violazioni contestate a Clubhouse e da quest’ultima candidamente ammessa è quella di aver lanciato la propria attività e aperto il proprio servizio anche in Europa senza pensare affatto che ciò avrebbe implicato il trattamento di dati personali nel vecchio continente e, di conseguenza, la necessità di rispettare le regole dell’ormai noto – per la verità anche oltreoceano – Regolamento Generale sulla protezione dei dati personali (GDPR), la nostra disciplina europea.

Una “dimenticanza” plateale delle regole del gioco che, naturalmente, ha comportato come naturale conseguenza che nessuna, ma proprio nessuna delle garanzie legali, tecnologiche, informative e di processo che la disciplina europea riconosce agli interessati, per diversi mesi, sia stata garantita agli utenti europei della piattaforma.

Nessuna informativa, nessun rispetto dei principi della privacy by default e by design, nessuna attenzione all’identificazione delle finalità del trattamento e alle relative basi giuridiche, nessuna valutazione di impatto su trattamenti pure sistematici, automatizzati, relativi a milioni di persone, inclusa la profilazione.

Niente di niente.

Come nel far west digitale

Zero diritti, zero garanzie, come si fosse ancora in un far west digitale, come se decenni di diritto alla privacy europeo non avessero prodotto alcun risultato, come se i dati personali di milioni di persone potessero essere raccolti, trattati, conservati, utilizzati per far business senza neppure informare i diretti interessati, senza nominare un rappresentante in Europa, senza nominare un solo fornitore di servizi responsabile del trattamento, senza impartirgli alcuna istruzione.

Poi, per carità, ricevuta la prima richiesta di informazioni del Garante, la società si è avveduta della dimenticanza e ha iniziato un percorso, non esente da un certo numero di sviste, di progressivo, anche se incompleto, adeguamento alla disciplina europea.

Troppa noncuranza sul destino dei nostri dati personali

Ma è il debutto del servizio in Europa e nel nostro Paese che potrebbe e dovrebbe insegnarci qualcosa: decine di migliaia di persone in Italia (ndr 90 mila a agosto del 2021) si sono rapidamente lasciate attrarre dall’applicazione in questione completamente incuranti del destino dei loro dati personali, della loro privacy, della loro identità personali, della sorte di conversazioni più o meno pubbliche, più o meno aperte, più o meno libere e del destino di decine di migliaia, forse centinaia di migliaia, di numeri di telefono di terzi – all’oscuro della stessa esistenza dell’app – condivisi, a insaputa dei loro titolari, con la società che gestisce il servizio perché li utilizzasse per promuoverlo.

Niente, naturalmente, che non sia già accaduto centinaia o, forse, migliaia di altre volte con altrettante applicazioni che ci hanno conquistato, attratti, catturato così tanto da non farci avvertire l’esigenza di porci qualche domanda sulla sorte dei nostri dati e della nostra identità nella dimensione digitale.

Ma, in questo caso, anche i media generalisti – quegli stessi che oggi raccontano con enfasi non comune il provvedimento del Garante – e decine o centinaia di cosiddetti influencer hanno, naturalmente senza volerlo, tirato la volata dell’applicazione senza porsi, con alcune importanti e apprezzabili eccezioni, il problema di cosa e quanto stessimo cedendo ai fornitori del servizio in cambio di qualche ora di svago, confronto, intrattenimento.

Conclusioni

Intendiamoci nel caso specifico, probabilmente, per quantità, qualità e finalità, i trattamenti posti in essere da Clubhouse non sono stati – e non sono – tra i più preoccupanti e pervasivi ai quali i nostri dati personali sono esposti e sono stati esposti nella dimensione digitale ma ciò non toglie che, probabilmente, varrebbe la pena, per il futuro, di stare più attenti, di essere meno superficiali, di porci qualche domanda in più prima di lasciarci espropriare di parte della nostra identità personale e, magari, di consegnare a una società privata anche i dati di nostri amici e conoscenti.

Le regole ci sono, gli strumenti e le Autorità che li fanno valere anche – come dimostra il provvedimento appena adottato dal Garante per la privacy – ma niente è tanto efficace in termini di difesa dei nostri diritti come l’educazione, la cultura e la consapevolezza alle quali non dovremmo mai rinunciare neppure davanti alla più attraente tra le tentazioni digitali.

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