Con il nuovo articolo 9-novies aggiunto al Dl.52/2001 (modificato appunto dal Dl.127/21), un lavoratore sottoposto a verifica solo a fine giornata e risultato senza green pass valido, può dimostrare di essere legittimamente entrato unicamente mostrando il certificato verde integrale. Il QR Code non basta poiché non dà immediata visibilità della data ed ora di scadenza. Il certificato integrale, fatto per essere piegato e nascosto alla vista di chiunque, contiene molte più informazioni, inclusa la data di scadenza e permette quindi di dimostrare la legittimità del proprio comportamento, ma questo può avvenire solo al prezzo di rinunciare alla propria riservatezza.
Si continua, dunque, a sottovalutare l’importanza del diritto alla privacy?
Scadenza del green pass a lavoro: un tema molto delicato
Il delicato tema della scadenza dei green pass qualora coincida con l’orario lavorativo o cada durante un turno di lavoro si inserisce in un contesto caratterizzato dalla confusione normativa, dalla stratificazione di decreti, correttivi, modifiche in sede di conversione nonché dall’abbondanza di F.A.Q. pubblicate sul sito del governo (le famigerate Frequently Asked Questions).
Come è noto, ogni lavoratore è tenuto a possedere e poter esibire un valido Green Pass per poter accedere ai luoghi di lavoro. Il Certificato Verde ha una durata variabile in funzione della ragione che ne ha determinato l’emissione, in sintesi, vaccinazione, guarigione, tampone. Per i Green Pass da tampone è stata stabilita una durata di poche ore. Molti lavoratori, desiderando ricorrere al Green Pass da tampone, hanno organizzato la propria agenda per fare in modo che il tampone effettuato possa coprire il maggior numero di giornata di lavoro possibile, destreggiandosi tra orari di prelievo, orario di ingresso in azienda e riuscendo ad ottimizzare il numero dei tamponi rispetto ai giorni di lavoro e di servizio.
Per questa ragione è particolarmente importante definire in modo esatto cosa può accadere qualora un Green Pass scada durante la giornata, anche perché da questa circostanza possono discendere sanzioni per la violazione dell’obbligo di possesso del green pass e sanzioni disciplinari per violazione delle norme aziendali in materia di prevenzione e sicurezza.
Questo delicato aspetto è stato ignorato dal legislatore per settimane, dando luogo a episodi che hanno tristemente popolato le recenti cronache. Basta richiamare alla memoria il caso delle maestre che, non potendo esibire un green pass valido a metà della giornata lavorativa, sono state allontanate dalle rispettive aule con modi roboanti e umilianti.
Forse anche grazie a questi episodi, è stata pubblicata una FAQ sul sito del governo volta a regolare o indirizzare l’applicazione della norma.
Cosa prevede la norma
Partendo proprio dalla norma, è necessario osservare e valorizzare il tenore letterale e il significato proprio delle parole: il certificato verde è richiesto solo per accedere ai luoghi di lavoro. Solo questo è il precetto e non è legittimo sovvertire la sua portata arrivando a pretendere il possesso del medesimo titolo per legittimare la permanenza nei luoghi di lavoro, qualora il lavoratore fosse in grado di assolvere al proprio obbligo in sede di primo accesso.
La norma recita così: “ … a chiunque svolge una attività lavorativa nel settore privato è fatto obbligo, ai fini dell’accesso ai luoghi in cui la predetta attività è svolta, di possedere e di esibire, su richiesta, la certificazione verde COVID-19 di cui all’articolo 9, comma 2 … “
La FAQ pubblicata dal governo puntualizza l’ovvio e lo fa in modo pacato, non imperativo, con la modesta valenza che una FAQ può avere. Il chiarimento, decisamente non cogente e non assimilabile ad una fonte del diritto, è coerente con la lettura attenta della norma e non aggiunge nulla a ciò che ogni interprete della norma applicherà semplicemente attuando l’ordinaria diligenza ed evitando interpretazioni capziose o irricevibili.
Testo della FAQ: “Il green pass deve essere valido nel momento in cui il lavoratore effettua il primo accesso quotidiano alla sede di servizio e può scadere durante l’orario di lavoro, senza la necessità di allontanamento del suo possessore.”
La disarmante linearità di questa norma viene frustrata da un altro obbligo previsto dalla stessa legge ma a carico dei datori di lavoro: il controllo del green pass.
È noto che, nell’ambito privato, solo il datore di lavoro ha l’insindacabile diritto di decidere le modalità di controllo da attuare nella propria azienda. Questa scelta è talmente libera che non è nemmeno prevista la consultazione preventiva del comitato covid o delle rappresentanze sindacali o delle funzioni interne che presidiano la sicurezza del lavoro. Le linee guida vigenti nel settore pubblico suggeriscono differenti modelli di controllo che, variamente combinati, permettono di applicare i controlli in qualunque contesto ma che si conciliano molto male con la norma che, ricordiamolo, prevede il possesso del Green Pass solo all’atto del primo ingresso.
Sono infatti possibili, lecite e previste queste forme di controllo:
- controlli all’ingresso sulla totalità dei lavoratori
- controlli all’ingresso, su un campione limitato di lavoratori
- controlli durante la giornata di lavoro sulla totalità dei lavoratori
- controlli durante la giornata di lavoro su un campione limitato di lavoratori
- forme di controllo variamente combinate e funzionali ai turni, agli ingressi, alla tipologia di lavoro e alle particolarità dell’impresa
Sia con un minimo di fantasia, che con un briciolo di lungimiranza, anche in completa assenza della benché minima esperienza nella gestione di un’impresa, pare evidente a chiunque che l’unico modello di verifica conciliabile con il testo di legge sia unicamente il primo della lista: il controllo perimetrale, all’atto del primo ingresso nei luoghi di lavoro. Ogni altra forma di controllo, successivo al primo ingresso, genera dei mostri che si spera di non dover affrontare ma che, inevitabilmente, travolgeranno e strazieranno molti malcapitati.
La norma, in sostanza, chiede di possedere un documento nel momento in cui si varca la soglia d’ingresso. La stessa norma autorizza ad effettuare i controlli anche all’uscita, a distanza di 8 ore, con l’evidente rischio che persone perfettamente in regola non siano in condizione di esibire tale documento e ne risultino sprovviste.
Se si considera la breve durata del Green Pass rilasciato a seguito di tampone (48 ore) e il millimetrico calcolo atto a coprire tre giornate lavorative con un unico tampone, appare scontato che questa non sia una semplice ipotesi ma una situazione costante, destinata a ripetersi ovunque ed in modo sistematico.
A questo va aggiunto il fatto che la medesima norma prevede pesanti sanzioni, sia di natura pecuniaria, sia di natura disciplinare, per i lavoratori che non siano in grado di dimostrare di aver adempiuto correttamente ai propri doveri. Giova ricordare nuovamente che l’unico dovere del lavoratore è e rimane il fatto di possedere un green pass valido all’atto del primo ingresso.
L’articolo 9-novies
Come se questo scenario kafkiano dipendesse da una mera questione interpretativa, il Governo ha provveduto trasformando la nota FAQ in una ben più nobile norma di legge, aggiungendo l’articolo 9-novies al Dl.52/2001 (modificato appunto dal Dl.127/21). Tralascio i rimbalzi tra norma che modifica il decreto di conversione novellando il rinvio ecc. ecc. Basti in questa sede sapere che l’art. 9-novies ora e legge e così recita:
«Art. 9-novies. – (Scadenza delle certificazioni verdi COVID-19 in corso di prestazione lavorativa) – 1. Per i lavoratori dipendenti pubblici e privati la scadenza della validità della certificazione verde COVID-19 in corso di prestazione lavorativa non dà luogo alle sanzioni previste, rispettivamente, dagli articoli 9-quinquies, commi 7 e 8, e 9-septies, commi 8 e 9. Nei casi di cui al precedente periodo la permanenza del lavoratore sul luogo di lavoro è consentita esclusivamente per il tempo necessario a portare a termine il turno di lavoro».
La FAQ, senza valore di legge, pur non aggiungendo nulla alla norma, ha aiutato decisamente di più di questo nuovo articolo che, con un testo scollegato dal resto del provvedimento, complica le cose introducendo nuovi dubbi e difficoltà.
L’art 9-novies è lontano dal mettere armonia tra l’obbligo dei lavoratori e il dovere dei datori di lavoro, non coordina la necessità di possesso del Green Pass al primo ingresso con i necessari controlli, anche successivi. Semplicemente, la norma rende inapplicabili le sanzioni, dando quindi per scontato che vi sia una violazione da sanzionare. Inoltre, viene neutralizzata la conseguente espulsione dai luoghi di lavoro, frustrando il già precario contenuto prevenzionistico del provvedimento e palesando una malcelata rassegnazione rispetto al fatto che si possano verificare situazioni antipatiche come diretta conseguenza del non risolto conflitto tra norme.
Le tre vie possibili e quella scelta dal Governo
In altri termini, sarebbe stato possibile agire su almeno due fronti ma si è scelta una terza strada, peggiorativa rispetto allo scenario preesistente.
Per sanare due norme in conflitto tra di loro, una delle due deve essere qualificata come errata e, quindi, corretta. Questo processo tuttavia è doloroso, specialmente per l’orgoglio del legislatore.
La prima tra le possibili soluzioni potrebbe essere il tentativo di rendere coerente il momento della verifica con il momento del possesso del green pass. Questo avrebbe necessariamente limitato le forme di verifica alle sole localizzate sul perimetro dell’azienda, al momento del primo ingresso di ciascun lavoratore. Naturalmente sarebbe stata una limitazione difficilmente applicabile in molti contesti privi di tornelli, portineria o perimetro definito.
La seconda possibile soluzione avrebbe potuto salvaguardare la libertà dei controlli, autorizzandoli in qualsiasi momento della giornata, ma dando al lavoratore la possibilità di dimostrare, ora per allora, di aver adempiuto all’obbligo di possesso del green pass all’atto del primo ingresso. Questo avrebbe probabilmente comportato una modifica della logica di controllo del green pass che, ad oggi, risulta non valido un minuto dopo la scadenza che, ricordiamolo, può essere di sole 48 ore dal prelievo del tampone. Forse, aver portato la scadenza alla mezzanotte del secondo o del terzo giorno, avrebbe probabilmente evitato molti conflitti, ma sarebbero comunque rimasti non gestiti i casi di lavoro notturno o su tre turni.
Dove sta il problema
La soluzione adottata è, di fatto, un mostro giuridico e rende complicato adempiere tanto ai lavoratori quanto ai datori di lavoro.
Come spesso accade, il vizio risiede nell’assoluta noncuranza del diritto alla protezione dei dati personali e il legislatore ha perso l’ennesima occasione per dimostrarsi competente.
Ogni lavoratore ha diritto di dimostrare il possesso del proprio Green Pass esibendo il solo QR Code. Questo è quanto prevede la legge in ossequio ai principi contenuti nel GDPR. Esibire il QR Code e, all’atto della verifica, ricevere come esito una schermata verde o rossa, costituisce la irrinunciabile garanzia di protezione e di riservatezza sulle circostanze che hanno dato luogo all’emissione del Green Pass e, indirettamente, sullo stato vaccinale.
Ogni lavoratore può certamente rendere pubbliche queste informazioni, ma questo deve poter essere una propria libera scelta. Qualsiasi altro scenario equivarrebbe alla pubblicità coatta di un dato che, a quel punto, non potrebbe più dirsi riservato: diventerebbe un dato pubblico. Nulla vieterebbe di raccogliere queste informazioni in un pubblico registro e, quindi, renderle conoscibili da chiunque. Questo non è un tabù, anzi, è uno scenario già previsto per i dati anagrafici, per il catasto degli immobili, per il pubblico registro dei veicoli e delle imbarcazioni, ecc.
Certamente bisogna scegliere: si vuole rendere pubblico lo stato vaccinale, o meglio, la causa di emissione del green pass, oppure lo si vuole continuare a considerare un dato riservato? La questione è tutta qui.
Pensare che questo diritto sia poca cosa significa non rendersi conto che il mondo è più complesso rispetto alla propria minuscola esistenza e che esistono situazioni infinitamente più articolate della gabbia dorata in cui bivaccano le proprie illusioni.
Il legislatore, purtroppo, considera questo come un diritto di scarsa rilevanza, quasi un ostacolo e, forse, sacrificabile a favore della praticità dei controlli del green pass.
Conclusioni
Dover rinunciare al diritto alla propria riservatezza è una violenza, un sopruso intollerabile per chi vive situazioni di discriminazione. In particolare sul luogo di lavoro, fin dagli anni 70 si è capito che la discriminazione, i soprusi, l’iniquità e l’ingiustizia sono evitabili unicamente garantendo la possibilità di tacere ciò che il lavoratore desidera tacere, lasciando la libertà a ciascuno di controllare e condividere o meno gli aspetti più intimi e personali della propria esistenza.
Oggi, con un piccolo articolo di legge si mette in discussione l’intero apparato normativo a tutela della dignità dei lavoratori.