l'analisi

Sito INPS e la privacy: ecco come si poteva evitare l’autogol

L’INPS era in condizione di prevedere i rischi e adottare misure tecniche e organizzative adeguate a evitarli e probabilmente la presenza di un DPO formalmente nominato avrebbe aiutato ad affrontare i problemi in modo più risoluto ed efficace

Pubblicato il 13 Apr 2020

Carola Caputo

avvocato, consulente di Studio Legale Lisi, esperta in diritto della protezione dei dati personali

Mario Montano

avvocato - consulente ed esperto in ICT Law – Studio Legale Lisi

inps2

La notizia dell’attacco hacker diffusa dal Presidente di INPS e da alcuni esponenti del Governo si è rivelata un clamoroso autogol, non solo dal punto di vista della comunicazione: dichiarare di aver già subito, nei giorni precedenti al primo aprile, numerosi attacchi hacker e, di fronte all’evidenza della violazione, continuare a consentire il funzionamento del sito, ha reso ancora più palesi sia i limiti strutturali dei sistemi informatici dell’Istituto e sia la mancanza di misure tecniche e organizzative adeguate, imposte dal Regolamento europeo in materia di protezione dei dati personali (GDPR)[1].

L’istruttoria del Garante

A rendere il quadro ancora più pesante hanno contribuito coloro che nel tentativo nobile di denunciare quanto stava avvenendo sul sito INPS, hanno divulgato i dati personali altrui sui social (e non solo), tanto da indurre il Garante ad “avviare un’istruttoria allo scopo di effettuare opportune verifiche e valutare l’adeguatezza delle contromisure adottate dall’Ente e gli interventi necessari a tutelare i diritti e le libertà degli interessati”, richiamando l’attenzione “sulla assoluta necessità che chiunque sia venuto a conoscenza di dati personali altrui non li utilizzi ed eviti di comunicarli a terzi o diffonderli, ad esempio sui canali social, rivolgendosi piuttosto allo stesso Garante per segnalare eventuali aspetti rilevanti”.

A parte ogni ipotesi sulle cause del data breach – ancora da chiarire – è il caso di ricordare che, secondo il GDPR, una violazione di dati personali si sostanzia in una “violazione di sicurezza che comporta accidentalmente o in modo illecito la divulgazione non autorizzata o l’accesso ai dati personali trasmessi, conservati o comunque trattati”[2]. Un evento quindi che, se non affrontato in modo adeguato e tempestivo, può provocare danni fisici, materiali o immateriali, come la perdita del controllo dei propri dati personali, il furto o l’usurpazione di identità, perdite finanziarie, pregiudizio alla reputazione, o qualsiasi altro danno economico o sociale significativo alla persona fisica interessata.[3] Tutte conseguenze drammaticamente verosimili della violazione subita dagli utenti registrati sul sito dell’INPS, i cui dati personali sono stati resi indebitamente accessibili a un numero imprecisato di soggetti che, loro malgrado, sono stati dirottati sul profilo sbagliato.

Si è appreso che l’INPS ha prontamente notificato al Garante per la protezione dei dati personali la violazione, entro le 72 ore previste, chiarendone la natura, l’entità e le probabili conseguenze sui diritti e le libertà degli interessati coinvolti. Considerata la gravità e la portata del data breach, la stessa INPS ha di poi fornito una comunicazione in modo trasparente agli interessati coinvolti, anche attraverso il proprio sito istituzionale[4], attivando altresì una casella di posta elettronica (violazionedatigdpr@inps.it) utilizzabile, esclusivamente dai soggetti i cui dati siano stati interessati dalla violazione, per le segnalazioni all’INPS, alle quali allegare eventuali evidenze documentali.

L’Istituto si è impegnata così a verificare tutte le segnalazioni ricevute e ad adottare ogni ulteriore misura tecnica e organizzativa adeguata di protezione dei dati personali che dovesse rendersi necessaria.

Nella notifica, inoltre, INPS – come di dovere – avrà senz’altro provveduto a descrivere le misure adottate (o di cui si propone l’adozione) per porre rimedio alla violazione e per attenuarne i possibili effetti negativi[5].

Conclusioni

Infine, dichiarare che l’incidente occorso al sito Inps nella mattinata del primo aprile – giorno di apertura della “corsa” alle richieste di indennità previste dal Decreto “Cura Italia” (D.L. 17 marzo 2020, n. 18) –  fosse stato causato da un non meglio precisato attacco hacker, è apparso – non solo agli esperti in campo informatico, ma anche a molti commentatori di buon senso – come un maldestro tentativo di tergiversare sulla natura e sulla gravità dell’accaduto, che integra, con tutta evidenza, una grave violazione dei dati personali.

Siamo nell’epoca della comunicazione liquida e le cosiddette “fake news” rappresentano una forma di distorsione e manipolazione dell’informazione che compromette la percezione della realtà, al di fuori di ogni regola di trasparenza e corretta informazione. Se, poi, queste fake news ipoteticamente dovessero provenire da un Ente pubblico e dovessero essere amplificate dalle dichiarazioni di esponenti del Governo, allora si verificherebbe un corto circuito che arriverebbe a minare alle radici la credibilità e la fiducia nelle istituzioni democratiche.

Nessun sistema informatico può dirsi sicuro e inviolabile. È innegabile, però, che l’INPS fosse in condizione di prevedere i rischi e adottare le misure tecniche e organizzative adeguate a evitarli e probabilmente la presenza di un DPO formalmente nominato avrebbe aiutato ad affrontare i problemi in modo più risoluto ed efficace[6]. Non è difficile immaginare che le ripercussioni di questa vicenda saranno tutt’altro che trascurabili, soprattutto in un momento storico di profondo turbamento sociale, economico e morale.

________________________________________________________________

  1. Lo scenario dell’attacco hacker peraltro non è ancora stato del tutto abbandonato dalle istituzioni, tanto che almeno fino al 2 aprile, il Ministro del Lavoro Catalfo ha dichiarato ai microfoni di Rtl che “stamattina, all’una, le domande pervenute erano già 517.529, e contemporaneamente il sito, sino a mezzanotte, ha subito un ulteriore attacco molto importante ma è riuscito comunque a rimanere in piedi”. Scenario che se dovesse risultare non veritiero – almeno ipoteticamente – potrebbe portare all’apertura di un procedimento penale con l’accusa di simulazione di reato ai sensi dell’art. 367 c.p.
  2. Cfr. art. 4, par. 1, n. 12, GDPR.
  3. Cfr. Cons. n. 85, GDPR.
  4. Cfr. art. 34, GDPR.
  5. Cfr. art. 33, GDPR.
  6. Infatti, si è appreso che al momento dell’incidente informatico l’Inps non aveva un responsabile per la protezione dei dati in carica (e il DPO andrebbe anche indicato nella notificazione al Garante…).

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