Dopo la sentenza Ue

Tabulati telefonici, il nodo dell’acquisizione e le diverse visioni nei tribunali italiani: i casi

Il Gip di Rieti propone alla Corte di Giustizia UE la questione pregiudiziale relativa all’acquisizione dei tabulati telefonici; secondo il Gip di Tivoli e la Corte di Assise di Napoli, invece, la sentenza del 2 marzo 2021 emessa nella Causa C 746/18m non ha efficacia diretta nel nostro ordinamento

Pubblicato il 21 Giu 2021

Massimo Borgobello

Avvocato a Udine, co-founder dello Studio Legale Associato BCBLaw, PHD e DPO Certificato 11697:2017

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Con la sentenza 2 marzo 2021, emessa nella causa C 746/18m la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha affermato che i tabulati telefonici di una persona indagata possono essere acquisiti dall’Autorità Giudiziaria solo in seguito a vaglio o autorizzazione di un’autorità indipendente o di un giudice terzo e imparziale.

Tabulati telefonici per indagini, dubbi di legittimità dopo sentenza Corte di Giustizia Ue

Il 25 aprile scorso il Gip di Roma ha affermato, in un decreto, che questa sentenza ha ricadute immediate nel nostro ordinamento e che i tabulati telefonici possono essere acquisiti solo nelle ipotesi in cui sono ammesse le intercettazioni.

Nel frattempo, Il Tribunale di Rieti ha ritenuto necessario effettuare un autonomo rinvio pregiudiziale alla Corte UE per valutare la prassi italiana, mentre altri tribunali hanno escluso l’applicazione diretta.

La vicenda

Nel marzo scorso una sentenza della Corte di Giustizia europea ha affermato che i tabulati telefonici sono dati che devono essere trattati secondo una prassi “seria”, e che per la loro acquisizione in sede di indagini preliminari è necessario il vaglio di un’autorità terza e indipendente rispetto a quella inquirente.

Può essere un’autorità garante o un giudice, ma si esclude categoricamente che sia l’autorità giudiziaria procedente.

In Italia l’acquisizione dei tabulati telefonici era regolata dal Codice della privacy e la procedura diretta su disposizione del pubblico ministero da quanto affermato in alcune sentenze della Corte di Cassazione espresse a Sezioni unite.

La sentenza della Corte di Giustizia, quindi, demolisce anche l’impianto normativo italiano, e si deve tenere presente che anche una prassi amministrativa – e, a maggior ragione, una interpretazione giurisprudenziale – è fatto idoneo a ledere i diritti del cittadino dell’Unione.

La questione, quindi, non è se la normativa nazionale “tenga” o meno: è capire come gestire processualmente la situazione, sia con riferimento ai procedimenti che siano già in fase di processo, sia nelle ipotesi in cui si versi ancora nella fase delle indagini preliminari.

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Le soluzioni: Roma, Rieti, Tivoli e Napoli

Il primo decreto registrato in materia, come detto, è quello del Gip di Roma dell’aprile scorso: un’interpretazione prudente, rispettosa della sentenza europea e, sostanzialmente. “contraria” all’ipertrofia investigativa delle procure.

Nel maggio scorso il Tribunale di Rieti ha proposto la questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia europea, partendo che l’applicabilità diretta della sentenza determinerebbe serie difficoltà in via di prassi.

Rilievo, peraltro, corretto: nel nostro sistema, infatti, “gravare” l’ufficio del giudice per le indagini preliminari anche di questo compito richiederebbe, almeno, l’ampliamento della pianta organica (servirebbero, cioè, più magistrati).

In termini di stretto diritto, il Tribunale di Rieti afferma che «tali principi non possano costituire presupposto per una diretta disapplicazione della normativa nazionale in ipotesi contrastante: ma debba essere sollecitato un espresso chiarimento da parte del Giudice europeo in punto di efficacia della predetta sentenza interpretativa, in primo luogo valutando la possibilità di ritenere che il P.M. per come disegnato dall’ordinamento italiano offra sufficienti garanzie di giurisdizionalità, per continuare a essere titolare in proprio di tale potere di acquisizione, considerando anche il vaglio comunque rimesso ex post al giudice che deve emettere la decisione; ovvero di modulare gli effetti della sentenza in chiave irretroattiva, al fine di non pregiudicare fondamentali esigenze di certezza del diritto e “certezza investigativa”, limitatamente ai giudizi tuttora pendenti, in chiave di prevenzione e repressione di gravi reati, nell’ottica anche di consentire un possibile e auspicabile intervento del legislatore nazionale in materia senza che si realizzino ingiustificate disparità di trattamento con altri istituti della legislazione nazionale, ad esempio in tema di intercettazioni telefoniche» (ordinanza del Tribunale di Rieti del 21 maggio 2021, pubblicata sul sito giurisprudenzapenale.com).

In parole povere, se la sentenza della Corte di Giustizia dovesse essere “applicata” senza correttivi per i procedimenti in corso, molti processi sarebbero pregiudicati e si chiede, quindi, se si possa leggere in chiave non retroattiva la sentenza stessa, fintanto che il legislatore italiano non abbia posto rimedio alla lacuna.

Per il Gip di Tivoli, invece, non è possibile dare diretta applicazione alla sentenza della Corte Ue, per la genericità dei principi espressi e per le peculiarità del nostro ordinamento.

Secondo la Corte d’Assise di Napoli «la disciplina italiana di conservazione dei dati di cui all’art. 132 d. lgs. 196/2003 deve ritenersi compatibile con le direttive in tema di privacy, e ciò poiché la deroga stabilita dalla norma alla riservatezza delle comunicazioni è prevista dall’art. 132 cit. per un periodo di tempo limitato, ha come esclusivo obiettivo l’accertamento e la repressione dei reati ed è subordinata alla emissione di un provvedimento di una autorità giurisdizionale indipendente (come è in Italia il PM)».

La Corte d’assise di Napoli conclude, quindi affermando che «l’interpretazione della direttiva espressa nella citata sentenza CGUE non possa avere effetti applicativi immediati e diretti per la indeterminatezza del riferimento ai casi nei quali i dati del traffico telematico e telefonico e di ogni altra limitata ingerenza della privacy possono essere acquisiti, con la conseguente necessità che il regime di acquisizione sia demandato alla legge nazionale e, certamente, non alla mera elaborazione giurisprudenziale» (Corte d’Assise di Napoli, ordinanza del 16 giugno 2021, pubblicata sul sito giurisprudenzapenale.com).

Conclusioni

In Italia la cultura del diritto alla riservatezza è ancora molto poco sviluppata e la sensibilità comune è molto vicina all’idea che per reprimere i reati sia giusto e necessario rinunciare a parti importanti della propria libertà.

Il Tribunale di Rieti ha scelto una via rispettosa del diritto nazionale e comunitario quando ha affermato che la difficolta sostanziale per il nostro ordinamento giudiziario richiede – almeno – un’interpretazione del Giudice dell’Unione.

Il Gip di Tivoli e la Corte d’Assise di Napoli, invece, sono partiti entrambi dall’erroneo convincimento per cui il pubblico ministero sia un’autorità “indipendente” e terza, come richiesto dalla Corte UE.

Il fatto che si tratti di un’autorità giudiziaria pubblica che persegue finalità pubblicistiche non deve essere confuso con la terzietà e con l’indipendenza dell’organo: in questo, il presupposto appare gravato da un errore interpretativo macroscopico, retaggio del sistema giudiziario inquisitorio vigente prima del 1988.

In conclusione, “passare oltre” il problema dell’acquisizione dei tabulati in sede processuale è l’espressione di una battaglia di retroguardia che verrà persa malamente: le ripercussioni processuali e procedurali si riproporranno in gradi di giudizio successivi, fino all’inevitabile esito finale.

Scelte di questo tipo possono, quindi, essere soltanto fondate sul convincimento che il legislatore interverrà con una normativa transitoria che “salvi” le acquisizioni dei tabulati per i processi in corso: al lettore il giudizio su questo modo di procedere.

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