Il problema dell’utilizzo degli smartphone e dell’utilizzo dei social media, da parte soprattutto di bambini e adolescenti, rimane al centro dell’attenzione della comunità scientifica, del mondo dell’informazione, di psicologi ed educatori, nonostante guerre e cambiamenti climatici alimentino giustamente le preoccupazioni di ogni essere umano (cosciente e informato).
Partiamo dalla clamorosa notizia che arriva dall’altra parte dell’Atlantico, dove 41 Stati hanno fatto causa a Meta sostenendo che danneggia i bambini inserendo funzionalità che creano dipendenza su Instagram e Facebook. L’azione è lo sbocco di un’indagine partita nel 2021 e avviata dai procuratori generali, repubblicani e democratici, per verificare se la società avesse violato le leggi sulla protezione dei consumatori promuovendo l’app e altri prodotti di social networking per bambini e adolescenti.
L’indagine sulle tecniche per rendere gli adolescenti “dipendenti” dai social
I procuratori generali statali citano come parte delle loro prove documenti interni di Meta resi pubblici da Frances Haugen, ex dipendente di Facebook, pubblicati dal Wall Street Journal nel 2021 con il nome di “Facebook Files”. Tra questi documenti, centinaia di pagine sul comportamento degli utenti adolescenti e sugli sforzi di Meta per rendere la piattaforma per loro più allettante. In base al lavoro svolto sull’esperienza utente e mediante sondaggi con migliaia di utenti Instagram, i ricercatori di Meta hanno concluso che per un rilevante numero di adolescenti (soprattutto di sesso femminile) vulnerabili in termini di salute mentale Instagram presentava grossi rischi.
In uno di questi documenti interni, un responsabile della ricerca scrive ai colleghi che “Le adolescenti hanno spiegato che non piace loro la quantità di tempo trascorsa sull’app, ma si sentono in dovere di essere presenti; si sentono “dipendenti”, e, ben sapendo che ciò che vedono è dannoso per la loro salute mentale, non sono in grado di smettere”. Sempre secondo quanto scritto dai ricercatori aziendali, “Il 32% delle ragazze adolescenti ha affermato che quando si sentivano male con il proprio corpo, Instagram le faceva sentire peggio”. Citando la sensibilità della piattaforma “highlight reel” e l’attenzione al corpo degli utenti, i ricercatori hanno concluso che “i confronti su Instagram possono cambiare modo in cui le giovani donne vedono e descrivono loro stesse”.
I procuratori generali affermano che l’indagine si concentra sulle tecniche utilizzate per aumentare la frequenza e la durata del coinvolgimento dei giovani utenti, nonché sui danni che potrebbero essere causati agganciando bambini sulle piattaforme utilizzando tattiche dannose e manipolative.
Così Meta sfrutta i giovani a scopo di lucro
Una denuncia federale sostiene che Meta si è impegnata in un “programma per sfruttare i giovani utenti a scopo di lucro” ingannandoli sulle caratteristiche di sicurezza e sulla prevalenza di contenuti dannosi, raccogliendo i loro dati e violando le leggi federali sulla loro privacy. Funzionari statali affermano che la società ha consapevolmente implementato modifiche per trattenere i bambini sul sito a scapito del loro benessere, violando le leggi sulla tutela dei consumatori. “Nonostante la schiacciante ricerca interna, l’analisi di esperti indipendenti e i dati pubblici, secondo cui le sue piattaforme di social media danneggiano i giovani utenti, Meta continua a rifiutarsi di abbandonare l’uso di funzionalità dannose e ha invece raddoppiato i suoi sforzi per travisare, nascondere e minimizzare l’impatto di queste caratteristiche sulla salute mentale e fisica dei giovani utenti”. Le accuse segnano un raro accordo bipartisan e sottolineano la diffusa preoccupazione tra i leader di governo che i social network danneggino gli utenti più giovani privilegiando il coinvolgimento rispetto alla sicurezza. Le cause dei 41 Stati fanno seguito a lunghe discussioni tra essi e Meta riguardo a un possibile accordo con la società per riconoscere i presunti rischi dei suoi prodotti e limitare specifiche caratteristiche di progettazione che, a loro avviso, aggravano i problemi di salute mentale degli utenti più giovani.
Il muro alzato da Meta
I colloqui sono falliti, secondo Phil Weiser, procuratore generale del Colorado, perché Meta non era disposta a modificare i suoi prodotti in modo da ridurne l’uso compulsivo, aggiungendo che ai giovani sono state fornite caratteristiche “che li portano in buchi oscuri”. “Se Meta riconosce le preoccupazioni che abbiamo identificato e s’impegna ad affrontare i danni, i colloqui possono riprendere”. Meta, tramite la portavoce Liza Crenshaw, ha dichiarato che la società è “delusa che, invece di lavorare in modo produttivo con aziende di tutto il settore per creare standard chiari e adeguati all’età, i procuratori generali abbiano scelto questa strada”.
Dall’altro lato, questi fanno affidamento sul fatto che le pressioni da più parti, anche quelle normative, potrebbero costringere l’azienda a cambiare la sua condotta. Sanzioni civili, cambiamenti nelle pratiche commerciali e risarcimenti sono tutti potenziali conseguenze.
Le rivelazioni della Haugen del 2021, diffuse dal WSJ, hanno inaugurato una resa dei conti politica: i legislatori hanno tentato di avviare iniziative per limitare l’uso dei social media da parte dei bambini, mentre i regolatori hanno rinnovato il controllo sulle pratiche di sicurezza di Meta.
Iniziative sparse degli Stati e azioni legali
Tuttavia, a livello federale si è fatto poco o nulla, almeno finora. I singoli Stati, invece, hanno approvato nuove tutele sulla privacy e sulla sicurezza on line dei minori. Arkansas e Utah avevano adottato leggi che vietavano l’uso dei social media ai minori di 13 anni e richiedevano ai minori di 18 anni di ottenere il consenso dei genitori per accedervi. La California aveva approvato norme che imponevano alle aziende tecnologiche di controllare i rischi dei propri prodotti e di inserire protezioni di sicurezza e privacy. Vi è da rilevare che giudici federali hanno recentemente cassato le leggi di California e Arkansas affermando che potrebbero violare il famoso Primo Emendamento (sulla libertà d’espressione) e sollevando dubbi sulla loro effettiva capacità di tutelare i minori.
Allo stesso tempo, azioni legali sono state intentate da genitori e distretti scolastici. In esse si imputa a Meta, TikTok e altre piattaforme di peggiorare la crisi di salute mentale dei giovani e di approfondire i problemi di ansia, depressione tra gli studenti.
Sulla questione è intervenuta recentemente l’Autorità federale per la tutela della salute pubblica degli USA, il Surgeon General. In un documento ufficiale, egli ha sostenuto che l’uso eccessivo dei social media da bambino può portare a un rischio maggiore di cattiva salute mentale, inclusi problemi di sonno o insoddisfazione psico-fisica.
Meta negli ultimi tempi ha reso pubbliche modifiche alle politiche e ai prodotti al fine di rendere le sue app più sicure; tra esse, strumenti per i genitori mediante i quali monitorare l’attività dei figli, l’inserimento di avvisi che invitano gli adolescenti a prendersi una pausa dai social media, impostazioni “by default” di privacy più rigorose per i giovani utenti. Tutte misure che non hanno inciso in maniera particolare sulla diffusa convinzione che l’azienda si sia sottratta alla propria responsabilità di proteggere i suoi giovani utenti più vulnerabili.
L’amministrazione Biden sta esaminando Meta e la sua politica sulla sicurezza dei bambini, con la Federal Trade Commission che propone un piano per impedire all’azienda di monetizzare i dati raccolti dai giovani utenti.
Veniamo ora a casa nostra.
Educare insieme al digitale
I temi legati all’uso dei social da parte dei minori sono stati al centro di un recente convegno a Reggio Calabria, organizzato dall’Istituto diocesano di formazione politico sociale “Monsignor Lanza” e da altre organizzazioni legate al mondo cattolico.
Rilevante la relazione, dal titolo “Ci vuole un villaggio, educare insieme al digitale” tenuta da Stefania Garassini, Professoressa di Content Management e Digital Journalism all’Università Cattolica, presidente di Alert Milano – associazione nazionale che opera nella formazione a un uso consapevole dei media – e autrice di “Smartphone. 10 ragioni per non regalarlo alla prima Comunione (e magari neanche alla Cresima)”. Ce ne occuperemo più avanti.
La relazione della professoressa Garassini al convegno può essere riassunta in questa sua frase: “Quindi, sintetizzando, come usare i social media in modo consapevole prima dei 13 anni? La risposta è: non usarli”. I dati Presentati al Safer Internet day (ricerca condotta da Swg per Italian Tech e Telefono Azzurro), tuttavia, ci raccontano tutt’altra realtà. Lo smartphone viene usato dal 75% dei bambini tra i sei e i 9 anni; dal 96 % di quelli tra i 10 e i 13 anni. Tra questi ultimi, solo il 36% lo fa con una forma di controllo (parental control), gli altri in totale autonomia. Cosa si può fare, partendo da questi dati? Innanzitutto, non agire da soli.
Un proverbio africano dice che per crescere un bambino ci vuole un villaggio: una famiglia sì, ma è necessaria una comunità più ampia che si preoccupi di crescerlo. Questo è valido per l’educazione in genere, lo è a maggior ragione quando si tratta di digitale.
In realtà accade che questo villaggio, proprio con il digitale, lo si sta perdendo, si sta perdendo quella consapevolezza condivisa, quelle regole scritte che fanno comprendere alla comunità adulta che cosa non va bene per un bambino. Il digitale ha cambiato le carte in tavola, con la sua invadenza, la sua indubbia capacità di cambiarci in meglio, in molti ambiti, la vita. Per tanti aspetti, però, è come se avesse un po’ espropriato i ruoli di genitori e di educatori, se avesse allentato i legami di comunità: questi strumenti favoriscono infatti un loro utilizzo individuale. Guardare qualcosa insieme è diventato sempre più difficile, e sempre di più si opta per la visione sul proprio schermo, sullo smartphone in particolare, in solitudine. Perciò, in generale bisogna recuperare la condivisione perché il tempo dedicato allo schermo spesso è sottratto alle relazioni, che invece possono aiutare proprio a usare meglio questi strumenti.
Come veniamo tutti influenzati dalla tecnologia
Nei confronti della tecnologia sembra ci siano 2 schieramenti opposti: i tecno ottimisti, secondo cui la tecnologia ha fatto molto bene ed è un vantaggio introdurla nella vita prima possibile perché si può spiegare come usarla e quindi non c’è bisogno di particolari precauzioni; dall’altra parte i tecno pessimisti, per i quali la tecnologia è sempre rischiosa: meno si usa, meglio è. Nessuno di questi due atteggiamenti, secondo Garassini, è fecondo dal punto di vista educativo. Il primo elimina ogni approccio critico e non tiene in considerazione gli enormi pregi della tecnologia nel quotidiano. L’atteggiamento corretto, dal punto di vista educativo ma anche in generale per vivere meglio nel mondo tecnologico, è quello del tecnorealismo. La tecnologia esiste, fa parte della nostra vita. Ma quello fra essa e l’uomo dev’essere un incontro virtuoso che migliori gli esseri umani e la loro vita. Per valutarla in maniera obiettiva ci si deve chiedere come sono fatti gli strumenti tecnologici e come è fatto chi li usa, l’uomo, basandosi su dati di fatto, su ricerche che hanno dato risultati già abbastanza omogenei.
Disinteresse verso gli altri e distrazione continua
Innanzitutto, gli strumenti tecnologici non sono totalmente neutrali, ma hanno caratteristiche che ci influenzano. Si pensi a una cena con o senza smartphone sulla tavola. Con lo smartphone si comunica all’altro un interesse a interloquire, ma relativo. Ciò in quanto si rimane in contatto con persone lontane alle quali riserviamo potenzialmente o concretamente la nostra attenzione.
Lo schermo di uno smartphone è pensato per attrarre l’attenzione involontaria. Il modo in cui lo smartphone presenta le informazioni è un modo che esige attenzione. È ansiogeno. Per concentrarsi sul qui e ora si deve mettere impegno. Una ricerca dell’UNESCO sull’uso dei dispositivi digitali a scuola mette in rilievo questo aspetto critico, cioè il potenziale di distrazione. La concentrazione è scoraggiata, la distrazione favorita. Sullo schermo di uno smartphone c’è tutto a disposizione, basta sfiorarlo. Questo, dal punto di vista educativo, è piuttosto rilevante. È il messaggio di un mondo dove non si fa fatica, dove tutto è disponibile, subito visibile, fruibile, in continuo aggiornamento. Se si apre un libro, poi si chiude e si riapre alla stessa pagina, quella è uguale a prima. Se ci si ricollega invece dopo un minuto a uno smartphone ci sono cose nuove, notifiche di altri messaggi. Questo incentiva un continuo controllo.
È noto il fenomeno detto FOMO (Fear of missing out): la paura di essere tagliati fuori, di non essere informati di qualsiasi cosa accada all’esterno. Esistono poi le forme gravi di dipendenza, non così frequenti, naturalmente, anche se in continuo aumento: è difficile staccarsi da un mondo che continua a offrire cose nuove, potenzialmente interessanti.
La quantificazione della valutazione altrui
Altro elemento è quello della quantificazione. I social media sono un mondo di numeri: quanti follower, quanti commenti, quanti like, quante storie, quanti amici. Questo ha un impatto, per esempio, sull’autostima. È sempre sgradevole quando non si ricevono gratificazioni, ma lo è ancor di più per un ragazzo o una ragazza. Per loro il numero dei like è qualcosa di molto strettamente collegato alla sua autostima. “Mia figlia, racconta la professoressa, a 17 anni mi disse che lei una foto su Instagram che avesse totalizzato meno di 50 like l’avrebbe rimossa. E perché? Le chiesi. Se la foto a te piace, tu l’hai postata perché ti piaceva, perché dai così tanta importanza alla valutazione altrui?”.
Il problema è che la valutazione altrui sui social media è quantificata. Si ha sempre il dubbio di piacere, ma fuori dai social si rimane sul vago, è un giudizio sfumato, soggettivo. Sui social media c’è invece un numero che racconta le cose come stanno. Poi vediamo com’è fatto l’uomo adulto, che non è particolarmente abile, anche se talvolta è portato a crederlo, a governare il mondo digitale e non è così impermeabile alla distrazione o alla ricerca della gratificazione. Lo dobbiamo tener presente per mettere in atto strategie per usare meglio questi mezzi, adulti e ragazzi. Un altro elemento importante da considerare è il cervello umano. Secondo l’OMS l’adolescenza termina a 25 anni, l’età in cui il cervello è pienamente formato. Nell’infanzia il bambino non ha gli strumenti per resistere agli strumenti digitali. Deve attraversare varie fasi per essere in grado di compiere attività. La ricerca dice che l’uso precoce degli schermi ha un impatto negativo sull’acquisizione del linguaggio, perché il tempo dedicato allo schermo è sottratto alla relazione, fondamentale per il linguaggio nei primi anni.
Gli effetti negativi sul sonno
Ci sono ancora gli acclarati effetti negativi sul sonno, vera e propria emergenza sociale. I ragazzini non dormono o dormono poco, con conseguenze deficitarie sull’attenzione a scuola. E sulla vista: lo smartphone ha avuto un impatto sull’aumento della miopia. Guardare uno schermo da vicino è diverso dal guardare un libro, perché non ci sono pause. Lo schermo è una sollecitazione continua, obbliga gli occhi a una messa a fuoco che non è corretta. L’impatto sull’apprendimento è certificato da uno studio dell’Università Bicocca che ha messo in relazione l’età d’arrivo dello smartphone con i risultati dei test Invalsi: l’utilizzo precoce non ha effetti positivi sull’apprendimento in generale, e ne ha di molto negativi sull’ italiano, i cui risultati sono inferiori quando lo smartphone è stato utilizzato prima.
L’allarme sulla salute mentale
Vi è poi una ricerca, che ne riassume varie, sui sintomi depressivi tra i 13 e i 17 anni. Nei grafici che corredano lo studio è visibile un’impennata, soprattutto per le ragazze, che coincide col 2012, l’anno in cui Instagram, acquisito da Facebook, comincia a diffondersi capillarmente soprattutto tra gli adolescenti. Un caso? Forse, ma la coincidenza c’è. La prof. Garassini si rifà al rapporto del Surgeon General USA, del quale abbiamo già riferito, per riportare l’allarme sulla salute mentale. Il documento, dice, si conclude affermando che “non ci sono sufficienti prove che l’uso dei social media sia abbastanza sicuro per gli adolescenti”.
In pratica, commenta, è come se fosse in corso da più di 10 anni un gigantesco esperimento sociale, con cavie bambini, adolescenti, ragazze e ragazzi. Perché nessuno sa cosa veramente sta succedendo ora. “Non voglio terrorizzare”, aggiunge (anche se forse sarebbe l’unico modo per attirare l’attenzione dei genitori, n.d.r.). Si tratta di capire che è necessario arrivare allo smartphone, ai social media, con gradualità.
Le leggi a tutela dei minori ci sono, ai genitori farle rispettare
Le indicazioni dei pediatri sono abbastanza univoche sulla necessità di recuperare questa gradualità. I pediatri italiani hanno detto la loro chiaramente: mai schermi prima dei 2 anni; non più di un’ora tra i 2 e i 5; 2 ore al massimo tra i 5 e gli 8. D’altra parte, i limiti di età per accedere ai social media ci sono. Instagram, YouTube, TikTok raccomandano, essi stessi, l’età minima di 13 anni. In Italia abbiamo recepito il GDPR (provvedimento UE sulla privacy) portando così a 14 anni l’età minima. Quindi la legge in realtà c’è già e potrebbe essere un aiuto per i genitori, se la applicassero.
Molti genitori pensano invece che i loro figli siano e saranno più intelligenti se iniziano prima a usare lo smartphone; che iniziando prima lo sapranno usare meglio, ed è uno strumento che serve per un mondo ipertecnologico. Non è così! È la lettura, invece, che li aiuta ad acquisire senso critico, la profondità fondamentale per usare al meglio il digitale. Nella decisione se consegnare a un figlio lo smartphone, una decisione piuttosto importante, i genitori tendono a lasciarsi molto condizionare dall’esterno. Sarebbe il caso, secondo la Garassini, di recuperare fiducia in sé stessi e fare la scelta che si ritiene migliore, come succede in tutte le altre occasioni.
L’importanza di darsi delle regole
La tecnologia si inserisce in una relazione tra genitori e figli, e va trattata nell’ambito e con le modalità che la caratterizzano. Non si consegnerebbe mai una Ferrari a un bambino di 10 anni, e, allo stesso modo, si deve ragionare per una scelta davvero significativa come questa. È anche utile darsi e dare delle regole, perché servono per preservare delle cose preziose: la concentrazione, le relazioni, la salute mentale, il benessere fisico. La regola, ad esempio, di non utilizzare lo smartphone in camera da letto o a tavola. Usare invece gli schermi in luoghi condivisi della casa, dove c’è la possibilità di condividere quello che si fa, di non isolarsi: i problemi nascono sempre quando il mondo virtuale diventa esclusivo, quando ci sono il videogioco, il social, e il ragazzo da soli: una situazione ad alto rischio. Allo stesso tempo, non bisogna essere rigidi, pensare che tutto il tempo davanti allo schermo sia sprecato. Ci può essere una motivazione basata sulla curiosità, quindi estremamente positiva.
Conclusioni
Come detto all’inizio, la Garassini ha in testa un modello d’intervento collettivo. Sono necessarie delle alleanze, è vitale non isolarsi. Alla fine, il messaggio é:
1) decidere insieme tra genitori quanto consegnare uno smartphone;
2) aspettare almeno la fine della seconda media, al termine della delicata fase della preadolescenza;
2) dare e darsi delle regole per l’uso degli strumenti;
3) avere un dialogo in famiglia
4) rispettare l’età prescritta;
5) organizzare e/o frequentare corsi di formazione.
Allearsi per il digitale può anche essere un buon viatico per altre iniziative, a vantaggio dei soggetti in età minorile. Perché, ad avviso della Garassini, i genitori devono tornare a essere un po’ più creativi, inventarsi qualcosa. “E se lo facciamo, le cose cambiano”, conclude più da genitore che da docente universitaria.