il progetto The Follower

Videosorvegliati ovunque: ecco com’è facile spiarci

Diversi siti danno la possibilità a chiunque di connettersi live alle videocamere disseminate in tutto il mondo. Da EarthCam, Skyline Webcams, da Meteoindiretta e YouTube, è possibile sbirciare senza essere visti. Un artista belga ci dimostra quanto è facile aggirare i regolamenti che dovrebbero proteggerci dagli abusi

Pubblicato il 02 Nov 2022

Lorenza Saettone

Filosofa specializzata in Epistemologia e Cognitivismo, PhD Student in Robotics and Intelligent Machines for Healthcare and Wellness of Persons

the follower

Chi è Dries Depoorter e cos’è il progetto The Follower? Attraverso un programma di Artificial Intelligence scritto dallo stesso artista belga, sono state confrontate le immagini condivise su Instagram dagli stessi user con le riprese open delle telecamere disseminate in tutto il mondo. Il risultato fa molto riflettere: accanto agli scatti privati, Depoorter ha allegato l’esatto momento in cui anche la videocamera riprendeva l’utente coinvolto nella foto personale. Cosa vuol dire tutto questo? Siamo sicuri che i regolamenti relativi ai dati siano sufficienti a tutelare gli abusi di queste tecnologie di sorveglianza? Sembra di no.

I pericoli della videosorveglianza denunciati da The Follower

L’artista belga, Dries Depoorter, si è già distinto in passato per altri interventi artistici nei quali l’obiettivo era sempre quello di condurre la società civile alla riflessione intorno ai pericoli delle tecnologie “intelligenti” e dei social network. Il suo lavoro può identificarsi con il movimento situazionista, che prevede l’utilizzo delle tecnologie nelle opere d’arte al fine di criticarla. In questo caso, con The Follower, Depoorter ha voluto porre l’attenzione sulle telecamere di videosorveglianza disseminate nei luoghi pubblici e sui pericoli a cui siamo costantemente esposti.

Esistono, infatti, diversi siti che danno la possibilità a chiunque di accedere alle riprese in tempo reale, connettendosi alle videocamere live. EarthCam, Skyline Webcams, ma anche Meteoindiretta e YouTube, sono i principali siti da cui è possibile sbirciare senza essere visti. Dare notizie su meteo e traffico in media res e permettere ai cittadini di conoscere siti di particolare interesse culturale e naturalistico. Quest’ultimo in particolare è lo scopo dichiarato dai creatori di EarthCam, il sito utilizzato da Depoorter per il proprio progetto.

Depoorter ha monitorato Temple Bar a Dublino, Times Square a New York e Wrigley Field a Chicago, dopodiché si è occupato di confrontare le immagini offerte dalle telecamere con gli scatti che gli utenti condividevano, includendo tag e geolocalizzazioni di quei siti.

Ogni volta che andiamo da qualche parte, per ragioni di visibilità, aggiungiamo tag per essere raggiunti da un numero maggiore di persone e magari ottenere il repost dalle pagine della città in questione. Tuttavia, essere raggiunti non sempre è un bene, anzi, quasi mai. Se traslitteriamo di nuovo la metafora usata nel mondo digitale sul piano corporeo ci accorgiamo subito del rischio a cui ci poniamo. Ditemi, vi andrebbe bene essere raggiunti fisicamente dalle persone a cui avete lanciato l’esca online attraverso il cancelletto? Ovviamente per la maggior parte di noi la risposta è no. Far sapere i nostri esatti spostamenti, se questi possono essere veramente usati, tracciati, spiati, per raggiungerci nel luogo esatto in cui siamo e dal numero che potenzialmente vorremmo colpire su Instagram, ci farebbe sentire a disagio e in pericolo. Tuttavia, quando postiamo sui social, queste domande e queste sensazioni non ci sfiorano nemmeno. L’errore è stato quello di interpretare i social network come vetrine non meritevoli di essere concepite quali “vita vera”. Purtroppo, lo spazio digitale non è ontologicamente meno reale dell’ambiente offline. Gli impatti su lavoro, sicurezza, privacy, diritti, affetti sono gli stessi.

Quando aggiungiamo localizzazione, descrizioni dettagliate, hashtag coerenti e tag delle persone che erano con noi e delle città in cui eravamo, vogliamo essere raggiunti; vogliamo la visibilità, ma distanziata dallo schermo, eppure tale separazione è solo illusoria. Sono tracce incancellabili che potranno essere utilizzate in infiniti modi dagli algoritmi e non solo. Cosa succede se, oltre a renderci pedinabili con le nostre stesse mani tramite i social, pure le telecamere pubbliche ci rendono visibili da parte di chiunque? La libertà di ognuno di noi è colpita nel profondo.

Essere o meno tracciato è un aut aut capestro. La scelta è tra potermi muovere ancora nel tessuto urbano e stare chiuso in casa senza peraltro usufruire dei servizi della rete. Se non voglio che le telecamere mi spiino, non posso più andare dove desidero, non posso visitare quei luoghi straordinari che avrei tutto il diritto di osservare, perché lì, quasi sempre, ci saranno videocamere che trasmettono live notte e giorno. Si tratta di un’intrusione che va ben oltre ogni limite.

Videosorveglianza, il decalogo del Garante della Privacy

Tempo fa era stato condiviso un decalogo con cui il Garante della Privacy informava i cittadini dei diritti posseduti da questi ultimi intorno al tema della videosorveglianza. Tra le varie regole, spiccava il fatto che andassero individuate con designazione scritta le persone che avrebbero potuto utilizzare tali impianti, vietando l’accesso a tutti gli altri, salvo che per indagini in cui sarebbe stato chiaro il motivo di sicurezza pubblica. Anche qui si aprirebbe un mondo, ma soffermiamoci per adesso sulle persone che hanno modo di prendere visione alle registrazioni. Se decido di andare sul Monte Beigua, qui vicino a dove abito, sulle alture di Varazze, perché chiunque può vedermi?

Sempre nel decalogo del Garante, ci viene detto che i dati devono essere usati solo per gli scopi chiariti prima dell’installazione delle telecamere. Eppure, chiunque può cooptare la telecamera installata per il meteo declinandola per altri utilizzi, anche molto gravi, come lo stalking. Se Depoorter ci ha mostrato che con un programma semplice, scritto attraverso indicazioni trovate online sui forum degli “smanettoni”, si è in grado di trovare chiunque e dovunque, il rischio di abusi è molto alto. Le intenzioni dell’artista sono artistiche, ma nulla impedisce che un maniaco faccia lo stesso con ben altri esiti.

Nessuno può davvero essere anonimo

Il Garante stabilisce che le immagini devono essere colte attraverso un angolo limitato. Inoltre, non devono presentare dettagli, nel senso che se ingrandite il viso non dovrà essere riconoscibile, essendo sgranato dalla scarsa qualità dell’immagine di partenza. Ammetto che in Italia gran parte delle videocamere è installata tenendo conto di tale requisito; tuttavia, non sempre e se The Follower ci dimostra che nessuno può davvero essere anonimo allora il problema non può essere ignorato. Chiunque, non solo gli influencer, può essere riconosciuto, raggiunto, spiato e questa non è distopia.

Violazione della privacy: il comportamento ambiguo delle Big Tech

Depoorter fu bloccato da YouTube, quando provò provato a condividere la promo della sua opera. Secondo l’azienda The Follower avrebbe violato i propri termini d’uso. Questa non è la prima volta che la piattaforma di Google blocca contenuti simili. Già in passato mi ero occupata del caso di Oliver Ressler, mostrando come simili “errori dell’algoritmo” sembrassero possedere una certa metodologia di base, un’intenzione comune di fermare gli attivisti coinvolti nella tutela della privacy, della proprietà, della sicurezza. Al contrario la battaglia vera alle fake news rimane tutt’ora impaludata. Come minimo la questione solleva dei dubbi. Contenuti davvero disturbanti o disseminatori di odio restano nella rete nonostante le segnalazioni degli utenti, anche in massa. Ricordo, anni fa, quanto fosse stato difficile far chiudere il canale di quel tizio (non mi va nemmeno di scrivere il nome) che, tra le altre sue schifezze, condivideva video “catafratti” e “per il sociale”. E ricordo che in ogni caso tutte le volte riapriva il suo account, rendendo vana la chiusura.

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La reazione degli utenti al progetto The Follower

Oltre a YouTube e Instagram, anche molti utenti hanno reagito in malo modo di fronte al progetto The Follower. In effetti anche l’artista, per fare arte e rendere consapevoli gli utenti di quanto sia facile utilizzare le immagini per scopi illegittimi, ha violato la privacy. Si tratta di una situazione molto affine ai paradossi e ai tabù generati dalla menzione e dall’uso in linguistica[1].

Il bambino si interroga spesso se il divieto di dire parolacce valga anche per il parlare di tale regola, per ribadire il divieto stesso, oppure se anche in questo caso è necessario evitare di menzionare la parola tabù, magari servendosi di strategie di sostituzione come le circonlocuzioni. Ci sono parole che pure nella menzione mantengono la censura che vi è nell’uso. La n-word la conosciamo tutti ed è un esempio di termine usato in sostituzione di un altro che mantiene la censura nell’uso e nella menzione. Nel caso di The Follower la violazione della privacy che intende denunciare colpisce il progetto stesso, perché per metterlo in atto ha dovuto “profanare” i diritti degli utenti e i termini di uso di piattaforme come Instagram.

Come impedire di essere riconosciuti dalle telecamere intelligenti

Esistono modi per impedire di essere visti, riconosciuti dalle telecamere intelligenti?

In realtà sì, ma vale esclusivamente quando a spiarci è solo un software. Recentemente Wired ha condiviso il progetto di una start up milanese: Cap_able. L’obiettivo è quello di produrre tessuti in grado di confondere l’intelligenza artificiale, che non riuscirebbe più a reperire i punti di tracking usati per riconoscere le persone.

Altri studi dimostrano ad esempio che quasi quasi basterebbe il make-up a mimetizzarci; le tecniche di contouring sono in grado di renderci irriconoscibili agli “occhi” dei dispositivi.

Il POV di una telecamera di videosorveglianza è solo un codice numerico: la sua accuratezza non è affatto adeguata, basta poco per non farci riconoscere, come nei fumetti un paio di occhiali era sufficiente a celare l’identità di Superman.

Tuttavia, il problema resta aperto se, come ho dimostrato, basta un niente per bypassare gli scopi “leciti” del controllo, esponendo la società civile a rischi molto più seri di qualunque giustificazione per implementare telecamere simili lungo le nostre strade cittadine. Serve ancora una strategia per impedire pure agli occhi umani dietro alla telecamera di riconoscerci.

Note

  1. L’uso di una parola denota l’oggetto a cui la parola si riferisce, la menzione denota la parola stessa e a livello scritto è inquadrata da virgolette.

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