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Riconoscimento facciale, la Ue verso una banca dati unica: tutti i dubbi etici

Le forze di polizia di dieci paesi membri dell’Ue, in un rapporto guidato dalle forze austriache, hanno proposto la creazione di una rete europea di base dati di riconoscimento facciale e anche la Commissione starebbe lavorando in tal senso. Un obiettivo che non ouò non destare preoccupazione

Pubblicato il 27 Feb 2020

Marco Martorana

avvocato, studio legale Martorana, Presidente Assodata, DPO Certificato UNI 11697:2017

clearview polizia

Mentre la Commissione europea approva il divieto dell’uso di sistemi di riconoscimento facciale nei luoghi pubblici per un periodo di cinque anni in un libro bianco sull’intelligenza artificiale, le forze nazionali di polizia di dieci paesi membri dell’Unione europea, in un rapporto guidato dalle forze austriache trapelato la scorsa settimana, hanno proposto la creazione di una rete europea di base dati di riconoscimento facciale.

Questo rapporto si inserisce nelle discussioni sull’ampliamento del sistema di Prüm, il quale permette di connettere diverse banche dati tra gli Stati membri che formano lo spazio penale europeo. Sebbene si parli solo di rapporti preliminari, essi dimostrano che i lavori legislativi preparatori sono in corso.

Le mosse della Commissione Ue

Inoltre, secondo le informazioni fornite dalla Commissione europea al Parlamento europeo lo scorso novembre, quasi 700.000 euro sono stati destinati a un progetto di studio della società di consulenza Deloitte su possibili modifiche al sistema Prüm, con una parte del lavoro volta ad esaminare la tecnologia di riconoscimento facciale.

La Commissione europea ha anche richiesto separatamente a un consorzio di agenzie pubbliche guidato dall’Istituto estone di scienze forense di “mappare la situazione attuale del riconoscimento facciale nelle indagini penali in tutti gli Stati membri dell’UE”, con l’obiettivo di spostarsi “verso il possibile scambio di dati facciali“.

I dubbi etici

La possibile creazione di una base dati centralizzata di dati biometrici raccolti da algoritmi di riconoscimento facciale crea preoccupazioni a livello etico.

Come ben noto, infatti, gli algoritmi di riconoscimento facciale – e non – elaborano le informazioni in base a come sono stati impostati dai loro creatori e dal modo in cui vengono nutriti, in altre parole dalle informazioni che essi trattano. Questo ha già portato in altri settori a vari casi di discriminazione, principalmente verso donne e persone di colore.

Le preoccupazioni legate a possibili discriminazioni sono ancora più forti se riguardano dati biometrici quali quelli trattati da sistemi di riconoscimento facciale, poiché nella maggior parte dei casi le discriminazioni da parte di algoritmi risultavano dal trattamento dei dati inseriti in essi.

In più, in un contesto dove le denunce di violazioni dei diritti umani da parte di Stati membri dell’Unione europea sono in costante aumento, la creazione di un’unica base dati europea di dati biometrici accessibile da tutti gli Stati membri crea maggior preoccupazioni etiche. Così, Edin Omanovic, advocacy director per Privacy International, si preoccupa del fatto che un database di volti paneuropei possa essere utilizzato per una “sorveglianza motivata politicamente” e non solo per un normale lavoro di polizia.

Infine, una delle maggiori criticità emerse verso i sistemi di riconoscimento facciale è la mancata accuratezza e le imprecisioni tecniche relative all’algoritmo di riconoscimento, dalle quali potrebbero scaturire alti rischi di errori giudiziari di livello europeo.

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