Tempo fa ci stupivamo quando, poco dopo aver cercato un articolo su una piattaforma eCommerce, trovavamo annunci pubblicitari relativi a quel tipo di oggetto sulla home page dei nostri social network. Recentemente, il Garante privacy italiano ha invece avviato un’indagine su alcune app che, una volta autorizzate ad accedere al microfono, rimarrebbero in ascolto per inviare pubblicità mirata.
Ebbene, siamo già “oltre”: dopo le parole digitate sui siti e le conversazioni recepite dagli smartphone, occorre tenere conto ora anche del valore delle espressioni facciali.
Il marketing nell’era digitale: così i dati hanno rivoluzionato la pubblicità
Il volto umano, infatti, presenta una serie di dettagli che, sfruttando tecnologie di face recognition, possono essere utilizzati per comprendere le preferenze dei soggetti. In particolare, oltre ai dettagli somatici immodificabili, adesso è possibile misurare anche le emozioni per comprendere meglio il comportamento di acquisto e di consumo degli individui.
Ciononostante, quella che potrebbe essere una svolta a livello commerciale deve necessariamente fare i conti con il diritto alla privacy dei consumatori, e di fronte ai primi progetti concreti degli ultimi anni, il dibattito è aperto.
Dai taxi giapponesi ai cartelloni che “spiano”: esempi concreti
Per un’impresa si tratta effettivamente di una prospettiva entusiasmante, poiché se possiamo riconoscere e misurare la reazione fisica di un individuo ad uno stimolo – come un cartellone pubblicitario – ecco che si apre una nuova frontiera per il marketing. Si tratta semplicemente di accantonare parzialmente le strategie e gli strumenti “tradizionali” della pubblicizzazione dei prodotti e dei servizi, sfruttando la conoscenza ottenuta in altre discipline, ossia gli sviluppi delle tecnologie di intelligenza artificiale.
Quella che a primo impatto potrebbe sembrare una prospettiva per il futuro, è in realtà un’ipotesi concreta già da alcuni anni. Si sono susseguite, infatti, diverse iniziative che consentono di analizzare l’applicazione concreta delle tecnologie di riconoscimento facciale al mondo della pubblicità, dal riconoscimento dei tratti somatici fino all’esame delle emozioni umane.
Il caso dei taxi giapponesi
Tra il 2018 e il 2019 l’azienda giapponese DeNA ha sviluppato un software di face recognition installato sui taxi del paese per profilare i clienti attraverso un tablet munito di telecamere. Una volta ricostruita l’identità del passeggero rilevando età, sesso ed etnia, il sistema inizia a mostrare pubblicità appositamente selezionate; ad esempio, ad una donna mostrerà probabilmente pubblicità di profumi o trucchi, e ad un ragazzo farà vedere spot su videogiochi o anime.
Ora, fin dall’inizio, la compagnia creatrice di questi sistemi ha sempre messo le mani avanti ribadendo che le immagini dei passeggeri non sarebbero mai state conservate o visionate da nessun soggetto terzo e da nessuna agenzia di marketing, ma che, al contrario, sarebbero servite solo per mostrare le pubblicità più pertinenti al fine di migliorare l’esperienza di viaggio dell’utente.
I cartelloni pubblicitari “mutaforme” nel Regno Unito e in Italia
Tra il 2017 e il 2018, in Regno Unito, una coppia di imprenditori britannici ispirati dal film Minority Report con Tom Cruise, hanno deciso di creare uno schermo per le pubblicità che cambia in funzione di chi lo sta osservando. Nello specifico, dentro al cartellone pubblicitario sono nascoste delle videocamere per il riconoscimento facciale collegate ad un software che permette al sistema di identificare le caratteristiche chiave dei passanti. Anche in questo caso, tutte le informazioni raccolte vengono usate per visualizzare le pubblicità più adatte a quel profilo. Il successo è stato straordinario al punto che, in breve tempo, non solo ci sono state installazioni a catena in diverse grandi città britanniche, ma sono arrivate anche richieste da altri Paesi, soprattutto dell’Est Europa. L’obiettivo dichiarato è quello di avere queste strutture in ogni parte del Vecchio Continente.
Seppure spesso si pensi che questi tipi di iniziative siano limitate ai Paesi esteri, non è così, anzi.
Nel 2017, alla Stazione Centrale di Milano, furono installati dei totem pubblicitari realizzati da Grandi Stazioni Retail S.p.A. che fecero non poco scalpore. La vicenda emerse grazie all’iniziativa del fondatore di Hermes (Centro per la trasparenza e i diritti umani digitali), che attirato da un codice di errore su uno di questi dispositivi, avviò una ricerca approfondita. Ebbene, questi totem erano dotati di fotocamere e software in grado di rilevare sesso, età e livello di attenzione di chi guardava le pubblicità trasmesse. Dopodiché, i dati raccolti venivano trasmessi alle agenzie di marketing che li avrebbero utilizzati per valutare il grado di successo di una campagna pubblicitaria e svilupparne altre più efficaci.
La pubblicità basata sulle emozioni
L’analisi delle espressioni e delle emozioni attraverso l’applicazione degli algoritmi al volto dei soggetti è il passo successivo nell’ambito del riconoscimento facciale applicato alla pubblicità. Infatti, la nuova frontiera del marketing “al digitale” si fonda proprio sull’affect recognition per ottenere indicazioni sul grado di apprezzamento o meno di un determinato spot. Sembra una prospettiva lontana, ma indicazioni in questa direzione arrivano già da poco meno di un decennio.
Nel 2013, i ricercatori del Media Lab del Massachusetts Institute of Technology (MIT) hanno sviluppato un software che riconosce i movimenti dei muscoli del volto durante la visione di un video classificando le espressioni considerate positive e che, in base ai risultati, predice quale pubblicità verrà più apprezzata dai consumatori.
I ricercatori hanno inizialmente raccolto 3200 filmati di persone che erano state filmate da delle webcam durante il Super Bowl del 2011, focalizzando l’attenzione sul loro volto. Dopo tre spot in successione – di una marca di patatine, di Google e della Volkswagen – è stato chiesto a ogni partecipante all’esperimento quanto avesse gradito ciascun video e se avrebbe voluto rivederlo una seconda volta. Durante la visione, un apposito algoritmo si è occupato di analizzare i sorrisi degli spettatori ed ogni espressione facciale, cercando così di anticiparne la risposta basata sul gradimento. In altri termini, la tecnologia di riconoscimento facciale aveva la funzione di analizzare le reazioni dei soggetti, capendo in anticipo quale fosse il loro spot preferito ancora prima di rispondere alla domanda esplicita.
Ebbene, il software ha indovinato la risposta corretta nel 75% dei casi, dimostrando di poter anticipare le preferenze degli individui permettendo ad eventuali agenzie di marketing di indirizzare verso quella persona determinati spot pubblicitari sapendo fin dall’inizio che li apprezzerà.
Molto più di recente, la società di software di intelligenza artificiale Alfi ha annunciato di voler diffondere monitor che usano il riconoscimento facciale per indirizzare gli annunci pubblicitari alle persone in luoghi pubblici. Il software non si limita alle caratteristiche fisiche del soggetto, ma prosegue la scia innovativa che mira all’analisi dei movimenti facciali per fornire agli inserzionisti informazioni sulle reazioni dei consumatori. L’aeroporto di San Paolo, in Brasile, dispone già di diversi schermi progettati da Alfie. Inoltre, i monitor sono stati testati anche su diversi mezzi – sulla base del modello dei taxi giapponesi – negli Stati Uniti, con decine di migliaia di conducenti che sono in attesa di riceverli per i propri veicoli.
Le implicazioni per la privacy
Tra le molteplici e diverse applicazioni dell’intelligenza artificiale al marketing c’è un elemento comune: tutte le aziende che progettano sistemi di riconoscimento facciale per l’erogazione di pubblicità personalizzata affermano categoricamente di non violare la privacy e di rispettare tutte le regole in materia. Ad esempio, l’amministratore delegato di Alfi ha affermato che la società si limita ad utilizzare un sensore solo per rilevare semplici metriche come età e sesso, servendosi cioè di sistemi di rilevamento facciale e non di riconoscimento facciale: i primi analizzano dati demografici ed emozioni, mentre i secondi memorizzano i dati per identificare un individuo. La differenza risiederebbe quindi nella conservazione o meno delle informazioni.
Nonostante le rassicurazioni, però, gli esperti continuano a nutrire dubbi e timori per il trattamento dei dati personali dei soggetti ripresi. Il tasto dolente risiede soprattutto nel fatto che le telecamere nell’hardware monitorano le reazioni degli spettatori al contenuto visionato, in modo tale da fornire indicazioni precise agli inserzionisti, i quali possono poi modificare gli spot pubblicitari in base alle preferenze. Qui entra in gioco una complicazione, ossia l’aspetto del rendere i dati personali merce di scambio, poiché senza questi, le agenzie di marketing non avrebbero elementi per valutare la qualità di una pubblicità.
Allo stesso tempo, però, quando si parla di dati biometrici, occorre tenere conto di alcuni elementi che permettono di valutare la liceità o meno dei sistemi che analizzano tali dati. Le linee guida n. 9/2019 del Comitato Europeo per la Protezione dei dati personali (EDPB) e lo stesso articolo 9 del Regolamento (UE) n. 2016/679 (GDPR) in tema di categorie particolari di dati, prevedono che tale disposizione e le sue stringenti condizioni si applichino se il titolare del trattamento memorizza dati biometrici al fine di identificare in modo univoco una persona. Se ad esempio un titolare del trattamento volesse rilevare l’identità di un soggetto che entra in una determinata area, lo scopo sarebbe quello di identificare in modo univoco una persona fisica, e di conseguenza l’attività rientrerebbe fin dall’inizio nell’ambito di applicazione dell’art. 9 del GDPR, il quale, al par. 1, vieta il trattamento dei dati biometrici al di fuori dei casi tassativamente previsti dal successivo par. 2, come il consenso dell’interessato o quando il trattamento riguardi dati resi manifestamente pubblici dallo stesso.
Alcune indicazioni utili, possono comunque essere ricavate dal Provvedimento n. 551 del 21 dicembre 2017 del Garante privacy in merito ai totem installati alla Stazione Centrale di Milano, seppure si tratti di una decisione precedente all’entrata in vigore del GDPR.
Le considerazioni del Garante
La vicenda prese le mosse dalle diverse segnalazioni arrivate al Garante in merito ai già citati digital signage istallati alla Stazione Centrale di Milano, che ha portato l’Autorità a svolgere una approfondita istruttoria ed a rispondere a diversi quesiti in materia di trattamento dei dati da parte dei sistemi progettati per l’erogazione di spot pubblicitari personalizzati.
Il Garante privacy aveva appurato che, in base alla tipologia di informazioni raccolte e la cancellazione immediata delle immagini degli interessati, nessun dato personale veniva permanentemente memorizzato nel sistema. Inoltre, il sistema usato era basato su algoritmi di mera face detection e non di face recognition, ossia non era progettato per riconoscere e identificare l’individuo ripreso.
L’Autorità Garante aveva quindi ritenuto che il trattamento fosse conforme ai principi del Codice della Privacy (nella versione precedente all’intervento del D. Lgs. 101/2018). In sostanza, il fatto che il software utilizzato fosse in grado di elaborare dati statistici a partire dalle immagini delle persone riprese in modo quasi fotografico senza elaborare i dati biometrici e senza registrare e conservare tali informazioni, permetteva di ritenere che modalità di trattamento dei dati personali attraverso i totem pubblicitari non mettessero a rischio il diritto alla privacy dei soggetti.
Il fatto che poi venissero trasmessi ad agenzie di marketing non rilevava, in quanto ciò che veniva inviato era il dato statistico e non quello biometrico. Ciononostante, il Garante aveva ritenuto necessario stabilire comunque degli adempimenti necessari. Nello specifico, era stato precisato che per poter continuare ad effettuare il trattamento, occorreva che il titolare fornisse agli interessati un’informativa c.d. semplificata analoga a quella prevista per qualsiasi sistema di videosorveglianza. In altri termini, il Garante riteneva necessario procedere con l’apposizione di cartelli informativi nelle vicinanze dei dispositivi, cosicché gli interessati potessero essere avvisati della presenza della telecamera e quindi scegliere liberamente di avvicinarsi o meno per farsi inquadrare dalla telecamera. Oltre all’informativa semplificata, però, l’Autorità aveva ritenuto opportuna anche un’ulteriore informativa completa contenente tutti gli elementi previsti dalle norme in materia e messa a disposizione degli interessati sia sul sito web della società titolare, sia attraverso un QR code da posizionare vicino al totem.
Infine, il Garante aveva anche imposto l’adozione di misure adeguate a verificare periodicamente la “salute” dei dispositivi, in modo tale da prevenire alterazioni o tentativi di accesso fraudolento agli stessi ed evitare possibili utilizzi impropri da parte di soggetti non autorizzati.
Conclusioni
Il tema è sicuramente molto complicato, e vista la velocità alla quale corre l’innovazione delle strategie di marketing, sarebbe opportuno fare maggiore chiarezza sulle regole da applicare e monitorare l’evoluzione del fenomeno anche tramite gli interventi delle Autorità garanti.
Il provvedimento del Garante italiano è abbastanza risalente, non tanto da un punto di vista temporale quanto semmai normativo, poiché precedente all’entrata in vigore del GDPR e al successivo D. Lgs. di adeguamento del Codice della Privacy.
Tuttavia, contiene diverse indicazioni interessanti. La prima su tutte, il fatto che occorre fare una distinzione tra l’ipotesi in cui i dati biometrici vengano solo “osservati” senza alcuna identificazione univoca del soggetto e senza procedure di raccolta e conservazione, dal caso diverso in cui invece si procede a identificare l’interessato ed a conservare i dati. Ancora più invasivo e allarmante è il caso in cui i dati biometrici vengano trasmessi a società di marketing, magari situate in Paesi terzi; in questo caso intervengono ancora altre regole e altre richieste di chiarimenti. Questo significa che, a seconda del tipo di attività svolta bisognerà procedere in modi diversi. La doppia informativa è certamente una base, ma non è sufficiente, anche perché non si tratta di niente di innovativo essendo già prevista per qualsiasi sistema di videosorveglianza comune.
Occorre quindi andare al di là e con decisione, e non solo a livello normativo.
È necessario anche pretendere maggiore chiarezza da parte delle società produttrici, poiché attestare sulla fiducia che i propri sistemi non fanno una determinata cosa non è sufficiente. Soprattutto quando è chiaro a tutti – più o meno esperti – che se uno strumento ha la potenzialità di svolgere un certo tipo di trattamento, i campanelli di allarme sono molti e per spegnerli non basta una semplice dichiarazione.