Ritengo importante che il Ministro della Difesa Elisabetta Trenta abbia fatto espresso riferimento agli investimenti italiani in cyber security necessari per assicurare la resilienza cibernetica. Al vertice Nato ha chiesto di inserire gli investimenti nazionali per la cyber security all’interno del 2 per cento del Pil destinato alle spese per la Difesa.
Di ieri anche la notizia che il pacchetto Juncker Cybersecurity Act sta andando avanti – il mandato permanente Enisa e la certificazione unica europea – con l’approvazione in commissione Itre del Parlamento UE (il voto in plenaria sarà a settembre).
Su tanti fronti notiamo insomma che l’Europa sta spingendo per dare alla cyber security il livello di maturità necessaria. Ed è bene che l’Italia su questa fronte sembra voler giocare una partita in primo piano.
Quelli richiamati dalla ministra sono del resto investimenti fondamentali nell’attuale periodo storico caratterizzato da un aumento esponenziale del fenomeno e dimostra l’attenzione sul tema da parte del Governo. È necessario comunque che questi investimenti siano poi coordinati sia a livello italiano che internazionale con il coinvolgimento tanto del mondo pubblico quanto del mondo privato.
“Anche gli investimenti per assicurare la resilienza cibernetica a livello nazionale – ha detto Trenta – devono essere comprese nel 2% del Pil che i paesi della Nato hanno deciso di riservare alle spese per la difesa”. “Si tratta – aggiunge – di un investimento che riguarda il settore civile oltre a quello militare e il nostro obiettivo è che nel 2% siano contabilizzati gli sforzi italiani nel rafforzare la propria sicurezza interna. Questo vale per ogni singolo Stato ovviamente, perché la sicurezza di ognuno di noi è la sicurezza dell’Alleanza stessa. Auspico dunque che tutti gli sforzi fatti in merito alla sicurezza cibernetica e le risorse correlate siano compresi pienamente nelle spese per la difesa”.