Oggi sempre di più il pubblico preferisce video brevi. Il successo di Tik Tok lo dimostra chiaramente: gli short video sono il format del momento. Con oltre 700 milioni di utenti attivi, Tik Tok è il terzo social mondiale per numero di utenti. Ed è in questo momento l’unica piattaforma in grado di sfidare lo strapotere delle Big Tech targate Silicon Valley.
Musica, la promozione ora si fa con i “video brevi”: numeri e tendenze
Rispetto ai social del gruppo Meta, TikTok ha un vantaggio competitivo: i video sono brevissimi, gli utenti ne guardano decine durante ogni sessione e in poche ore l’algoritmo della piattaforma è in grado di costruire un modello accurato dei gusti e degli interessi degli utenti. È come una sorta di apprendimento rapido.
La differenza con i video lunghi
Gli algoritmi di data mining non sono in grado di leggere all’interno dei video e dunque hanno bisogno di molte visualizzazioni per affinare la conoscenza dell’utente.
I video lunghi di Youtube permettono l’approfondimento e offrono un grande vantaggio per l’utente alla ricerca di informazioni profonde. Ma manifestano una debolezza per l’utente occasionale e per gli inserzionisti. È difficile che l’utente visualizzi più di un video per sessione e dunque è necessario molto tempo per costruire un profilo dell’utente, offrirgli contenuti personalizzati e vendere le informazioni agli inserzionisti.
Non sorprende quindi che Youtube abbia lanciato alla fine del 2020 Youtube Shorts, la sezione dedicata ai video sotto i 60 secondi. Da qualche tempo questa funzionalità è arrivata anche in Italia, e Youtube la sta spingendo con spot pubblicitari e un fondo economico che premia gli autori più interessanti.
Come realizzare video brevi
I video brevi sono la nuova frontiera dei modelli di business digitali. L’autore può realizzare il video con lo smartphone, selezionare un audio tra quelli su cui Youtube ha il diritto di utilizzo, grazie agli accordi con le major discografiche, caricare il video e poi inserire effetti visivi e videografiche. Processo veloce, semplice e a prova di non nativo digitale.
In effetti, sulla base dei dati rilasciati dall’azienda, gli utenti che creano Shorts e li visualizzano non sono teenager ma utenti over 40. È un fatto molto interessante. Questi utenti probabilmente sarebbero presto o tardi finiti su Tik Tok, ma Youtube li ha fidelizzati con gli Shorts.
I reel di Meta su Instagram e Facebook
Ovviamente anche Meta è in prima linea sui video brevi. I reel (video di 15 secondi) sono stati introdotti su Instagram poco dopo l’esplosione di Tik Tok. E negli ultimi mesi, sono stati abilitati anche su Facebook. Gattini, balletti scosciati, belle ragazze sono alcuni tra i temi dominanti di questo nuovo format che è basato su una fruizione vorace, effetti visivi ripetitivi, zapping forsennato e algoritmi fulminei.
Tanto su Tik Tok che su Youtube e Meta, la creatività è costruita secondo pattern ripetuti grazie al formato molto preciso e agli effetti visivi disponibili, che imbrigliano la creatività in un risultato un po’ scontato.
A differenza degli altri format, l’algoritmo fa tutto da solo. Bastano poche sessioni per identificare i gusti dell’utente, dopodiché è solo questione di bombardarlo ripetutamente con i video di suo probabile gradimento.
Le ombre del format degli short video
Il format degli short però non è senza ombre. Gli algoritmi diventano ancora più dominanti, rispetto alla fruizione standard. L’utente non cerca, è invece sovrastato dai video raccomandati. Il modo in cui funzionano le piattaforme è sempre più una scatola oscura, in grado di conoscerci più di noi stessi.
Yuval Noah Harari, il grande storico israeliano, ha segnalato questo problema in più occasioni. I social hanno capito come hackerare la nostra mente.
Conoscenze approfondite sulla chimica cerebrale, potenza di calcolo nell’ordine dei terabite e raccolta di dati scientifica hanno trasformato la nostra mente in un acquario trasparente dove i nostri impulsi, desideri, interessi vengono perfettamente intercettati dagli algoritmi, che sono invece, guarda caso, secretati, protetti da brevetti e nascosti.
I video shorts non fanno che peggiorare questa dinamica, accentuando l’asimmetria informativa tra ciò che noi sappiamo delle piattaforme e ciò che le piattaforme sanno di noi.
La necessità di una regolamentazione europea
È una lotta impari. Deve essere costruita una regolamentazione stringente sulla trasparenza degli algoritmi. L’Unione Europea si sta muovendo in tal senso. Ed è un’azione necessaria, per ripristinare gli equilibri di potere tra i media e gli utenti.
Da più parti sono state sollevate obiezioni a questa riflessione, in nome del fatto che gli algoritmi sono accessibili soltanto ad esperti e tecnici, con raffinate competenze di programmazione, matematica e statistica. È un’argomentazione letteralmente senza senso. Non ne sapevamo nulla di micro e macronutrienti, quando la legislazione ha stabilito che era necessario indicare nelle etichette la composizione degli alimenti, le calorie e i principali principi nutritivi.
Non solo questa normativa ha favorito la trasparenza e messo alle strette i produttori di alimenti, ma ha anche favorito la diffusione di una cultura alimentare sana e consapevole. Oggi ci troviamo nella stessa identica situazione nel contesto delle piattaforme.
Servono norme stringenti per aumentare la trasparenza del software e degli algoritmi, in modo da mettere alle strette Big Tech e far emergere le tecniche di manipolazione, che talvolta sono presenti negli algoritmi.
I nuovi social del web3 puntano sulla trasparenza
È una battaglia appena iniziata, ma non potrà essere vinta se non vengono costruite alternative al dominio dell’algoritmo. Sotto il cappello del web3 stanno nascendo nuovi social come DeSo, Mastodon, Streemit, Minds, Solcial che fanno della trasparenza la propria bandiera. Al momento sono microscopiche realtà rispetto ai giganti del web, ma se riuscissero a trovare una chiave per crescere, potrebbero stimolare maggiore trasparenza anche nelle piattaforme della Silicon Valley.