responsabilità aziendali

Sicurezza dei lavoratori in smart working: gli adempimenti



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Con il Covid-19, sempre più imprese e parte della PA hanno adottato lo smart working: in Italia nel 2023, erano circa 3,6 milioni i lavoratori da remoto. Ci sono però ancora molti aspetti pratici che devono essere chiariti; primo tra tutti, il rispetto della normativa dedicata agli infortuni sul lavoro

Pubblicato il 20 dic 2023

Jennifer Basso Ricci

Associate Partner presso P4I – Partners4Innovation

Giulia Sisti

Junior Legal Consultant presso P4I – Partners4Innovation



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La prevenzione degli infortuni sul luogo di lavoro rappresenta da sempre un tema particolarmente delicato, che ha portato le aziende a confrontarsi con una normativa estremamente dettagliata, oggi confluita nel D.lgs. 81/2008.

Tale decreto, in particolare, ha introdotto una serie di adempimenti a carico dei datori di lavoro, chiamati ad effettuare una specifica valutazione dei rischi afferenti alle attività svolte dei propri dipendenti, nonché a garantire la sicurezza dei luoghi dove si svolge l’attività lavorativa.

Cosa si deve intendere per “luogo di lavoro”

Tradizionalmente, il luogo di lavoro fisico veniva associato al concetto di “postazione fissa di lavoro” assegnata al dipendente, sia che si trattasse di prestazione di lavoro svolta all’interno dei locali aziendali che al di fuori (ad esempio, nella forma del telelavoro). Questo approccio al contesto lavorativo portava i dipendenti ad aspettarsi che la prestazione lavorativa venisse organizzata in ogni dettaglio pratico dal datore di lavoro e che i dipendenti fossero sottoposti al suo diretto presidio e controllo.

Con la diffusione dello smart working, viene introdotta una nuova filosofia manageriale, che propone una concezione rinnovata del tempo e dello spazio di lavoro, prevedendo che la prestazione possa essere eseguita in parte all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno, senza che al lavoratore venga assegnata una postazione fissa.

Cosa cambia per lo smartworker, in termini di sicurezza

Lo smart working si focalizza sulla flessibilità organizzativa lasciata in capo al lavoratore che favorisce un approccio alla prestazione lavorativa orientato sulla definizione di obiettivi condivisi tra lavoratore e datore di lavoro, piuttosto che sulle modalità per raggiungerli. Ciò detto, in capo al datore di lavoro rimane invariata la responsabilità per la sicurezza dei lavoratori e il buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati ai propri dipendenti per lo svolgimento delle attività lavorative (art. 18 comma 1 D.lgs. 81/2017).

Alla luce della natura collaborativa dello smart working, il datore di lavoro è tenuto a fornire al dipendente un’informativa che metta in evidenza i rischi e pericoli legati allo svolgimento della mansione, come per esempio, l’intensificazione dei ritmi di lavoro, il diritto alla disconnessione o la regolamentazione degli spostamenti durante l’orario lavorativo. Spetta sempre al datore di lavoro il compito di definire le modalità di utilizzo degli strumenti assegnati al lavoratore (ad esempio, pc portatili, tablet, smartphone, etc.), i tempi di riposo e le misure tecniche necessarie per assicurarne la disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro (art. 19 D.lgs. 81/2017). Infine, resta garantito il diritto alla tutela da infortuni e malattie in relazione ai rischi a cui i lavoratori sono esposti.

Il primo caso di risarcimento da infortunio in smart working riconosciuto dall’INAIL

A tal proposito, ricordiamo il primo caso di risarcimento da infortunio in smart working riconosciuto dall’INAIL. La vicenda risale al 2021, durante la pandemia da Covid-19, e riguarda il caso di una dipendente amministrativa di un’azienda trevigiana che era scivolata dalle scale della propria abitazione mentre svolgeva la prestazione lavorativa in smart working, come concordato con l’azienda (nello specifico, durante una telefonata di lavoro con una collega). In un primo momento l’INAIL aveva rifiutato di riconoscere l’infortunio sul luogo di lavoro, non ravvisando il nesso di causalità necessario. Solo a seguito di ricorso amministrativo presentato dalla donna, assistita dal Patronato Inca-Cgil di Treviso, l’Istituto è tornato sui suoi passi, riconoscendo la correlazione tra l’infortunio e la prestazione lavorativa e disponendo, di conseguenza, un indennizzo per le lesioni riportate.

Le conseguenze in caso di omessa valutazione dei rischi di smartworking o di mancata adozione dei presidi

Come stabilito dal nostro ordinamento, il datore di lavoro è personalmente responsabile di eventuali infortuni realizzati in violazione delle norme poste a tutela della salute e sicurezza dei lavoratori. In aggiunta a questa forma di responsabilità penale (personale), dal 2008 anche la Società può essere chiamata a difendersi nel medesimo processo penale, imputata della specifica forma di responsabilità degli enti ai sensi del D.lgs. 231/2001, salvo che non riesca a dimostrare di avere adottato un sistema di gestione del rischio idoneo ed efficace, definito nel proprio Modello Organizzativo adottato ai sensi del combinato disposto (art. 25-septies d.lgs.231/2001 e art. 30 d.lgs.81/08).

Cosa deve prevedere il Modello 231 per consentire l’esenzione dalla responsabilità

L’adozione del lavoro agile rende anzitutto necessario compiere una specifica valutazione dei rischi del lavoro da remoto: il lavoro in smartworking ha determinato un cambiamento organizzativo che deve portare il datore ad analizzare e valutare tutti i possibili nuovi rischi connessi a questa moderna modalità lavorativa.

Fatto ciò, il datore di lavoro deve adottare specifiche misure di prevenzione e protezione indoor e outdoor , definite in modo chiaro nel sistema di controllo adottato dalla Società: alla Società è richiesto pertanto di aggiornare costantemente il proprio Modello 231, integrandolo con appositi presidi a mitigazione dei nuovi rischi e delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, dovendo garantire le massime tutele anche ai lavoratori che svolgono la prestazione lavorativa con modalità differenti rispetto a quella “tradizionale”.

Comun denominatore tra l’art. 30 del d.lgs. 81/08 e il Modello 231, infatti, è rappresentato dalla identificazione e valutazione, da parte della Società, dei pericoli connessi ai propri processi/attività, nonché, dall’implementazione di specifiche procedure (tra cui una Politica per la Salute e la Sicurezzada mantenere aggiornata nel tempo) e dalla definizione di un sistema di deleghe e procure coerente con le responsabilità organizzative e gestionali definite per la gestione del rischio SSLL. In aggiunta, la norma ISO 45001 (che ha sostituito la precedente OHSAS 10081), è diventata la norma tecnica di riferimento per garantire l’idoneità preventiva dei Modelli 231, consentendo altresì di uniformare la norma per il sistema SSLL alle altre norme di certificazione più comuni (come quella sulla qualità, ambiente, dati, ecc.).

Con riferimento alla responsabilità dell’impresa, giova infine ricordare che, ai fini della idoneità del Modello 231, la Circolare dell’11.07.2011 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha fornito uno strumento estremamente pratico, attuale anche al tempo dello smart working, per consentire la verifica e il monitoraggio del sistema di controllo, introducendo una tabella di correlazione che permette di confrontare i requisiti dell’art. 30 del d.lgs.81/08 con il sistema di gestione interno ad un’impresa. Per consultare la tabella, cliccare il seguente link

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