La progressiva limitazione della libertà di utilizzo dell’internet in Russia costituisce una nuova direttrice interna al Paese nella lotta ai movimenti di opposizione all’establishment governativo e alla preservazione della sua immagine pubblica. Con l’affermazione della sovranità digitale, il governo di Mosca ha voluto agire per salvaguardare la sfera della sicurezza interna ed esterna.
Esaminiamo l’escalation dell’azione di chiusura e i fattori che hanno spinto Mosca a “sigillare” la fonte di informazioni più libera e accessibile del mondo.
L’avvento del RuNet
Il fenomeno della progressiva censura della libertà di espressione individuale rappresenta a oggi uno dei principali problemi della Russia sia sul piano interno sia di fronte alla comunità internazionale. A quelle già esistenti, si aggiunge ora un controllo sempre più stringente anche sulle piattaforme online attraverso l’imposizione dell’internet sovrano di Mosca: il RuNet.
Le prime avvisaglie di un internet meno libero e accessibile iniziarono a comparire nel 2017, quando la Russia prese a intensificare il controllo sui contenuti ritenuti potenzialmente pericolosi per la sicurezza nazionale circolanti in rete. Nel 2018, Mosca stabilì una forte limitazione nell’utilizzo di proxy, i servizi informatici che danno la possibilità di aggirare il blocco o la censura di contenuti non accessibili dal Paese in cui ci si trova; insieme all’imposizione di sanzioni per i provider di servizi non conformi, come nel caso dei Virtual Private Networks (VPN), si allungò la lista dei siti web non accessibili e le società operanti online registrate in Russia furono costrette a condividere i dati raccolti con le autorità russe.
Le prime notizie sul RuNet (nome utilizzato per indicare la “sovranità russa” sul traffico di dati e di informazioni via web all’interno dei confini nazionali) comparirono sulle testate giornalistiche internazionali già a partire da novembre 2019. Prima di poter iniziare qualsiasi attività di censura dei contenuti e notizie che circolano giornalmente sul web, la Russia aveva bisogno di dotarsi di proprie infrastrutture e server per ridurre la dipendenza da servizi esteri. Un’impresa non facile, proprio per via della necessità di centralizzare lo spazio digitale russo, politica che invece era stata adottata fin dagli albori del world wide web da Paesi con simili (se non maggiori) ambizioni quale la Cina.
La limitazione dell’accesso alle risorse dell’internet, così come la nazionalizzazione forzata dei mezzi dei siti web più popolari nel Paese, ha fatto precipitare nuovamente la Russia nel bacino degli Stati estremamente limitatori della libertà individuale. Secondo Freedom House, organizzazione americana impegnata nella difesa della democrazia a livello internazionale, la Russia è tornata a essere annoverata tra i Paesi “non liberi” proprio per le recenti misure restrittive nella libertà di stampa e di espressione all’interno del territorio.
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La legge sulla sovranità di internet
Sotto la supervisione del Roskomnadzor, l’istituzione russa a capo delle telecomunicazioni e rappresentante il garante delle disposizioni governative in materia, il Paese ha iniziato a vedere un progressivo isolamento applicato alle comunicazioni svolte attraverso l’utilizzo di internet a partire dal 1° novembre 2019. Con l’approvazione della legge sulla sovranità dell’internet (Sovereign Internet Law), firmata da Putin già nel maggio dello stesso anno, venne formalmente approvato l’utilizzo dei sistemi di Deep Packet Inspections (DPI), i quali, installati per legge dai provider di servizi legati all’internet, danno modo di filtrare i contenuti diffusi attraverso la rete web. Il Cremlino giustificò la sua iniziativa legislativa come un sistema da utilizzare solo in caso di emergenza; tuttavia, già alla fine del 2019 si iniziò a percepire l’ombra di una nuova “cortina di ferro”, per citare le parole utilizzate da Winston Churchill all’alba della Guerra Fredda, sulla libertà di espressione in Russia.
Dalla promulgazione della legge sull’internet sovrano, così ribattezzata per aver inaugurato il RuNet e il processo di indipendenza digitale della Russia, Mosca si è concentrata sull’abilità di controllare il flusso delle informazioni scambiate via web e di rendersi in grado di “chiudere” i confini della sua rete internet da possibili ingerenze interne. In un recente articolo del The Moscow Times, si legge come le recenti dichiarazioni dell’ex Presidente e Vice Presidente del Consiglio di sicurezza della Federazione Russa Dmitry Medvedev confermino la capacità della Russia di disconnettersi legalmente e tecnologicamente dall’internet globale. Medvedev afferma che le misure attuate servono per impedire che la Russia venga danneggiata qualora sia imposto un suo isolamento dal world wide web per volere di altre potenze; in questo caso, gli Stati Uniti.
Internet e sicurezza nazionale
Ma quali possono essere le motivazioni che hanno spinto la Russia a dotarsi di un sistema interno di censura del web? Sicuramente, leggendo le dichiarazioni di Medvedev, la sicurezza nazionale rappresenta una delle priorità che ha spinto la Russia a prendere un maggior controllo di quanto circola all’interno della rete internet. In un’epoca in cui si sta affermando il concetto di guerra ibrida, rappresentata dall’impiego di mezzi convenzionali e non convenzionali durante lo svolgimento di conflitti, la cyber sicurezza costituisce uno dei settori maggiormente in sviluppo; Mosca stessa è stata più volte accusata di condurre grandi operazioni di hackeraggio o di disinformazione nei confronti di altri Paesi utilizzando canali e piattaforme online. Le fonti a dimostrazioni di ciò sono innumerevoli e autorevoli, in ultimo il report della Commissione Intelligence del Senato statunitense sull’interferenza russa nelle elezioni americane del 2016.
La Russia è la prima che ha bisogno di tutelare le informazioni che circolando all’interno del web russo. Nel corso delle indagini sul caso Navalny, la piattaforma di analisi Bellingcat ha pubblicato un meticoloso report in cui viene reso pubblico come sia stato possibile risalire all’identità degli autori dell’avvelenamento ai danni del dissidente politico n°1 in Russia tramite una semplice compravendita di dati all’interno del web russo. È quindi evidente come anche la Russia soffra di alcune falle di sicurezza all’interno del suo “dominio digitale”. La sicurezza nazionale prende in considerazione anche potenziali minacce derivante dall’utilizzo dei social media e delle piattaforme digitali per diffondere il sostegno alle cause antigovernative, come quelle sostenute dagli attivisti politici apertamente schierate contro il Cremlino. Per questo motivo, l’istituto del Roskomnadzor sta iniziando a sanzionare le piattaforme che non risultino aderenti alla legislazione nazionale in materia. Molto recentemente, il garante per le telecomunicazioni ha iniziato a rallentare il traffico dati concesso a Twitter, azione formalmente giustificata dalla mancata rimozione di contenuti ritenuti lesivi nei confronti di minori.
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Si vis pacem para bellum
Ci si domanda ora se le azioni contro le piattaforme di social networking non siano dovute alla volontà di limitare la diffusione di informazioni e campagne a sostegno dei dissidenti anti-governativi. Tali limitazioni possono rappresentare un’ulteriore azione correttiva da parte delle istituzioni russe per stabilizzare il consenso interno e impedire la circolazione di notizie dirette a colpire l’establishment russo.
La censura russa di focalizza pertanto su due linee guida complementari: consentire la produzione e diffusione indisturbata di contenuti informativi da parte dell’agenzia di media affiliate al Cremlino, limitando fortemente l’autonomia delle piattaforme online e di social networking, e bandire qui contenuti ritenuti invece non conformi alla legislazione russa. Le manovre governative per limitare la libertà di diffusione dei contenuti all’interno della rete russa stanno entrando in vigore non senza una fiera opposizione pubblica. A partire dall’inizio del processo di “nazionalizzazione” dell’internet in Russia, organizzazioni come Roskomsvoboda si sono poste come portavoce di una popolazione sempre meno accondiscendente alle limitazioni della libertà individuale. La tutela dei diritti digitali è dunque entrata a tutti gli effetti nella lotta tra il governo e la sua opposizione pubblica.
La censura dell’internet rappresenta un’ulteriore arma che la Russia ha deciso di aggiungere al suo arsenale di iniziative internazionalmente riconosciute come un attacco alla democrazia. In un periodo storico in cui la Russia sembra ritornare a una fase di isolamento internazionale, a causa di un’eccessiva assertività in politica estera per tutelare i propri interessi nazionali, limitare l’accesso alla libera fonte d’informazione per eccellenza può rappresentare una necessità dettata da un tumultuoso scontento interno in continua crescita. Resta chiaro che scollegare l’internet russo da quello globale costituisca una strategia molto rischiosa, in quanto andrebbe a influire non solo sull’accesso ai contenuti digitali ma anche al funzionamento di tutte le operazioni quotidianamente svolte attraverso l’ausilio di internet, ma che Mosca possa tenere in considerazione per correre ai ripari dal continuo screditamento internazionale delle sue politiche pubbliche.
Se la Russia ha spesso utilizzato l’internet come strumento per promuovere campagne di disinformazione a danni dei suoi rivali politici, individui o Stati, si trova ora costretta a fare i conti con la stessa arma puntata contro il suo establishment. Diventa pertanto vitale proteggere la stabilità interna a costo di isolare i suoi cittadini dal resto della comunità internazionale, per “proteggerli” da aggressive campagne mediatiche critiche del Cremlino. Sarà questa la strategia che garantirà la preservazione dello status quo tanto caro a Mosca?