Quando lo Spazio diviene un dominio dell’azione militare, occorre necessariamente decidere chi possa divenirne il “dominus”. È necessario e imprescindibile individuare chi possa essere l’attore, a livello nazionale ed internazionale, in grado di difendere con maggior efficacia le infrastrutture ed i servizi spaziali dalle minacce poste nell’ambiente spaziale.
Nell’ambito del Dicastero della Difesa italiano, tale riflessione è di strettissima attualità. Ed è all’esame anche quale sia una collocazione organica ideale e le più idonee dipendenze funzionali di un Comando Operazioni Spaziali.
Spazio, Difesa e innovazione tecnologica
Si tratta di una priorità perché la crescita economica è condizionale all’innovazione tecnologica. E, tra i vari settori, quelli dello Spazio e della Difesa sono certamente portatori d’innovazione e capaci di generare ingenti moltiplicatori economici. Tuttavia, l’effetto moltiplicatore dipende dalla capacità del “sistema” di capitalizzare le nuove tecnologie e gli spillover. In quest’ottica, pertanto, è necessario fare massa critica (istituzioni, università, aziende) ed indirizzare la ricerca favorendo l’incontro con le esigenze degli utenti. Ciò si realizza, ad esempio, attraverso l’individuazione di progetti e capacità realmente innovative (quantum-computing, Intelligenza Artificiale, sensoristica iperspettrale, propulsione ipersonica) che – oltre a catalizzare il supporto attivo da parte del mondo universitario e della ricerca scientifica – sappiano stimolare le aziende/imprese ad investire in settori e nei campi dove le Istituzioni e, tra queste la Difesa, possano svolgere un ruolo di “apri-pista” e di incubatori tecnologici.
I programmi spaziali europei
I programmi spaziali europei (i cosiddetti flagship programmes quali Copernicus, Galileo, SST) sono certamente un banco di prova e di applicazione del meglio della ricerca tecnologica ed industriale del nostro continente. Grazie alle infrastrutture spaziali beneficiamo di informazioni ed applicazioni indispensabili nella vita quotidiana di ciascuno di noi. La società, come la conosciamo oggi, non sarebbe neanche immaginabile senza alcuni di questi servizi che diamo per scontato: proviamo ad immaginarci, per un attimo, senza Google Maps, senza un’app di navigazione, senza la cartografia digitale o, peggio ancora, senza il servizio di timing&sincronizzazione[1] tra reti infrastrutturali (trasporti, energia, telecomunicazioni) in assenza del quale si arresterebbero l’erogazione di energia, le comunicazioni dei cellulari, le transazioni finanziarie.
L’interesse strategico a proteggere attivamente questi servizi (ormai essenziali) responsabilizza fortemente il mondo della Difesa e Sicurezza e, in particolare, le Forze Armate.
Esse stesse, peraltro, sono fortemente condizionate dallo sviluppo delle applicazioni spaziali. Lo spazio è, da sempre, un “ambiente abilitante”, un layer che eroga servizi essenziali per il funzionamento di sistemi d’arma sempre più avanzati e complessi. Proprio questa stretta dipendenza sta portando ad una riflessione strategica, in Italia, sulla necessità di razionalizzare il comparto spaziale nazionale. Ciò avviene anche sulla scorta di alcune tendenze che evidenziano l’incremento di rischi di origine naturale e delle minacce intenzionali che si palesano nell’ambiente spaziale (dai missili balistici, al jamming, sino ai disturbatori laser).
La trasformazione da “ambiente” a “dominio”
L’avvento del cosiddetto “commercial Space”, ovvero l’ingresso massiccio di operatori commerciali nel settore spaziale (Starlink, Axiom, Blue Origin) ha portato ad una proliferazione esponenziale delle piattaforme orbitanti: secondo le stime, a breve, vi saranno più di 20.000 oggetti attivi nelle orbite basse (cosiddette megacostellazioni satellitari). Tale incremento incontrollato, sommato alla mole di detriti che si vanno accumulando e che, invariabilmente, sono destinati ad aumentare[2], rende l’ambiente spaziale congestionato, sino alla soglia dell’impraticabilità totale.
Sulla scorta di tali preoccupanti proiezioni, alcuni Paesi ritengono che lo Spazio non possa più essere considerato solo un layer ma che esso stia evolvendo in un vero e proprio Dominio di confronto militare.
In particolare, gli Stati Uniti, in applicazione delle recenti direttive presidenziali, hanno creato una Space Force – in seno al Dipartimento dell’Air Force – in grado di “deter and counter threats in space”. Parimenti, in Francia, già a luglio scorso, la Ministro per la Difesa Florence Parly ha presentato una strategia per la difesa dello spazio tesa a consolidare l’autonomia strategica del paese mediante l’attribuzione all’Aeronautica francese dell’enorme incombenza di sviluppare la capacità di difesa degli assetti spaziali nazionali.
Appare coerente, pertanto, prendere atto che la protezione degli assetti e delle capacità spaziali nazionali ed europee – che vanno considerate come un patrimonio comune e condiviso – passa attraverso l’acquisizione di una piena capacità di operare nell’ambiente spaziale a difesa degli interessi comuni.
Anche la recente dichiarazione – in occasione del Summit NATO di Londra – dello spazio quale dominio autonomo delle operazioni, appare congruente con una responsabilità ed un impegno condiviso a rispondere collettivamente a qualsiasi minaccia portata ad una infrastruttura satellitare di un Paese alleato. Ciò, invariabilmente, chiama in gioco lo sviluppo di capacità spaziali dedicate alla Difesa, prendendo a modello ideale la Difesa Aerea Integrata della NATO. In tale modello virtuoso (ed ampiamente consolidato) vengono condivisi gli oneri ed i benefici della difesa collettiva, mettendo a disposizione, sin dal tempo di pace, assetti sotto il diretto Comando e Controllo della NATO.
Posto che, a livello europeo, i Paesi membri già condividono le spese per la progettazione e l’implementazione degli ambiziosi programmi spaziali comuni (Copernicus, Galileo, STT ed, in futuro, GovSatCom) potrebbe essere naturale pensare a federare anche le capacità essenziali per difenderli.
Il parallelismo con la difesa cibernetica è evidente: anche in questo caso, si tratta di un dominio autonomo e con un’elevata trasversalità delle responsabilità nazionali ed internazionali. Ed anche in questo caso, le sinergie tra i Paesi Membri europei potrebbero essere vincenti, grazie ad una consolidata base/capacità industriale sulla quale fare leva, condividendo oneri e benefici in un programma europeo di ampia visione e portata.
Il Comando Operazioni Spaziali
Come detto, all’esame del ministero della Difesa c’è anche la collocazione organica ideale e le più idonee dipendenze funzionali di un Comando Operazioni Spaziali. Un organismo che accentri le capacità di avvistare, identificare e reagire alle eventuali minacce nello spazio o contro gli assetti spaziali. Tale Comando, necessariamente, potrà avere connotazione interforze (e forse anche inter-agenzia) ma, verosimilmente, dovrà presentare una chiara lead ed una forte aderenza ambientale con la dimensione “verticale” della minaccia, trovando il raccordo tra le esistenti capacità di Difesa Aerea[3], di Early Warning & Missile Defence[4] e di Space Situational Awareness[5] (SSA), in una naturale e progressiva crescita “verso l’alto” delle competenze, al fine di garantire risposte tempestive ed efficaci alle minacce dirette al territorio ed agli interessi europei.