Parlamento europeo

Stallo delle nuove norme UE sulle big tech: ecco i problemi

Il Digital Markets Act e del Digital Services Act, proposte della Commissione Ue, non avanzano in Europa. Colpa di alcune tensioni fra i membri del Parlamento Europeo chiamati a valutare il contenuto delle due proposte legislative. Ecco i motivi alla base dello stallo

Pubblicato il 14 Ott 2021

Marina Rita Carbone

Consulente privacy

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L’avanzamento del Digital Markets Act e del Digital Services Act – proposte della Commissione Ue – pare essere giunto ad un punto di stallo, dovuto all’insorgenza di alcune tensioni fra i membri del Parlamento Europeo chiamati a valutare il contenuto delle due proposte legislative.

Evelyn Gebhardt, eurodeputata tedesca, ha affermato, a tal riguardo che, nonostante la convinzione che vi fosse un’idea condivisa dai legislatori in merito al contenuto delle proposte, si è ancora “molto lontani dall’avere una posizione comune”.

Le principali tensioni legislative riguardano la definizione delle categorie e dei servizi che dovrebbero essere soggetti agli obblighi previsti dai due atti normativi.

DSA e DMA: raggiunto un punto di stallo

Stando a quanto riportato dal Financial Times, sono sorti molti dubbi in merito alla conclusione di un accordo in merito al Digital Services Act ed al Digital Markets Act prima della conclusione del mandato conferito al Commissario Margrethe Vestager, fra tre anni. Tale dubbio nasce dall’insorgenza di conflitti interni fra i deputati, che non riuscirebbero a raggiungere un accordo in merito alle categorie di aziende che dovrebbero rientrare nel campo di applicazione del Regolamento.

Un nuovo antitrust per le big tech: i fari sul Digital Markets Act europeo

Tuttavia, in virtù del disaccordo interno tra i membri del Parlamento, potrebbe esserci un brusco rallentamento dei tentativi dell’UE di frenare lo strapotere delle Big Tech. Dall’annuncio delle nuove misure regolamentari, infatti, sono stati pochi i progressi fatti in relazione alla stesura finale del testo delle proposte, la cui entrata in vigore è stata ritardata rispetto alle originali previsioni. Il progetto perseguito dall’UE, infatti, è quello di addivenire ad una regolamentazione innovativa e conforme alle necessità del mercato che preveda nuove, onerose responsabilità in capo alle grandi aziende come Google, Facebook, Amazon ed Apple, garantendo una concorrenza leale anche nel settore tecnologico e digitale.

Il lento progresso della disciplina regolamentare, tuttavia, fornisce alle Big Tech più tempo per consolidare la propria posizione dominante in settori chiave dell’economia, e rischia di annacquare l’efficacia delle misure normative previste. “Se aspettiamo troppo a lungo alcuni mercati non potranno più essere riparati. Si tratta di proteggere i consumatori e le piccole imprese in Europa. Dobbiamo farlo il prima possibile“, ha riferito al Financial Times una persona direttamente coinvolta nel dibattito parlamentare.

Il Digital Markets Act (DMA), infatti, è stato progettato per costringere i c.d. gatekeeper, come Google, a garantire condizioni di parità all’interno delle loro piattaforme digitali, mentre il Digital Services Act (DSA), prevede nuove responsabilità per le Big Tech in merito alla gestione dei contenuti illegali all’interno dei loro servizi e piattaforme.

Conflitto sul campo di applicazione dei regolamenti

I deputati appaiono divisi su una serie di fronti: come anticipato, la principale questione riguarda il campo di applicazione del Regolamento.

  • Come riferito dal Financial Times, Andreas Schwab, eurodeputato che rappresenta il gruppo PPE (Partito Popolare Europeo), spinge, in particolare, affinché la legislazione si concentri in via esclusive sulle piattaforme digitali più grandi.
  • Dal lato opposto, parte dei parlamentari richiedono che la legislazione sia di portata più ampia e si rivolga ad una pletora più ampia di servizi digitali.

Se la soglia fosse troppo bassa, catturerebbe anche un certo numero di aziende tradizionali. Tuttavia questa legge non è per l’economia generale, ma è specificamente per colpire i gatekeeper digitali che stanno chiudendo i mercat “, ha detto Schwab al Financial Times. Secondo le sue proposte, solo le società con un valore di mercato superiore a 80 miliardi di euro dovrebbero essere soggetti ai nuovi obblighi legislativi.

Schwab vuole anche rivolgersi esclusivamente ai servizi digitali di base resi da ciascuna azienda, prendendo di mira, ad esempio, solo l’attività di ricerca e pubblicità di Google. Ma i Socialisti e Democratici (S&D), il secondo gruppo politico più grande del Parlamento europeo, vogliono includere nel campo di applicazione del pacchetto normativo anche altri tipi di servizi digitali, come lo streaming video, lo streaming musicale, i pagamenti mobili e i servizi cloud.

Se andiamo dietro solo a cinque aziende, questo non risolverà il problema“, ha affermato l’eurodeputato olandese Paul Tang, il quale sostiene che dovrebbero essere regolamentate adeguatamente anche le aziende che valgono più di 50 miliardi di euro: detta soglia farebbe rientrare nel campo di applicazione dei regolamenti anche Booking.com, SAP ed Airbnb. “Temo che nuovi gatekeeper sorgeranno all’istante una volta che saranno state affrontate Google e le restanti. Abbiamo bisogno che la legislazione sia a prova di futuro”, sostiene Tang, “Abbiamo aspettato più di 20 anni per riformare le regole di Internet e quindi dovremo renderle abbastanza forti per i prossimi 20 anni“. Tang ha anche affermato che il suo partito crede che la legislazione dovrebbe essere applicata anceh a quelle piattaforme che offrono più di un servizio perché “altrimenti le Big Tech sapranno come aggirare le leggi con il loro esercito di costosi avvocati e questa sarà un’occasione persa“.

Schwab, d’altro canto, ha affermato che un focus troppo ampio annacquerebbe la capacità dell’UE di affrontare problemi più grandi: “Rischiamo di avere una legge che vuole coprire tutto e non ottiene nulla. Se ciò accadrà, sarà una grande vittoria per Google e altre grandi aziende tecnologiche“, ha affermato.

L’impasse venutasi a creare oggi, non sarà facilmente risolvibile. A detta di quanto riferito dai soggetti coinvolti nel dibattito al Financial Times, “tutti hanno una posizione difficile e nessuno è disposto a muoversi e scendere a compromessi“.

Alcuni eurodeputati, tuttavia, hanno riferito al Financial Times di essere fiduciosi che una soluzione emergerà prima che gli Stati Membri, la Commissione europea e il Parlamento si riuniscano all’inizio del prossimo anno, e prima che la Francia, che detiene la presidenza di turno dell’UE nel 2022, si diriga verso le elezioni presidenziali di aprile.

Altro nodo: gli obblighi per le grandi piattaforme

In aggiunta a quanto precedentemente descritto, sono sorti dei punti di conflitto anche in merito all’ampiezza e alla tipologia degli obblighi cui le grandi piattaforme dovrebbero essere sottoposte. In accordo con quanto proposto dalla Commissione Europea, Schwab ritiene che gli utenti debbano fornire espressamente il loro consenso alla combinazione dei dati forniti alla medesima Società in virtù di prestazioni di servizi differenti (ad esempio, dovrebbe essere consentito l’interscambio di informazioni tra le due piattaforme di Gmail e Youtube, entrambe gestite da Google).

Altra parte dei deputati, invece, vuole che sia previsto un generale divieto di interscambio di informazioni fra servizi differenti, non ritenendo legittima la prestazione di un consenso da parte degli utenti.

Socialisti e Democratici, inoltre, spingono per l’introduzione di nuove regole atte a costringere le Big tech a dimostrare adeguatamente che le acquisizioni di piccole imprese non stiano danneggiando la concorrenza sul mercato, impedendo anche che possano essere poste in atto acquisizioni di rivali più piccoli. Tale misura è ritenuta da Schwab troppo estrema, al pari della richiesta di prevedere un divieto espresso di targetizzazione pubblicitaria degli utenti, pratica senza dubbio molto controversa.

Più potere agli Stati Membri

Nel mentre, anche gli Stati Membri tentano di apporre delle modifiche alle proposte iniziali della Commissione Europea, sotto il profilo della gestione dei contenuti presenti sulle piattaforme digitali. In particolare:

  • la Francia chiede che sia concesso ai singoli Stati Membri maggiore potere sanzionatorio nei confronti delle grandi aziende che non provvedono a “ripulire” le loro piattaforme dai contenuti illegali;
  • L’Irlanda e il Lussemburgo, sedi delle principali aziende operanti nel settore tecnologico, chiedono che venga mantenuto lo status quo.

Secondo quanto previsto dalla normativa vigente, infatti, solo gli Stati Membri nei quali hanno sede le principali aziende operanti nel settore digitale, hanno il potere di elevare sanzioni nei confronti delle medesime, o di costringerle a rimuovere i contenuti ritenuti illeciti.

Questo, in particolare, è uno dei temi principali che rischia di far ritardare la conclusione dei negoziati sul Digital Services Act, ritardandone o, addirittura, impedendone l’entrata in vigore.

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